Non violenza, la base della pratica yoga.

Domenica 29 gennaio, 12 e 26 febbraio, percorso di esplorazione alla ricerca della “non violenza” nella pratica di āsana e prāṇāyāma. Dalle 9.30 alle 12.30 a Torino, Via Guastalla 5. La pratica è adatta agli allievi avanzati e volenterosi. Non violenza nella pratica yoga deve portare al distacco, alla non-competizione, alla calma del corpo, della mente e del respiro. I posti sono limitati. Chi desidera partecipare, confermi al 3357011099 o emanuelazanda@virgilio.it 

E’ il momento di ricordare l’importanza della “non violenza” nella pratica dello yoga.  Guerre ce ne sono sempre state, ma ora sentiamo quotidianamente i suoi effetti terrificanti a poca distanza da noi, insieme alla folle ricerca della “vittoria” militare, qualcosa che speravamo sepolto nei libri di storia del secolo scorso.

Per studiare ahiṁsā (non violenza) nella pratica yoga, un buon punto di inizio è il commento di Edwin Bryant al sūtra II, 30 di Patañjali. Dopo aver elencato gli otto aṅga (rami) dello yoga (yama, niyama, āsana, prāṇāyāma, pratyāhāra, dhāraṇa, dhyāna samādhi; YS, II, 29), Edwin osserva che nei metodi tradizionali di interpretazione dei testi antichi, quello che viene per primo (o per ultimo) ha un rilievo particolare (Bryant 2019, p. 229): gli yama (astensioni), quale primo “ramo” dello yoga, ne costituiscono la base e ahiṁsā (non violenza) apre la lista degli yama.

La filosofia indiana antica aveva già evidenziato che la propensione a risolvere i problemi con la violenza era di gran lunga la peggiore tra le caratteristiche dell’essere umano.

Forse non a caso lo yoga “contemporaneo” è praticato per lo più da donne e solo una minoranza tra gli uomini si sente attratta da una disciplina che mette la “non violenza” al primo posto tra le regole. Comunque il tema riguarda tutti gli esseri umani e le differenze di genere non portano, in questo caso, da nessuna parte.

Patañjali vuole dire che fino a quando non si pratica la non violenza, non si possono ottenere risultati nella pratica yoga. E’ importante ricordare sempre che Patañjali era un filosofo, non un moralista. La sua esposizione è rivolta a spiegare il da farsi per raggiungere gli obbiettivi dello yoga, la quiete della mente, la cessazione dei pensieri.

Che cosa si intende esattamente con non violenza? Non violenza è non danneggiare nessuna creatura vivente e le diverse comunità dell’India antica hanno dato a questo principio interpretazioni più o meno rigorose. Quello che ha ispirato il concetto di non violenza è la convinzione che tutte le creature contengano un ātman o puruṣa e che tutti gli ātman (noi traduciamo in modo approssimativo con “anima”) abbiano uguale valore dal punto di vista spirituale.

A me piace pensare all’ātman come ad una scintilla spirituale presente in tutte le creature viventi,  che consente l’evoluzione e la liberazione dal mondo della materia. E’ la parte “reale” di ciascuna creatura, al di là dell’involucro transitorio in cui è contenuta.

Qualsiasi coinvolgimento in atti violenti, di qualsiasi tipo, implica, come conseguenza karmica, il subire, in questa o in una futura vita, lo stesso tipo di violenza. Inoltre, essere coinvolti in atti di violenza, alimenta la materialità dell’aspetto mentale citta, peggiorando l’ignoranza e creando ostacoli alla consapevolezza.

I commentatori di Patañjali hanno osservato che non si sta parlando soltanto della violenza fisica: l’odio, la malizia, le espressioni verbali volte a ferire il prossimo, le minacce, l’incutere paura e creare tensione sono tutte manifestazioni che uno yogi deve riconoscere ed evitare. La non violenza deve essere osservata con il pensiero, l’azione e la parola.

Noi personalmente siamo convinti di essere incapaci “di far del male ad una mosca”: ma occorre sempre cautela. Ahiṁsā non sarebbe la base della pratica yoga se la violenza non fosse qualcosa che riguarda ognuno di noi e che sarebbe superficiale ignorare. La storia, anche recente e recentissima, dimostra, ancora una volta, la saggezza della filosofia yoga. Cerchiamo quindi di intendere correttamente ahiṁsā per portarla nella nostra vita e modo di praticare ed insegnare.

Yama e Niyama: Il cammino dell’azione

 

Dopo varie esercitazioni (che trovate tutte su questo blog) dedicate alla pratica di asana e pranayama, approfondendo vari aspetti degli Yoga Sutra di Patanjali, negli ultimi tre seminari di quest’anno si sintetizza con “il cammino della pratica” (yama, niyama); “il cammino della conoscenza” (asana, pranayama, pratyahara); “il cammino della devozione” (dharana, dhyana, samadhi).

II.29 yama-niyamāsana-prāṇāyāma-pratyāhāra-dhāraṇā-dhyāna-samādhayo ‘ṣṭāv aṅgāni

Gli otto componenti dello yoga sono yama (astensioni), niyama (principi da osservare), asana (posizioni), pranayama (esercizio del respiro), pratyahara (controllo dei sensi), dharana (concentrazione), dhyana (meditazione), samadhi (totale assorbimento)

Yama guida l’elenco dei componenti dello Yoga e ahimsa, non violenza, è la prima delle astensioni, yama. Patanjali non è un moralista, non vuole spiegarci che cosa fare e non fare: si limita a dire che per ottenere gli obbiettivi dello yoga (fermare i movimenti della mente) occorre in primo luogo osservare yama e niyama. BKS Iyengar ha specificato che yama e niyama costituiscono il percorso della pratica, cosa occorre fare ogni giorno, in tutti i momenti della vita, e praticando yoga. Senza lo sforzo costante di osservare yama e niyama, non è possibile seguire proficuamente il cammino successivo, quello della conoscenza.

II. 30 ahiṁsā-satyāsteya-brahmacharyāparigrahā yamāḥ

Le astensioni sono ahimsa (non violenza), satya (non mentire), asteya (non rubare), brahmacharya (non depravazione), aparigraha (non ambizione di possesso)

ahiṁsā: La violenza nasce dalla paura, dalla debolezza, ignoranza, estrema stanchezza. Uno yogi deve pensare che gli altri devono avere giustizia, ma egli stesso deve in primo luogo perdonare. La violenza si combatte soprattutto liberando dalla paura; satyā: qualsiasi forma di manipolazione della realtà mette lo yogi in una condizione falsa. Non si tratta solamente della parola, o del pettegolezzo, prima di controllare le parole, occorre controllare la coerenza della propria condotta. asteya: l’invidia e il desiderio delle cose altrui rende le persone miserabili. Non si tratta solo di “cose” materiali, ma ci si può anche appropriare delle idee degli altri, o fare un cattivo uso di quello che si è ricevuto. brahmacharya: Non si tratta esclusivamente di celibato, ma di saper utilizzare l’enorme vitalità, energia e coraggio che derivano dal controllo del corpo, della parola e della mente. aparigraha: Si tratta di rendere la propria vita la più semplice possibile, senza disperdere energie inutili e di sviluppare la capacità di accontentarsi.

II.32  śauca-santoṣa-tapaḥ-svādhyāyeśvara-praṇidhānāni niyamāḥ

I principi da osservare sono sauca (pulizia), santosa (appagamento),  tapah (rigore), svadhyaya (studio dei testi sacri),  Isvara pranidhanani (devozione a Dio).

sauca. La pulizia è intesa in senso ampio: esterno, interno del corpo, mente, pensieri, abitazione, cibo ecc. Riguardo agli asana, occorre tenere a mente la pulizia nell’esecuzione, evitare la sciatteria, non praticare in modo distratto, non interrompersi per fare altre cose. santosal’appagamento va praticato, non nasce spontaneamente. Spontaneamente l’essere umano desidera molte cose, è tentato da cose materiali e riconoscimenti. L’appagamento e la serenità sono condizioni della mente, derivano da una conoscenza e pratica matura, al di là delle differenze di razza, credo, ricchezza e istruzione. Vedere tante differenze rende il pensiero ristretto e sterile. tapahvigore, rigore, severità nella pratica, autodisciplina. Lavorare non per l’obbiettivo egoistico, ma per il cammino supremo. Con la pratica di tapah, lo yogi ottiene grande forza nel corpo, nella mente e nel carattere. svadhyaya: alcuni interpretano studio dei testi sacri, BKS Iyengar interpreta come studio del sé, attraverso i testi sacri. Isvara pranidhanani: chi possiede fede, è libero dalla disperazione. Quando si sviluppa la capacità di devozione, si ottiene grande potere mentale e forza spirituale.

ahimsa (non violenza)

Isvara pranidhanani (devozione a Dio)

satya (non mentire)

svadhyaya (studio dei testi sacri)

asteya (non rubare),

tapah (rigore)

brahmacharya (non depravazione)

santosa (appagamento)

aparigraha (non ambizione di possesso)

sauca (pulizia)

Per ricordare yama e niyama, osservate questa corrispondenza: ogni yama (non fare…) ha una sua virtù opposta in niyama (fare…)

yamanyamala sequenza:

adho mukha virasana, adho mukha svanasana. Tutte le posizioni con lo sguardo verso il basso incrementano la devozione (Isvara pranidhanani) e non violenza (ahimsa). Le orecchie in linea con la parte alta delle braccia, come insegnato da Geetaji. Su adho mukha svanasana e la devozione ha parlato anche Zubin.  Cercare di sentire qualcosa di nuovo nella pratica degli asana, questo è seguire satya e svadhyaya.

Surya namaskarasana per migliorare tapah, il rigore, l’ardore. Almeno 6 volte

utthita trikonasana, vira 1, vira 2, vira 3. Mantenere l’azione nell’andare in posizione, nel rimanere e nel tornare dalla posizione è satya (non mentire) e svadhyaya (studio dei testi sacri). Nelle posizioni, soprattutto se difficili e di equilibrio, occorre fare quello che si può, non di più, non di meno. Questo è brahmacharya (non depravazione) e santosa (appagamento)

Per praticare ahimsa (non violenza) occorre sviluppare il proprio coraggio. La violenza è sempre risultato della paura. Le posizioni che sviluppano il coraggio sono sirsasana, supta virasana, matsyasana, ustrasana, urdhva dhanurasana e in generale, tutte le posizioni che aprono il torace.  Per praticare Isvara pranidhanani (devozione a Dio) invece, simbolicamente ci si inchina in avanti: janu sirsasana, ardha badda padma paschimottanasana ma anche upavista konasana e malasana.

Infine,  con le c.d. “posizioni restorative” ed il pranayama in posizione sdraiata, si pratica ancora Isvara pranidhanani (devozione a Dio) e aparigraha (non ambizione di possesso) rilassando consapevolmente il corpo.

A proposito della figura in apertura, con il simbolo dell’AUM, una svastica e due piedi che chiude un testo, questa è l’immagine alla festa del Guru Purnima, nel luglio 2010 a Pune, all’Istituto di BKS Iyengar. Non sapendo leggere il testo, ho chiesto il significato e la risposta è stata: ” Andate in giro per il mondo. cercate la vostra strada. Dove abbasserete la testa, lì è il vostro Guru”

la mandria + india 363

(Gli appunti su yama e niyama sono tratti da BKS Iyengar, Collected works -Astadala Yogamala, II, pp. 37-44; VII, pp. 89-100)

 

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