Il cammino della devozione: Asana/Samyama (da una lezione di Geetaji)

Nel seminario del 23 giugno abbiamo affrontato la tappa più difficile: Il percorso della devozione: Dharana, Dhyana, Samadhi. Sono gli “anga” più elevati, tre fasi, per così dire, del percorso meditativo: in Dharana, la concentrazione è ancora intermittente, sebbene molto allenata e sorretta da fede profonda, in Dhyana, il flusso dell’attenzione scorre senza disturbi e senza pause; in Samadhi, il livello di attenzione è tale che la persona che medita si identifica completamente con l’oggetto della meditazione, il vero sé.

Guruji si è espresso molte volte su Dhyana e ha affermato che la pratica della meditazione vera e propria non si esegue in classe, ma ognuno la deve praticare individualmente. In classe si praticano Asana, Pranayama e  Dharana, alla ricerca di quel flusso ininterrotto che permette allo sforzo fisico di annullarsi nella pura concentrazione.

Geetaji ritorna spesso su questo argomento nelle sue lezioni, in particolare in una classe tenuta a Pune ha citato anche il Samyama, e quindi nel seminario questa è stata l’ispirazione per la sequenza.

Per prima cosa occorre imparare a praticare gli asana e capire che cosa significa praticare gli asana. Non dovete pensare che chi è flessibile può fare la posizione e chi non lo è non la farà mai. Questo significa avere paura del cambiamento; ma senza cambiamento non c’è evoluzione e soprattutto non c’è samyama.  Gli asana sono preliminari perché insegnano a cambiare, a modellare il proprio corpo, a renderlo silenzioso. Soprattutto insegnano un processo di apprendimento.   Il corpo e la mente sono tamasici per natura. Per superare questo, occorre tenere la mente vicino al corpo, non a vagare per conto suo.  Se il corpo non risponde, vuol dire che la mente non è vicino al corpo, oppure sente che sta avvenendo qualcosa di sconosciuto e prova paura. Nirodah per la mente è qualcosa di sconosciuto, per questo è tanto difficile.

samyama1Supta swastikasana. Incrociare le gambe in swastikasana, portare i piedi più vicino al bacino per compattare i femori, estendere le braccia per estendere i due lati del torace. Scapole in dentro, lombari giù. Mettere le mani come in urdhva dhanurasana, sollevare il torace come in paryankasana e appoggiare la cima della testa a terra. Se non è possibile, sollevare le ginocchia, mettere le mani sotto le cosce e puntando i gomiti, fare l’azione di paryankasana.

Badda konasana, spingere le piante dei piedi ed estendere la schiena a terra in supta badda konasana. spingere l’osso sacro a terra, rilassante gli inguini, estendere le braccia oltre la testa. Ora afferrare con le mani le caviglie (palmi verso l’alto) e spingere di più l’osso sacro all’interno, e gli inguini verso il basso.  ora portare le mani sotto le cosce, sollevare il torace come nella posizione precedente, mettere le mani in urdhva dhanurasana e portare di più la cima della testa verso il bacino.

Virasana. Portare le mani sulla pianta dei piedi  e andare in paryankasana. Non estendere le braccia per ora. Sollevare le scapole, spingere il dorso dei piedi, le tibie, gli ischi, la cima della testa, i gomiti. Poi andare in supta virasana ed estendere le braccia.

Una gamba in padmasana, l’altra in swastikasana (ardha padmasana). Il piede in swastikasana va sotto la coscia opposta. Paryankasana, spingere le cosce al pavimento, gli ischi giù, poi estendere i due lati del tronco, braccia estese oltre la testa. Altro lato.

Padmasana, matsyasana. Afferrare con le mani i metatarsi per portare la cima della testa più vicina al bacino. inguini giù, cosce giù. Poi estendere la schiena a terra. Altro lato.

dandasana. Spingere i gomiti a terra  e portare la cima della testa a terra. Afferrare i due lati del tappetino per sollevare di più le scapole.

uttanasana

sirsasana. Badda konasana in sirsasana.

samyama2parivrtta janu sirsasana. Un gomito lontano dalla gamba distesa, l’altra mano alla vita. Spingere il gomito e ruotare portando in dentro e in su la scapola. Il torace fa matsyasana. Tenere il lato interno del piede per fare leva con il gomito e aiutare la torsione.  Dovete capire perché il gomito non va giù. Non ruotate la testa prima di aver portato il gomito giù ed aver eseguito la torsione.  Una seconda volta. Ora il torace deve scendere, ma si deve ruotare verso il soffitto, le spalle allineate. Estendere il braccio verso il piede della gamba tesa, mano in su, poi piegare il gomito. Aiutare con l’altra mano a portare il gomito più in avanti.  Portare un lato del tronco verso il basso, l’altro verso l’alto. Occorre fare lo sforzo, aiutarsi con l’altra mano, se il gomito non scende.  Ma prima dovete fare l’estensione di quel lato, se contraete, il gomito non potrà mai scendere.  Se non siete capaci, potete iniziare con delle torsioni più semplici, oppure praticare con il muro. La gamba distesa vicino al muro, la schiena al muro, ora potete estendere il torace e immaginare che ci sia una televisione al soffitto, guardate là!

Parivrtta janu sirsasana. Una gamba piegata, l’altra tesa, torace rivolto in avanti. Ruotare la gamba tesa completamente, mettere la mano sotto la coscia per ruotarla. Estendere il lato della gamba, piegare il gomito ed estendere la mano oltre al piede per ruotare l’addome e il torace. Le scapole fanno paryankasana. L’altra mano in vita. Ora estendete il braccio opposto in linea come in parsvakonasana.  Infine afferrate il lato esterno del piede, piegate tutti e due i gomiti e ruotare.

Sayama3Utthita parsvakonasana=parivrtta janu sirsasana. Ruotare una coscia completamente, scapole giù, lati del torace su. Piegare ad angolo retto la gamba, radice della coscia giù, ginocchio indietro. La natica in avanti, come in parivrtta janu sirsasana.  Portare la mano giù, l’altra in vita. Se l’inguine non lavora piegare il gomito e spingere il ginocchio indietro e la natica in avanti, come nella posizione precedente. Ruotare le costole e portare il braccio opposto su.

Uttanasana

parivritta janu sirsasana. Preparazione. Connessioni con utthita parsvakonasana.  Piegare una gamba e ruotare. Osservare la gamba tesa, come si mantiene la rotazione della gamba? Dovete resistere con la natica in avanti. Come in utthita parsvakonasana, il piede e l’ischio della gamba davanti devono essere allineati

utthita parsvakonasana. Ruotare la coscia indietro, come in parivrtta janu sirsasana.  Ora la mano dietro e estendere il braccio opposto

parivrtta janu sirsasana.  Osservare l’allineamento. Il punto più difficile da muovere è la mente, muovere dalle abitudini, dallo stato tamasico.  Le prime volte il corpo può essere indolenzito, per questo la mente si rifiuta. E’ come partire da samashtiti: la gamba ruota di 90° la caviglia e l’ischio sono allineati, i due lati del torace sono allineati. Quando si allunga il torace verso la gamba tesa, addome e costole ruotano nella direzione opposta. Il bacino è il fulcro. La gamba dietro resiste e resta ruotata, non si muove in dentro. Ora si aggiungono le braccia e mantenendo le natiche in dentro si ruota di più.

upavishta konasana. Natiche in dentro, come parivrtta janu sirsasana. Integrazione: Dharana, Dhyana, Samadhi. Le azioni imparate in parivrtta janu sisrsasana devono essere integrate in utthita parsvakonasana. Questo è Samyama. Quanta attenzione è necessaria per questa integrazione? Ci vogliono anni di pratica per fare upavishta konasana, come samashtiti.  Andiamo dalla frammentazione all’integrazione. Eppure la mente scappa dall’integrazione, preferisce la frammentazione.

ardha chandrasana. Integrare tutte le azioni: utthita parsvakonasana, paryankasana, parivrtta janu sirsasana. E ogni asana va osservata in questo modo, ogni azione va integrata in questo modo. E’ un linguaggio che va perfezionato negli anni.  E’ un solo fluire di attenzione, come in Dhyana. Controllare voi stessi dal corpo, questo è il messaggio di Guruji.  Occorre partire dagli asana, dal corpo, finché non c’è integrazione nelle azioni del corpo, non c’è Samyama.

setubandha mattone

III.1 deśa-bandhaś cittasya-dhāraṇā

la concentrazione è fissare la mente in un luogo

III.2 tatra pratyayaika-tānatā dhyānam

la meditazione è fissare la mente su una sola immagine

III.3 tad evārtha-mātra-nirbhāsam svarūpa-śūnyam iva samādhiḥ

Avviene il samadhi quando la stessa meditazione riluce e la mente è priva della sua propria natura

III.4 trayam ekatra saṁyamaḥ

La pratica di questi tre si dice samyama

(Questa lezione di Geetaji è stata tenuta a Pune nel giugno 2009)

 

Il cammino della conoscenza: Asana, Pranayama, Pratyahara

Patanjali dedica al “cammino della conoscenza”, secondo la bella definizione di BKS Iyengar, nove sutra; ne aveva dedicati invece ben sedici a descrivere yama e niyama. Questo può essere spiegato con il fatto che yama e niyama costituiscono la vera base della pratica yoga, senza la quale nessun passo ulteriore può avvenire; vale quindi la pena di insistere  su quello che doveva essere, allora come oggi, un equivoco frequente, il darne per scontata la pratica e l’osservanza. Infatti, opportunamente BKS Iyengar aveva definito yama e niyama “il cammino dell’azione”.

Per quanto riguarda i famosi asana, il mezzo con cui tutti o quasi gli studenti occidentali si avvicinano allo yoga, molti studiosi hanno osservato, anche con una punta di disdegno, che parrebbero marginali nello yoga di Patanjali, dal momento che sono sbrigati in soli tre sutra e che non viene descritta nessuna posizione. Tuttavia, già il più antico commentario degli YogaSutra, attribuito al saggio Vyasa, descriveva una serie di posizioni e molte di più vengono descritte nei testi successivi.  Sembra ragionevole pensare quindi che, se Patanjali descrive così brevemente gli asana, esistessero altri testi e maestri specializzati in questo “anga” dello yoga per cui non si sia ritenuto necessario, in un trattato così sintetico, ripetere cose che molti già sapevano e facevano.   In effetti, per gli studiosi contemporanei di Patanjali, gli asana potevano essere intesi come una specificità  nel quadro di una disciplina molto ricca e complessa .

Asana” significa propriamente sedile, sedersi. A questo punto interviene l’insegnamento di BKS Iyengar: che cosa fa la mente quando siamo seduti in un asana, ad esempio swastikasana? Siamo in grado di rimanere perfettamente seduti a lungo, in modo stabile e confortevole, senza avvertire né noia, né fastidio fisico? Siamo in grado di rilassare nello sforzo e di sentire l’assorbimento nell’infinito, al punto tale da superare la dualità? Evidentemente rimanere nell’ asana richiede uno studio lungo e sofisticato, una pratica continuativa di anni, per sviluppare una sensibilità e un controllo del corpo speciale. Queste doti, secondo BKS Iyengar, si acquisiscono poco per volta nella pratica degli asana,  portando l’attenzione e la consapevolezza in tutte le cellule del corpo. Il corpo esegue determinate azioni e la mente osserva le reazioni, in un processo continuo, in cui la pelle, l’organo della sensibilità, ha un ruolo molto importante.

Quando si è acquisita stabilità negli asana,  si è pronti per il pranayama: controllato l’aspetto muscolare e scheletrico del corpo, grazie alla sensibilità della pelle e dello “strato” più esterno del corpo, si può controllare il respiro, ovvero il movimento che avviene all’interno del corpo. Nuovamente, secondo gli insegnamenti di Iyengar, è la ricerca dello “spazio” interno quello che ci interessa a questo punto avanzato della pratica.  Ma soprattutto la mente può rimanere stabile nel controllo di questi processi; e in questo modo, concentrandosi sul corpo, sullo strato esterno e poi sullo strato interno, la mente diventa focalizzata e non più “dispersa” nell’attenzione sugli oggetti dei sensi.

Si tratta quindi, dice correttamente Iyengar, di un cammino per la conoscenza, andando sempre di più nel profondo di sé.

img_20180525_191427.jpgLa sequenza da praticare:

swastikasana/ badda konasana/ upavishta konasana. L’estensione della colonna verso l’alto dipende dalla rotazione delle cosce verso l’esterno, in modo da liberare gli ischi.

utthita trikonasana/ virabadrasana 2/utthita parsvakonasana. Anche negli asana in piedi l’estensione della colonna dipende dalla rotazione delle cosce. Osservare come la testa del femore in dentro e la natica in avanti consentono di migliorare l’estensione in trikonasana/parsvakonasana. Provate a “sbagliare”, portando l’ischio indietro: la colonna crolla, la testa si muove in avanti. Allora portate la natica in avanti e mantenetela in avanti: osservate l’estensione e l’allineamento.

swastikasana/ badda konasana/ upavishta konasana

IMG_5144utthita parsvakonasana/ardha chandrasana. La preoccupazione del principiante è quella di mantenere l’equilibrio. Invece occorre nuovamente estendere la colonna in linea con la gamba dietro. Per fare questo, occorre portare la natica della gamba sotto in avanti, in linea con il ginocchio. Per migliorare l’equilibrio, alzate la coscia della gamba sollevata, ma abbassate dal ginocchio al piede.  Queste due azioni contrapposte stabilizzano la gamba dietro, e consentono di ruotare la cresta iliaca della gamba dietro verso l’alto.  Per imparare quest’ultima azione è utile eseguire ardha chandrasana con il piede dietro al muro: spingere forte la base dell’alluce contro il muro! Osservate il lavoro di Abhijata al cavallo, sotto lo sguardo vigile di Guruji. La cintura serve a sentire la rotazione in avanti della natica della gamba sotto. Il piede è appoggiato al cavallo, ma la base dell’alluce spinge mentre Guruji trattiene il tallone. Di conseguenza, la colonna di può estendere e il torace espandere. Queste sono le due azioni da imparare con gli asana che servono nel pranayama.

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swastikasana/ badda konasana/ upavishta konasana/badda konasana

Vira 1/vira 3. Valgono le stesse osservazioni di ardha chandrasana, ma in vira 1 si può osservare l’aiuto delle braccia nell’estensione verticale della colonna. Ruotare la natica della gamba dietro in avanti . Anche in questo caso è utile praticare al muro, con le mani su due mattoni, per imparare la rotazione del bacino. Il lavoro della gamba dietro è l’opposto di quello di ardha chandrasana: la coscia scende (perché la natica deve scendere) ma il tratto dal ginocchio al piede sale.  Spingere la base dell’alluce al muro per osservare l’estensione e la rotazione della gamba dietro.

parvatasana in swastikasana/ baradvajasana in swastikasana

adho mukha svanasana: con le mani sui mattoni si aiutano le spalle; con i piedi sui mattoni l’azione delle gambe e del bacino

Adho mukha vrchasana: per salire e per scendere, l’azione è la stessa di vira 3 (per gli studenti intermedi e avanzati). Chi non sa salire, si deve esercitare ad acquisire confidenza e mettere peso sulle mani, stirando le braccia e alzando le spalle.

Sirsasana, eka pada sirsasana

supra virasana

paryankasana

baradvajasana

Marichasana 3

setubanda sarvangasana

ujjyai pranayama posizione sdraiata espansione laterale (come in ardha chandrasana) con le coperte in verticale piegate in 3 sotto il torace

ujjyai pranayama, estensione verticale dal torace all’addome (come in vira 1/3) con le coperte orizzontali sotto il torace e l’ascella

savasana

Se si rileggono in questa ottica i sutra di Patanjali, si possono osservare tutti i passaggi sviluppati dall’insegnamento di Guruji, che attribuiva un particolare significato al sutra II, 48 in quanto il superamento della dualità poteva anche essere visto come la ricerca del perfetto allineamento. In un primo tempo, il pranayama è controllo del respiro che entra e che esce, poi diventa una pratica raffinata, con molte possibili varianti; esiste un tipo di pranayama, “il quarto” con cui si supera la distinzione tra esterno ed interno del corpo; il velo che nasconde la luce diventa più sottile e la mente è in grado di abbandonare gli oggetti dei sensi.

II.46 sthira-sukhaṁ āsanam

La posizione dovrebbe essere stabile e confortevole

II.47 prayatna-śaithilyānanta-samāpattibhyām

La posizione deve essere realizzata con il rilassamento nello sforzo e l’assorbimento nell’infinito

II.48 tato dvandvānabhighātaḥ

Così non si è afflitti dalla dualità degli opposti

II.49 tasmin sati śvāsa-praśvāsayor gati-vicchedaḥ prāṇāyāmaḥ

Quando l’asana è conseguita, segue il pranayama, il controllo del respiro che entra e che esce

II.50 bāhyābhyantara-stambha-vṛttiḥ deśa-kāla-saṅkhyābhiḥ paridṛṣṭo dīrgha-sūkṣmaḥ

Il pranayama consiste in movimenti del respiro interni, esterni e trattenuti; prolungati e sottili secondo il luogo, il tempo e il numero

II.51 bāhyābhyantara-viṣayākṣepī caturthaḥ

Il quarto tipo di pranayama supera i limiti dell’esterno e dell’interno

II.52 tataḥ kṣīyate prakāśāvaraṇam

Allora si attenua ciò che nasconde lo stato luminoso

II.53 dhāraṇāsu ca yogyatā manasaḥ

Anche, la mente diventa idonea alla concentrazione

II.54 svaviṣayāsamprayoge cittasya svarūpānukāra ivendriyāṇāṁ pratyāhāraḥ

Pratyahara avviene quando i sensi non entrano in contatto con gli oggetti; è quindi la natura della mente senza gli oggetti dei sensi.

 

Asana/Dharana. Concentrare l’attenzione

Sabato 24 marzo, in Via Guastalla, dalle 9 alle 12, abbiamo praticato una sequenza di asana e pranayama allo scopo di comprendere dhāraṇā, il sesto “stadio” dello Yoga, la concentrazione

Simbolo di dhāraṇā, la dea Durga,  una madre divina combattente. Mentre l’auriga doveva faticare per mantenere i cavalli del carro (=organi di senso) sulla retta via, e questa è la pratica del pratyahara, Durga cavalca tranquillissimi leoni e tigri addomesticati, mostrando, con eleganti gesti delle molte braccia, i simboli della concentrazione. Dhāraṇā è infatti un “anga” dello yoga di livello superiore e presuppone l’aver già raggiunto una forma di indifferenza verso le cose del mondo. 

Durga-Kavach

Alla concentrazione, dhāraṇā, Patanjali dedica un solo sutra, il primo del vibhūti-pādaḥ  e dicendo che “la concentrazione è il fissare l’attenzione su un punto”. Patanjali non dice “dove” va fissata l’attenzione, ma i commentatori propongono sia oggetti “interni” al corpo, come i famosi chakra, oppure la punta del naso, lo spazio tra le sopracciglia ecc. , che oggetti “esterni”, forme divine, una fiamma, un suono ecc.

Iyengar sostiene che l’attenzione di chi  pratica gli asana è dhāraṇā, da più punti di vista: può essere la concentrazione intensa “degli organi d’azione e i sensi di percezione verso la mente e la mente verso il centro” ma anche “l’arte di ridurre le interruzioni della mente, in modo da eliminarle completamente”. La facoltà della mente che deve intervenire è buddhi, la discriminazione costante, infinitesimale.

Per esercitare dhāraṇā nel corso della pratica degli asana occorre cambiare punto di vista. Fissare l’attenzione è difficile per chiunque, e mantenerla ancora più difficile. Occorre rendere l’esecuzione degli asana “puntiforme”. Non si tratta di “eseguire” posizioni e tanto meno di “praticare” una sequenza. Bisogna  seguire e indirizzare con grande meticolosità, attimo per attimo, il movimento che il corpo/mente esegue, identificando le azioni che si stanno eseguendo; in altri termini, “fissare” l’attenzione e comprendere come la mente indirizza il corpo per entrare, rimanere ed uscire dalla posizione.

IMG_5078Quando pratichiamo un asana, per esempio ardha chandrasana, l’attenzione normalmente si muove velocemente su differenti punti del corpo mentre eseguiamo i diversi passaggi che ci portano alla posizione finale. Con la concentrazione, oltre a questo,  possiamo scegliere infiniti passaggi intermedi  in cui fissare l’attenzione. In ogni passaggio occorre eseguire una breve pausa, fissare l’attenzione ed identificare le azioni che il corpo sta facendo/deve/dovrebbe fare. Ad esempio, utthita trikonasana/utthita parsvakonasana/avvicinare la gamba dietro mantenendo l’allineamento della gamba davanti/alzare la gamba dietro con la gamba sotto piegata/stirare la gamba sotto/l’interno della coscia sale e la caviglia scende/portare l’esterno della coscia della gamba sotto indietro/ruotare il bacino verso l’alto/ruotare il torace verso l’alto/guardare il soffitto e ritornare seguendo gli stessi passaggi.

Per posizioni complesse, come parivrtta parsvakonasana, parivrtta ardha chandrasana è possibile individuare un numero ben maggiore di passaggi/momenti/luoghi/azioni.

Operare in questo modo è indispensabile per imparare asana più complicate e avanzate, o che richiedono l’utilizzo di azioni già sperimentate e praticate in asana più semplici.  Ad esempio, per imparare padmasana, è necessario aver appreso l’azione di rotazione della coscia verso l’esterno di Janu sirsasana.

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Questa la sequenza praticata:

Utthita parsvakonasana

ardha chandrasana

parivrtta trikonasana

parivrtta parsvakonasana

parivrtta ardha chandrasana

adho mukha svanasana

sirsasana

virasana

Janu sirsasana

ardha badda padma paschimottanasana

padmasana

marichasana 2

marichasana 3

sarvangasana

supta badda konasana

savasana

III.1 deśa-bandhaś cittasya-dhāraṇā

La concentrazione è fissare la mente in un luogo

III.52 kṣaṇa-tat-kramayoḥ saṁyamād viveka-jaṁ jñānaṁ

Praticando il samyama [l’insieme di dharana, dhyana e samadhi] nell’attimo, e nella successione degli attimi, si arriva alla conoscenza della discriminazione

Asana/Pranayama

 

 

“Quando questo (la perfezione degli asana) è raggiunta, segue il pranayama. Esso consiste nella regolazione della inspirazione e espirazione”

(Yoga Sutra, II, 49)

“Quando lo yogin ha dominato le sue passioni e osservato una dieta salutare e moderata, dopo che l’asana è stabilmente acquisito, deve praticare il pranayama, secondo gli insegnamenti del maestro”

(Hatha Yoga Pradipika, II, 1)

Secondo Iyengar, pranayama significa “esercizio del respiro” mentre asana non significa esercizio, ma “posizione”. Questo è il modo con cui asana e pranayama sono legati, oltre alle mille sfumature con cui si possono trovare collegamenti tra questi due “anga” dello yoga, come con gli altri. Prima di imparare l’esercizio del respiro, occorre trovare l’asana più appropriata, confortevole ma assolutamente stabile, in modo da trovare il “luogo” per l’espansione del respiro. E’ stata la genialità di Iyengar ad aver perfezionato la pratica del pranayama anche in posizione sdraiata, o con i supporti, in modo da rendere accessibile questo “esercizio” anche a chi non è proprio ancora perfetto in ogni asana; tuttavia occorre capire esattamente le ragioni per cui i testi si sono espressi in questo modo.

Occorre praticare specifici asana che aiutino a sentire i due lati del torace e il sollevarsi dello sterno. In tutte le posizioni, le clavicole sono aperte, in modo da rilassare la gola.

adho mukha virasana, adho mukha svanasana, uttanasana, padangustasana, uttanasana, adho mukha svanasana

Iyengar diceva di immaginare che un filo colleghi la più bassa delle vertebre cervicali con la punta superiore dello sterno. Più lo sterno sale, più le vertebre cervicali scendono e vanno verso l’interno del corpo. Questa “posizione” , fondamentale per il pranayama, si impara con l’esecuzione di alcuni asana, e soprattutto di parsvottanasana, prasarita padottanasana, padangustasana,

Paschima namaskarasana, parsvottanasana (mani in namaskarasana), prasarita padottanasana 1 e 2

Sirsasana preparazione, più volte, cambiando incrocio delle dita ogni volta. Spostare il peso dai gomiti ai polsi. Ripetere, sollevare la testa per far salire di più le scapole. Poi con la cima della testa a terra

ciclo di vajarasana

salabasana, makarasana, ustrasana. Imparare a sollevare la punta superiore dello sterno

paryankasana con le gambe incrociate e i supporti

chatuspadasana. Osservare come sale lo sterno e come rientrano le vertebre cervicali

sarvangasana, setubanda sarvangasana

savasana

Costruire la posizione per il pranayama seduto, senza oscillare con la schiena. Osservare la stabilità. la comodità della posizione e cercare lo spazio interno. Eseguendo jalandhara  bandha lo sterno sale e le cervicali rientrano. 5 minuti di respirazioni normali mantenendo la posizione.

Costruire la posizione per il pranayama sdraiato, con le gambe incrociate e una coperta sotto le scapole. Osservare la posizione della colonna e delle lombari soprattutto. Osservare lo spazio che si crea per il respiro in questo modo. 10 minuti di ujjyai pranayama

Ujjyai pranayama in posizione seduta.

Viloma pranayama in posizione sdraiata (supporti sotto la schiena, gambe rilassate e allungate)

Viloma pranayama in posizione seduta. Espirando, sollevare i due lati del torace. Mantenere la sommità dello sterno su quando si espira. Quando questo è imparato, prolungare l’espirazione.

Savasana

 

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