La mente yogica (una vacanza studio in Sardegna)

Alla conclusione di un bellissimo viaggio di studio in Sardegna, l’argomento scelto per le conversazioni di filosofia, “La mente yogica” si è rivelato davvero felice, come se il grande Maestro BKS Iyengar ci avesse suggerito di volta in volta le parole giuste per aiutare ogni praticante nel suo percorso. L’alternarsi di lezioni di pranayama, asana e filosofia yoga ha aiutato tutti ad entrare più in profondità in questo immenso campo di conoscenza. Ha aiutato me soprattutto, l’insegnante, ad integrare i diversi aspetti dello yoga e a cercare le espressioni più semplici e dirette per agevolare la comprensione. Il luogo scelto per il nostro viaggio ha certamente fatto sì che lo studio si svolgesse nelle condizioni ottimali: la confortevole ospitalità dell‘hotel Sandalyon, a San Teodoro; la stagione non più di affollamento dei luoghi e delle spiagge, il tempo variabile ma per lo più soleggiato, la presenza di una “sala yoga” con il cielo al posto del tetto, ma riparata dal vento…

La mente sfugge alla nostra comprensione come il mercurio sfugge dalle dita. Sentiamo che è vicina a noi ma non riusciamo ad afferrarla. L’idea comune occidentale che la sede della mente sia il cervello accresce la confusione. YS, III.34: hṛdaye citta-saṁvit, ovvero [Con il saṁyama] sul cuore, nasce la conoscenza della mente. Che cosa è saṁyama? E’ l’insieme delle fasi più elevate del percorso dello yoga, dalla concentrazione alla meditazione. Ma noi possiamo benissimo intenderlo come pratica yoga e basta. Non per nulla esistono āsana che portano la cima della testa in basso, mantenendo il torace aperto. Nel suo testo “Yaugika Manas. Know and realise the yogic mind” (Mumbai, 2010), BKS Iyengar ci accompagna in un viaggio affascinante sul come la pratica yoga cambi l’atteggiamento mentale e permetta di avvicinarsi alla realtà della mente. Normalmente, la mente è condizionata dalle impressioni dei sensi che creano esperienze di gioia e dolore, di esaltazione e depressione. La confusione peggiora quando non si comprende che il nostro punto di vista di essere umano è molto limitato; eppure l’io, che fa parte della mente, si sente al centro dell’universo e quindi patisce una sensazione di continua frustrazione o prigionia.

YS, II.1: tapaḥ-svādhyāyeśvara-praṇidhānāni kriyā-yogaḥ, ovvero Kriyā-yoga, il cammino dell’azione, è costituito da autodisciplina, studio e devozione al Signore. Guruji aggiunge: con la pratica dello yoga, la mente può essere allargata, estesa, stirata, allungata, focalizzata, concentrata. L’attenzione necessaria alla pratica degli āsana poco per volta ci insegna tutto questo, a condizione di praticare con disciplina, passione e devozione. Cosa vuole dire devozione in questo caso? Vuole dire fiducia in uno scopo più alto, al di là del semplice esercizio fisico. Lo scopo più alto è il trascendere la condizione della mente individuale, che è legata alle continue modificazioni del mondo naturale. Per quanto riguarda la mente, le continue modificazioni le possiamo sentire nel variare continuo dello stato mentale e dalle “fluttuazioni” che, al di là della nostra volontà, disturbano la quiete. Le affermazioni di Patañjali si basano su un preciso sistema filosofico, il sāṅkhya. Secondo questa antica filosofia dell’induismo ortodosso, l’intelligenza cosmica diventa intelligenza individuale e l’energia cosmica diventa energia individuale. L’essere umano comunica con l’esterno grazie ai cinque sensi, ai cinque organi di azione e cinque organi di percezione. La mente si trova così al centro di un sistema complesso e può essere attirata, come da una calamita, dai piaceri dei sensi oppure dalla propria vera natura spirituale.

Lo studio della filosofia yoga, alla fine, sta nello studio della mente che è al centro delle due realtà, il mondo naturale e il mondo spirituale. Aveva colto bene Roberto Calasso spiegando la filosofia degli antichi rishi che “udirono” la sapienza direttamente da Brahman: “L’unico pensiero è il riconoscimento che l’esistenza dell’universo è un fatto secondario e derivato rispetto all’esistenza della mente” (Ka, Milano, 1996, pp.205-206). Infatti fa parte della stessa sapienza “udita”, un’altra fonte cui BKS Iyengar fa spesso riferimento, la Taittirīya Upanishad, un testo la cui origine (quale sapienza orale) si fa risalire alla prima metà del primo millennio a.C. In questo testo si racconta la teoria dei kosha, gli strati che avvolgono l’anima, o Atman, la versione individuale di Brahaman. In questo nucleo profondo esistono tre livelli denominati nell’insieme ananda-maya kosha, o livelli di beatitudine. Questi sono avvolti da Vijñãnamaya kosha, o livello dell’intelligenza. Si tratta della parte più evoluta della mente, a diretto contatto con i luoghi dell’anima. L’intelligenza è avvolta dalla mente, o manomaya kosha, che riceve le impressioni dagli organi di azione e organi di percezione. La mente è avvolta dallo strato energetico-fisiologico o pranamaya kosha. l’insieme delle fonti di energia individuale che nutrono la persona fisica. L’energia individuale è avvolta dallo strato materiale in senso stretto, muscoli, ossa e articolazioni. Il testo delle Upanishad ne parla come “livello del cibo”. Si chiama annamaya kosha.

il nostro Guru, BKS Iyengar ha studiato tutta la vita i rapporti corpo e mente per insegnare agli occidentali, che hanno difficoltà a comprendere questa filosofia, come attraversare gli strati dell’essere umano proprio partendo dal corpo. Iyengar amava ricordare un sutra in cui si spiega che con la pratica degli āsana, il dualismo tra mente rivolta all’esterno e all’interno viene superata: II.48 tato dvandvānabhighātaḥ, in questo modo non si è afflitti dalla dualità degli opposti, e “questo modo” è la pratica degli āsana (se correttamente eseguite), ovvero posizioni stabili e confortevoli, perché lo sforzo che normalmente viene generato dalle impressioni dei sensi è annullato dalla “meditazione in azione” che permette di riassorbire all’interno le sensazioni del corpo. Con gli āsana si integra il lavoro degli organi di azione con gli organi di percezione,  la mente, l’intelligenza e la consapevolezza. Con la nostra pratica abbiamo sperimentato, ci siamo esercitate a sentire questo. Se si tratta il corpo come un oggetto si percepisce sforzo, ma se lo stesso corpo diventa il soggetto, l’anima o «vero sé» si riunisce al corpo. Il percorso dello yoga è un percorso verso l’interiorità e il controllo delle fluttuazioni; così la pratica trasforma il corpo e la mente.

La spiaggia Isuledda

La vacanza studio è stata piacevole e proficua perché eravamo un bel gruppo: Isa, Clara, Franca, Laura, Angela, Luciana, Caterina, Dianella, Silvana, Anna, Margherita, Gavino. Un grazie speciale alle colleghe Alessandra Belloni e Maria Antonietta Cugusi per la loro partecipazione….a presto!

Video lezioni di Iyengar Yoga

Nel mese di giugno ho tenuto sulla pagina Facebook di Yoga AKHU APS due lezioni settimanali. Penso di fare una cosa utile riunendo i link ai video in un’unica pagina in modo da consentire anche a chi non ha il profilo Facebook di seguire queste lezioni.

Chi desidera può contribuire alle attività dell”associazione Yoga Akhu APS con un contributo ad Emergency, direttamente tramite il sito, oppure con un bonifico intestato a EMERGENCY Ong Onlus 
IBAN IT65L0306909606100000073489.

Una lezione adatta per studenti intermedi con pratica di torsioni e posizioni adatte per chi ha problemi alla colonna lombare
Pratica di Iyengar Yoga per studenti principianti e intermedi, con attenzione all’equilibrio sulle gambe e posizioni in piedi
Una pratica adatta a studenti intermedi con particolare attenzione alle mani e piedi, per portare l’energia dalla periferia verso il centro del corpo
Una pratica per migliorare la flessibilità degli inguini e la stabilità delle posizioni sedute. Per studenti intermedi
Una pratica per principianti per rendere gli inguini più flessibili e preparare le posizioni sedute
Una pratica di preparazione delle posizioni “in avanti” mantenendo aperto il torace. Per tutti i livelli di pratica
Una pratica introduttiva alle posizioni che sollevano il torace lavorando sulle scapole
Una lezione per sollevare lo sterno e preparare le estensioni della colonna “indietro”
Una pratica adatta a rilassare il corpo e la mente e a preparare per il pranayama
Una pratica per rilassare il corpo e la mente e preparare il pranayama. Adatto per gli studenti intermedi

Come migliorare l’equilibrio tra “azione” e percezione in Iyengar Yoga

Il prossimo seminario si svolgerà domenica 2 febbraio, dalle 10 alle 13, presso “Yoga Room” in Via Lombroso 6, Torino.

Il seminario è rivolto ad allievi intermedi e avanzati di Iyengar® Yoga, a chi intende iniziare o perfezionare un percorso di insegnamento, agli allievi di Iyengar Yoga volenterosi e desiderosi di apprendere. No principianti assoluti. Gli allievi di altri “stili” di yoga devono contattarmi prima al 3357011099.

Lo studio delle “azioni” per la pratica degli asana in Iyengar Yoga richiede in primo luogo la pratica quotidiana finalizzata allo sviluppo della sensibilità individuale. Tuttavia, ognuno di noi ha difficoltà e necessita di essere indirizzato e corretto; inoltre, non è sufficiente studiare una sola volta il “cosa fare” per sentire ed eseguire correttamente un asana, ma occorre ripetere e praticare perché il momento in cui si inizia a “sentire” l’azione corretta è soltanto l’inizio di un percorso e non certo l’obbiettivo.

Occorre affinare l’equilibrio tra l’azione e la percezione, perché se l’azione è forte o violenta, i muscoli sono troppo attivi e la pelle, organo di percezione per eccellenza, non può sentire. Se l’azione è troppo blanda, si riceve invece una sensazione di instabilità e disagio. Equilibrando l’azione e la percezione, si possono eseguire  aggiustamenti sempre più fini e correggere la posizione fino a sentire completamente i suoi effetti benefici sul corpo e sulla mente.

Questi gli argomenti svolti sinora:

Come “stirare le gambe” (22 settembre 2019); come portare “la parte alta delle cosce indietro”(13 ottobre 2019); come portare “la testa del femore nell’acetabolo”(17 novembre 2019); come allungare il sacro verso i talloni (15 dicembre 2019); come allineare i due lati del bacino (12 gennaio 2020).

I prossimi seminari:  2 febbraio, 1 marzo, 19 aprile, 17 maggio, 7 giugno.  Indispensabile prenotazione.

Il cammino della devozione: Asana/Samyama (da una lezione di Geetaji)

Nel seminario del 23 giugno abbiamo affrontato la tappa più difficile: Il percorso della devozione: Dharana, Dhyana, Samadhi. Sono gli “anga” più elevati, tre fasi, per così dire, del percorso meditativo: in Dharana, la concentrazione è ancora intermittente, sebbene molto allenata e sorretta da fede profonda, in Dhyana, il flusso dell’attenzione scorre senza disturbi e senza pause; in Samadhi, il livello di attenzione è tale che la persona che medita si identifica completamente con l’oggetto della meditazione, il vero sé.

Guruji si è espresso molte volte su Dhyana e ha affermato che la pratica della meditazione vera e propria non si esegue in classe, ma ognuno la deve praticare individualmente. In classe si praticano Asana, Pranayama e  Dharana, alla ricerca di quel flusso ininterrotto che permette allo sforzo fisico di annullarsi nella pura concentrazione.

Geetaji ritorna spesso su questo argomento nelle sue lezioni, in particolare in una classe tenuta a Pune ha citato anche il Samyama, e quindi nel seminario questa è stata l’ispirazione per la sequenza.

Per prima cosa occorre imparare a praticare gli asana e capire che cosa significa praticare gli asana. Non dovete pensare che chi è flessibile può fare la posizione e chi non lo è non la farà mai. Questo significa avere paura del cambiamento; ma senza cambiamento non c’è evoluzione e soprattutto non c’è samyama.  Gli asana sono preliminari perché insegnano a cambiare, a modellare il proprio corpo, a renderlo silenzioso. Soprattutto insegnano un processo di apprendimento.   Il corpo e la mente sono tamasici per natura. Per superare questo, occorre tenere la mente vicino al corpo, non a vagare per conto suo.  Se il corpo non risponde, vuol dire che la mente non è vicino al corpo, oppure sente che sta avvenendo qualcosa di sconosciuto e prova paura. Nirodah per la mente è qualcosa di sconosciuto, per questo è tanto difficile.

samyama1Supta swastikasana. Incrociare le gambe in swastikasana, portare i piedi più vicino al bacino per compattare i femori, estendere le braccia per estendere i due lati del torace. Scapole in dentro, lombari giù. Mettere le mani come in urdhva dhanurasana, sollevare il torace come in paryankasana e appoggiare la cima della testa a terra. Se non è possibile, sollevare le ginocchia, mettere le mani sotto le cosce e puntando i gomiti, fare l’azione di paryankasana.

Badda konasana, spingere le piante dei piedi ed estendere la schiena a terra in supta badda konasana. spingere l’osso sacro a terra, rilassante gli inguini, estendere le braccia oltre la testa. Ora afferrare con le mani le caviglie (palmi verso l’alto) e spingere di più l’osso sacro all’interno, e gli inguini verso il basso.  ora portare le mani sotto le cosce, sollevare il torace come nella posizione precedente, mettere le mani in urdhva dhanurasana e portare di più la cima della testa verso il bacino.

Virasana. Portare le mani sulla pianta dei piedi  e andare in paryankasana. Non estendere le braccia per ora. Sollevare le scapole, spingere il dorso dei piedi, le tibie, gli ischi, la cima della testa, i gomiti. Poi andare in supta virasana ed estendere le braccia.

Una gamba in padmasana, l’altra in swastikasana (ardha padmasana). Il piede in swastikasana va sotto la coscia opposta. Paryankasana, spingere le cosce al pavimento, gli ischi giù, poi estendere i due lati del tronco, braccia estese oltre la testa. Altro lato.

Padmasana, matsyasana. Afferrare con le mani i metatarsi per portare la cima della testa più vicina al bacino. inguini giù, cosce giù. Poi estendere la schiena a terra. Altro lato.

dandasana. Spingere i gomiti a terra  e portare la cima della testa a terra. Afferrare i due lati del tappetino per sollevare di più le scapole.

uttanasana

sirsasana. Badda konasana in sirsasana.

samyama2parivrtta janu sirsasana. Un gomito lontano dalla gamba distesa, l’altra mano alla vita. Spingere il gomito e ruotare portando in dentro e in su la scapola. Il torace fa matsyasana. Tenere il lato interno del piede per fare leva con il gomito e aiutare la torsione.  Dovete capire perché il gomito non va giù. Non ruotate la testa prima di aver portato il gomito giù ed aver eseguito la torsione.  Una seconda volta. Ora il torace deve scendere, ma si deve ruotare verso il soffitto, le spalle allineate. Estendere il braccio verso il piede della gamba tesa, mano in su, poi piegare il gomito. Aiutare con l’altra mano a portare il gomito più in avanti.  Portare un lato del tronco verso il basso, l’altro verso l’alto. Occorre fare lo sforzo, aiutarsi con l’altra mano, se il gomito non scende.  Ma prima dovete fare l’estensione di quel lato, se contraete, il gomito non potrà mai scendere.  Se non siete capaci, potete iniziare con delle torsioni più semplici, oppure praticare con il muro. La gamba distesa vicino al muro, la schiena al muro, ora potete estendere il torace e immaginare che ci sia una televisione al soffitto, guardate là!

Parivrtta janu sirsasana. Una gamba piegata, l’altra tesa, torace rivolto in avanti. Ruotare la gamba tesa completamente, mettere la mano sotto la coscia per ruotarla. Estendere il lato della gamba, piegare il gomito ed estendere la mano oltre al piede per ruotare l’addome e il torace. Le scapole fanno paryankasana. L’altra mano in vita. Ora estendete il braccio opposto in linea come in parsvakonasana.  Infine afferrate il lato esterno del piede, piegate tutti e due i gomiti e ruotare.

Sayama3Utthita parsvakonasana=parivrtta janu sirsasana. Ruotare una coscia completamente, scapole giù, lati del torace su. Piegare ad angolo retto la gamba, radice della coscia giù, ginocchio indietro. La natica in avanti, come in parivrtta janu sirsasana.  Portare la mano giù, l’altra in vita. Se l’inguine non lavora piegare il gomito e spingere il ginocchio indietro e la natica in avanti, come nella posizione precedente. Ruotare le costole e portare il braccio opposto su.

Uttanasana

parivritta janu sirsasana. Preparazione. Connessioni con utthita parsvakonasana.  Piegare una gamba e ruotare. Osservare la gamba tesa, come si mantiene la rotazione della gamba? Dovete resistere con la natica in avanti. Come in utthita parsvakonasana, il piede e l’ischio della gamba davanti devono essere allineati

utthita parsvakonasana. Ruotare la coscia indietro, come in parivrtta janu sirsasana.  Ora la mano dietro e estendere il braccio opposto

parivrtta janu sirsasana.  Osservare l’allineamento. Il punto più difficile da muovere è la mente, muovere dalle abitudini, dallo stato tamasico.  Le prime volte il corpo può essere indolenzito, per questo la mente si rifiuta. E’ come partire da samashtiti: la gamba ruota di 90° la caviglia e l’ischio sono allineati, i due lati del torace sono allineati. Quando si allunga il torace verso la gamba tesa, addome e costole ruotano nella direzione opposta. Il bacino è il fulcro. La gamba dietro resiste e resta ruotata, non si muove in dentro. Ora si aggiungono le braccia e mantenendo le natiche in dentro si ruota di più.

upavishta konasana. Natiche in dentro, come parivrtta janu sirsasana. Integrazione: Dharana, Dhyana, Samadhi. Le azioni imparate in parivrtta janu sisrsasana devono essere integrate in utthita parsvakonasana. Questo è Samyama. Quanta attenzione è necessaria per questa integrazione? Ci vogliono anni di pratica per fare upavishta konasana, come samashtiti.  Andiamo dalla frammentazione all’integrazione. Eppure la mente scappa dall’integrazione, preferisce la frammentazione.

ardha chandrasana. Integrare tutte le azioni: utthita parsvakonasana, paryankasana, parivrtta janu sirsasana. E ogni asana va osservata in questo modo, ogni azione va integrata in questo modo. E’ un linguaggio che va perfezionato negli anni.  E’ un solo fluire di attenzione, come in Dhyana. Controllare voi stessi dal corpo, questo è il messaggio di Guruji.  Occorre partire dagli asana, dal corpo, finché non c’è integrazione nelle azioni del corpo, non c’è Samyama.

setubandha mattone

III.1 deśa-bandhaś cittasya-dhāraṇā

la concentrazione è fissare la mente in un luogo

III.2 tatra pratyayaika-tānatā dhyānam

la meditazione è fissare la mente su una sola immagine

III.3 tad evārtha-mātra-nirbhāsam svarūpa-śūnyam iva samādhiḥ

Avviene il samadhi quando la stessa meditazione riluce e la mente è priva della sua propria natura

III.4 trayam ekatra saṁyamaḥ

La pratica di questi tre si dice samyama

(Questa lezione di Geetaji è stata tenuta a Pune nel giugno 2009)

 

Asana/Dharana. Concentrare l’attenzione

Sabato 24 marzo, in Via Guastalla, dalle 9 alle 12, abbiamo praticato una sequenza di asana e pranayama allo scopo di comprendere dhāraṇā, il sesto “stadio” dello Yoga, la concentrazione

Simbolo di dhāraṇā, la dea Durga,  una madre divina combattente. Mentre l’auriga doveva faticare per mantenere i cavalli del carro (=organi di senso) sulla retta via, e questa è la pratica del pratyahara, Durga cavalca tranquillissimi leoni e tigri addomesticati, mostrando, con eleganti gesti delle molte braccia, i simboli della concentrazione. Dhāraṇā è infatti un “anga” dello yoga di livello superiore e presuppone l’aver già raggiunto una forma di indifferenza verso le cose del mondo. 

Durga-Kavach

Alla concentrazione, dhāraṇā, Patanjali dedica un solo sutra, il primo del vibhūti-pādaḥ  e dicendo che “la concentrazione è il fissare l’attenzione su un punto”. Patanjali non dice “dove” va fissata l’attenzione, ma i commentatori propongono sia oggetti “interni” al corpo, come i famosi chakra, oppure la punta del naso, lo spazio tra le sopracciglia ecc. , che oggetti “esterni”, forme divine, una fiamma, un suono ecc.

Iyengar sostiene che l’attenzione di chi  pratica gli asana è dhāraṇā, da più punti di vista: può essere la concentrazione intensa “degli organi d’azione e i sensi di percezione verso la mente e la mente verso il centro” ma anche “l’arte di ridurre le interruzioni della mente, in modo da eliminarle completamente”. La facoltà della mente che deve intervenire è buddhi, la discriminazione costante, infinitesimale.

Per esercitare dhāraṇā nel corso della pratica degli asana occorre cambiare punto di vista. Fissare l’attenzione è difficile per chiunque, e mantenerla ancora più difficile. Occorre rendere l’esecuzione degli asana “puntiforme”. Non si tratta di “eseguire” posizioni e tanto meno di “praticare” una sequenza. Bisogna  seguire e indirizzare con grande meticolosità, attimo per attimo, il movimento che il corpo/mente esegue, identificando le azioni che si stanno eseguendo; in altri termini, “fissare” l’attenzione e comprendere come la mente indirizza il corpo per entrare, rimanere ed uscire dalla posizione.

IMG_5078Quando pratichiamo un asana, per esempio ardha chandrasana, l’attenzione normalmente si muove velocemente su differenti punti del corpo mentre eseguiamo i diversi passaggi che ci portano alla posizione finale. Con la concentrazione, oltre a questo,  possiamo scegliere infiniti passaggi intermedi  in cui fissare l’attenzione. In ogni passaggio occorre eseguire una breve pausa, fissare l’attenzione ed identificare le azioni che il corpo sta facendo/deve/dovrebbe fare. Ad esempio, utthita trikonasana/utthita parsvakonasana/avvicinare la gamba dietro mantenendo l’allineamento della gamba davanti/alzare la gamba dietro con la gamba sotto piegata/stirare la gamba sotto/l’interno della coscia sale e la caviglia scende/portare l’esterno della coscia della gamba sotto indietro/ruotare il bacino verso l’alto/ruotare il torace verso l’alto/guardare il soffitto e ritornare seguendo gli stessi passaggi.

Per posizioni complesse, come parivrtta parsvakonasana, parivrtta ardha chandrasana è possibile individuare un numero ben maggiore di passaggi/momenti/luoghi/azioni.

Operare in questo modo è indispensabile per imparare asana più complicate e avanzate, o che richiedono l’utilizzo di azioni già sperimentate e praticate in asana più semplici.  Ad esempio, per imparare padmasana, è necessario aver appreso l’azione di rotazione della coscia verso l’esterno di Janu sirsasana.

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Questa la sequenza praticata:

Utthita parsvakonasana

ardha chandrasana

parivrtta trikonasana

parivrtta parsvakonasana

parivrtta ardha chandrasana

adho mukha svanasana

sirsasana

virasana

Janu sirsasana

ardha badda padma paschimottanasana

padmasana

marichasana 2

marichasana 3

sarvangasana

supta badda konasana

savasana

III.1 deśa-bandhaś cittasya-dhāraṇā

La concentrazione è fissare la mente in un luogo

III.52 kṣaṇa-tat-kramayoḥ saṁyamād viveka-jaṁ jñānaṁ

Praticando il samyama [l’insieme di dharana, dhyana e samadhi] nell’attimo, e nella successione degli attimi, si arriva alla conoscenza della discriminazione

Asana e Pratyahara: disciplinare la mente

Il Pratyahara è il quinto stadio dello yoga: segue Asana e Pranayama e precede Dharana, Dhyana e Samadhi. Secondo BKS Iyengar, Asana, Pranayama e Pratyahara costituiscono “Il cammino della conoscenza”. Guruji ha citato molto spesso il ruolo fondamentale del Pratyahara nella pratica yoga e l’ha definito “controllo ed emancipazione della mente dal dominio dei sensi e degli oggetti esteriori”, ricordando la famosa leggenda dell’uomo sul carro, che  risale addirittura alle Kathopanishad e si adatta perfettamente a spiegare l’importanza del pratyahara: “Riconosci l’Atman come il Signore in un carro, la ragione come l’auriga e la mente come le redini. I sensi sono i cavalli e gli oggetti del desiderio sono i pascoli….”. Per realizzare questo, occorre capire come funziona quello che noi chiamiamo “mente”. Secondo la filosofia yoga, la mente, citta, è costituita da manas, buddhi, ahamkara. In questo caso è il primo “livello” della mente che lavora e si stabilizza, rimanendo concentrata e stabile. Manas, intesa in questo modo, è quasi un organo di senso anch’essa: è la parte della mente che ascolta i richiami del mondo esterno, che li accumula formando impronte (samskara) nel cervello, generando una serie infinita di cause-effetto. Pensate come il nostro mondo induca ad una sempre maggiore possibilità di distrazione per la mente: internet, televisione, smartphone, whatsapp, social media, tutto questo ci fa stare continuamente all’erta, mai veramente  concentrati su una cosa sola. Non possiamo certo fermare “il progresso” ma è necessario capire come funziona la mente e perché l’obbiettivo dello yoga è quello di fermare le fluttuazioni.

 YS, II.54 svaviṣayāsamprayoge cittasya svarūpānukāra ivendriyāṇāṁ pratyāhāraḥ

Pratyahara,  il ritirarsi dagli oggetti dei sensi,  avviene quando i sensi non entrano in contatto con i rispettivi oggetti. Corrisponde cioè alla pura natura della mente senza le impressioni sensoriali.

 

Sabato 3 marzo in Via Guastalla 5, Torino, abbiamo praticato  una sequenza di asana e pranayama volta a comprendere il significato di questo “ramo” dello yoga, indispensabile al cammino verso le fasi più avanzate. Più è profonda la concentrazione nella pratica di Asana e Pranayama, più si comprende il significato del Pratyahara; alcuni asana e tecniche di pranayama sono particolarmente adatte allo studio di questo stadio dello yoga.

Supta Padangusthasana. Sappiamo tutti che la traduzione letterale  è “posizione distesa tenendo l’alluce”. Normalmente si insegna con la cintura. In questo caso afferrate l’alluce con indice e medio, spingendo l’alluce contro le due dita, senza piegare le falangi e mantenendo questa azione stirare la gamba a 90°. Se l’esecuzione con la cintura aiuta l’allineamento, afferrare l’alluce consente alla mente di mantenere i sensi sotto controllo. Rilassare lo sguardo al centro del torace, rilassare le tempie. Il corpo diventa silenzioso.

Adho mukha svanasana

Padangustasana

Adho mukha svanasana

Padangustasana

pratiharaVrchasana. Le posizioni di equilibrio richiedono la concentrazione. Impossibile mantenere l’equilibrio se lo sguardo vaga, se la mente non è focalizzata. In questo caso, si tratta di un momento breve, ma di notevole qualità ed intensità. La mente deve controllare gli organi di percezione, altrimenti l’equilibrio non è possibile. Questo è il modo più accessibile, nella pratica degli asana, di tenere i sensi sotto controllo.

Garudasana. 

Vrchasana

Garudasana

Sirsasana. il Pratyahara, diceva Iyengar, è uno stadio in cui la mente si stabilizza. Sirsasana è la posizione in cui per eccellenza la mente si riposa e diventa stabile, controllando completamente il corpo.

padangustha paschimottanasana

ubhaya padangusthasana

gomukhasana

akarna dhanurasana. Nel momento in cui l’arciere sta per scoccare la freccia dal suo arco, non può certo distrarsi. In questa posizione, oltre alla presa dell’alluce, la concentrazione è aiutata dal portare il piede in direzione dell’orecchio (aKarna)

ustrasana

dhanurasana

urdhva dhanurasana

setubanda sarvangasana

Ujjyay pranayama. Iyengar dice che il pratyahara è “nascosto” all’interno dell’esercizio del respiro. Se il respiro è tranquillo e controllato, anche la mente è controllata. Il momento del controllo totale avviene durante la ritenzione del respiro. Questo va preparato con viloma pranayama. 

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Brahmari Pranayama.  La pratica per comprendere Pratyahara deve ricordare questo tipo di pranayama e Sanmukhi Mudra. Brahmari significa calabrone perché durante l’espirazione si produce un suono sordo, simile al ronzio di un insetto. Questa pratica è molto antica e ricordata nell’Hatha Yoga Pradipika. Guruji dice che il momento migliore per eseguire questo pranayama è nel cuore della notte perché nel silenzio e nell’oscurità totale la concentrazione su questo suono “interno” può essere più profonda. Nelle fasi più avanzate, si abbina Sanmukhi Mudra: le dita delle mani servono per chiudere gli organi di senso, i gomiti sono aperti ai due lati delle spalle e piegati, le dita disposte in questo modo: i pollici chiudono le orecchie, direttamente posati sui fori oppure spingendo gentilmente verso i fori la cartilagine; gli indici  e i medi sono sopra le palpebre, in modo da distendere gentilmente la pelle delle palpebre; gli anulari ai lati del setto nasale, restringendo i passaggi nasali; i mignoli sul labbro superiore, percepiscono il fluire del respiro. Si tratta di un pranayama avanzato, da praticare per pochi minuti: è interessante perché permette di sentire che cosa gli antichi yogi intendessero con pratyahara.

Asana/Pranayama

 

 

“Quando questo (la perfezione degli asana) è raggiunta, segue il pranayama. Esso consiste nella regolazione della inspirazione e espirazione”

(Yoga Sutra, II, 49)

“Quando lo yogin ha dominato le sue passioni e osservato una dieta salutare e moderata, dopo che l’asana è stabilmente acquisito, deve praticare il pranayama, secondo gli insegnamenti del maestro”

(Hatha Yoga Pradipika, II, 1)

Secondo Iyengar, pranayama significa “esercizio del respiro” mentre asana non significa esercizio, ma “posizione”. Questo è il modo con cui asana e pranayama sono legati, oltre alle mille sfumature con cui si possono trovare collegamenti tra questi due “anga” dello yoga, come con gli altri. Prima di imparare l’esercizio del respiro, occorre trovare l’asana più appropriata, confortevole ma assolutamente stabile, in modo da trovare il “luogo” per l’espansione del respiro. E’ stata la genialità di Iyengar ad aver perfezionato la pratica del pranayama anche in posizione sdraiata, o con i supporti, in modo da rendere accessibile questo “esercizio” anche a chi non è proprio ancora perfetto in ogni asana; tuttavia occorre capire esattamente le ragioni per cui i testi si sono espressi in questo modo.

Occorre praticare specifici asana che aiutino a sentire i due lati del torace e il sollevarsi dello sterno. In tutte le posizioni, le clavicole sono aperte, in modo da rilassare la gola.

adho mukha virasana, adho mukha svanasana, uttanasana, padangustasana, uttanasana, adho mukha svanasana

Iyengar diceva di immaginare che un filo colleghi la più bassa delle vertebre cervicali con la punta superiore dello sterno. Più lo sterno sale, più le vertebre cervicali scendono e vanno verso l’interno del corpo. Questa “posizione” , fondamentale per il pranayama, si impara con l’esecuzione di alcuni asana, e soprattutto di parsvottanasana, prasarita padottanasana, padangustasana,

Paschima namaskarasana, parsvottanasana (mani in namaskarasana), prasarita padottanasana 1 e 2

Sirsasana preparazione, più volte, cambiando incrocio delle dita ogni volta. Spostare il peso dai gomiti ai polsi. Ripetere, sollevare la testa per far salire di più le scapole. Poi con la cima della testa a terra

ciclo di vajarasana

salabasana, makarasana, ustrasana. Imparare a sollevare la punta superiore dello sterno

paryankasana con le gambe incrociate e i supporti

chatuspadasana. Osservare come sale lo sterno e come rientrano le vertebre cervicali

sarvangasana, setubanda sarvangasana

savasana

Costruire la posizione per il pranayama seduto, senza oscillare con la schiena. Osservare la stabilità. la comodità della posizione e cercare lo spazio interno. Eseguendo jalandhara  bandha lo sterno sale e le cervicali rientrano. 5 minuti di respirazioni normali mantenendo la posizione.

Costruire la posizione per il pranayama sdraiato, con le gambe incrociate e una coperta sotto le scapole. Osservare la posizione della colonna e delle lombari soprattutto. Osservare lo spazio che si crea per il respiro in questo modo. 10 minuti di ujjyai pranayama

Ujjyai pranayama in posizione seduta.

Viloma pranayama in posizione sdraiata (supporti sotto la schiena, gambe rilassate e allungate)

Viloma pranayama in posizione seduta. Espirando, sollevare i due lati del torace. Mantenere la sommità dello sterno su quando si espira. Quando questo è imparato, prolungare l’espirazione.

Savasana

 

Asana/Yama: “non fare” nello yoga

Ahimsa Satyasteya Brahmacharya Aparigrahah Yamah (YS, II, 30)

Non violenza, veridicità, astenersi dal rubare, continenza e assenza di avidità per i beni materiali al di là delle proprie necessità sono i cinque pilastri di  yama (Iyengar, traduzione di G. Giubilaro)

Le astensioni (yama) sono: non nuocere, non dire falsità, non rubare, non compiere attività sessuale, non trattenere nulla per sè (Squarcini)

Questo seminario (28 ottobre2017) dedicato ad Asana e Yama (l’immagine in copertina  viene di qui)  prosegue la serie già iniziata la scorsa primavera, in cui sono state proposte sequenze ispirate da alcune “parole chiave” degli Yoga Sutra: la stabilità, il distacco, l’ardore, il coraggio, la conoscenza.

Prosegue soprattutto la materia del seminario su Asana/Dhyana in cui erano state studiate le posizioni “originarie” dello yoga in quanto utilizzate, secondo alcuni commentatori, soprattutto per la meditazione.

Poiché gli Yama sono a capo dell’elenco degli otto “anga”,  si può dedurre che la dedizione alla pratica yoga non sia matura sino a quando gli yama non sono entrati a far parte del comportamento e della pratica di vita individuale. Iyengar, nella sua introduzione agli Yoga Sutra con la traduzione e commento di Edwin Bryant,  ha osservato che yama e nyama costituiscono il percorso della  “pratica”, ovvero occorre praticare yama e nyama per controllare  le fluttuazioni della mente.

La non violenza (ahiṁsā) é stata la parola d’ordine di Gandhi ed è il grande messaggio che l’India ha regalato al resto del mondo. Se Yama costituiscono la radice dello yoga (infatti sono menzionati per primi), ahiṁsā é la radice di Yama. Non danneggiare alcun essere vivente significa anche avere un rapporto corretto con l’ambiente che ci circonda, e con noi stessi.

La verità (satya) il secondo yama, ha a che fare con il corretto processo di apprendimento e di vera conoscenza. La parola deve essere sempre usata a fine di bene e di verità e la verità non deve essere usata con brutalità, ma con gentilezza. Si può dedurre che anche l’ascolto deve essere onesto e attento, rivolto a migliorare la conoscenza spirituale: anche questa è una indicazione per la pratica degli asana.

Non rubare (asteya), il terzo yama, è descritto come non appropriarsi di cose altrui e nemmeno desiderare di farlo. Questo ultimo aspetto è importante , come avevano già suggerito i primi commentatori, perché più si desidera qualcosa, più si è tentati di appropriarsene con ogni mezzo. Non c’è bisogno di ricordare che l’invidia è una malattia perenne, contagiosa in ogni ambiente e ogni periodo storico: è talmente comune che vale la pena di tenere a mente che gli yama sono una “pratica”,  un astenersi da….

Non avere desiderio smodato (brahamacarya) si riferisce non solo  alla sfera sessuale, ma può benissimo riferirsi al cibo, e a molte abitudini di vita che ci vogliono assuefatti.

Rinunciare all’avidità è non attaccamento (aparigrahah). La Bhagavad Gita insiste molto su questo punto, e il non attaccamento è anche ai risultati delle proprie azioni.

ocean-of-life
Come interpretare gli yama per la pratica degli asana? Gli studenti di yoga (soprattutto quelli intermedi ed avanzati! E gli insegnanti ancora di più) non resistono alla tentazione di vedere gli asana come una sfida. Non c’è niente di male in questo perché è sempre necessario mettersi alla prova, non fare di più di quello che si è in grado di fare, ma nemmeno di meno, altrimenti prevale la pigrizia. Tuttavia,  come bene spiega nelle sue lezioni Prashant Iyengar, è facile cadere nella logica del “fare”: fare la pratica, fare gli asana, fare il pranayama, fare meditazione, fare dieci minuti di sirsasana più le variazioni ecc.

In una  pratica matura degli asana si dovrebbe aver superato il semplice “fare” per chiedersi che cosa “fanno” gli asana per noi: e qui si aprono molte risposte ed anche molti interrogativi.

Praticare gli asana tenendo presente Yama significa non identificarsi con le proprie fluttuazioni (YS, I, 4), ma porsi in ascolto con la massima onesta ed equanimità possibile: equilibrare il lato destro e il sinistro, la parte anteriore e quella posteriore, la parte volitiva e quella pigra, la parte onesta e quella che vorrebbe “rubare” energia.

B.K.S. Iyengar ha osservato, a proposito della pratica degli asana, che la flessibilità che si ottiene è il simbolo della flessibilità che si raggiunge rispetto ai problemi e alle sfide della vita: non è l’ambiente esterno che si deve continuare a modificare -e questo richiederebbe spesso il ricorso alla violenza, menzogna, furto di risorse, desiderio smodato, avidità- ma è lo studente di yoga che si deve continuamente riequilibrare internamente ad ogni livello, fisico, emozionale e mentale.  Diversamente, la pratica degli asana, da sola,  sarebbe soltanto ginnastica.

E’ evidente la potenza grandissima dei cinque Yama, capaci da soli, nella pratica corretta, di permettere il raggiungimento dello scopo dello yoga. Non si tratta certo di un primo passo ma forse del più difficile: fortunatamente esistono gli altri “anga” tra cui gli asana, la cui pratica è più facilmente accessibile per noi e che quindi possiamo coltivare con particolare attenzione ai precetti di Yama.

Ed ecco una possibile sequenza di posizioni tutte supportate, che vanno eseguite in modo  da ascoltare le sensazioni del corpo rispetto al supporto. Si tratta di posizioni piuttosto semplici in quanto devono spronare non “il fare”,  ma il “non fare”, l’ascoltare, lo spegnersi delle fluttuazioni, il punto di vista dell’osservatore esterno.

supta tadasana

supta urdhva hastasana

supta pavana muktasana

supta padangustasana 1 e 2. Nel portare la gamba lateralmente, ascoltare dove andrebbe il peso se non contrastato, e ruotare l’ombelico e il torace in direzione opposta.

urdhva prasarita padasana con le gambe a 90° e la cintura.

jatara parivartanasana

img_4256.jpgvajarasana con la cintura alle caviglie

ardha parsva hastasana (v. foto) la mano contro il muro nelle 4 direzioni. Ascoltare un minuto per posizione e per parte.

utikatasana dita al muro

img_42561.jpgutthita trikonasana con il piede dietro al muro. Ruotare ombelico e torace verso il muro, come in supta padangustasana laterale.

utthita parsvakonasana piede dietro al muro

ardha chandrasana piede dietro al muro

parsvottanasana

adho mukha svanasana mani sui mattoni nelle varie direzioni

sirsasana

paschimottanasana mani su due mattoni

marichasana 1

paschimottanasana idem

marichasana 3

paschimottanasana capo supportato

img_42562.jpghalasana con i piedi al muro. Spingere la pianta dei piedi. Estendere le mani in direzione opposta su due mattoni con i palmi verso il basso e verso l’alto.

savasana

 

Bibliografia consultata:

B.K.S. Iyengar, Gli antichi insegnamenti dello Yoga. I Sutra del grande maestro Patanjali, 1997

Taimni I. K. La scienza dello Yoga. Commento agli yogasutra di Patanjali, 1970

Patanjali. Yogasutra, a cura di Federico Squarcini, 2015

E.F. Bryant, The Yoga Sutras of Patanjali. A New Edition, Translation and Commentary, 2015

C. Pisano, Virasamavesa, La contemplazione dell’eroe, 2011 (in particolare la sequenza alle p. 385-389)

 

 

Conoscenza (Jňāna)

Conoscenza (jňāna) è uno dei termini più utilizzati da Patanjali, sia in senso negativo (conoscenza erronea) che positivo (vera conoscenza). L’obbiettivo dello yoga è quello di guidare il sadhaka, il praticante,  verso la vera conoscenza del sé, portando l’osservazione in profondità. Allora, quando citta è calma, “il veggente” risplende della sua luce (I, 3) ovvero nella perfetta conoscenza. Quando si attiva il veggente? Quando il sadhaka supera l’identificazione con le proprie fluttuazioni, quando riesce ad osservarsi “dal di fuori”, senza farsi intrappolare dalle impressioni dei sensi e dai movimenti di citta.

E’ questa una pratica molto interessante, l’esecuzione delle asana con attenzione agli organi di senso, come contribuiscono all’allineamento e alla corretta esecuzione delle posizioni, e come lavorano rispetto alla stabilità delle asana e in generale alla sensazione di armonia : “Sthira sukham asanam” il famoso sutra (2, 46), tanto discusso, che descrive l’asana. Della stabilità abbiamo parlato, ora occorre capire cosa sia sukham, per arrivare alla conoscenza della perfetta asana. Guruji, commentando questo sutra (in Astadala Yogamala, 8, p.152 ss.), aveva osservato che se l’asana è stabile e comoda, allora il veggente dimora nella sua luce, cioè attraverso ogni asana si può raggiungere l’obbiettivo della yoga, espandendo la consapevolezza in ogni parte del corpo.  In questo modo la conoscenza (jňāna) del corpo (prakrti) diventa conoscenza dell’anima (purusa).

IMG_2604Per questo obbiettivo molto ambizioso ho immaginato una sequenza “a pacchetto” che inizia e termina con Savasana e che contiene al centro sirsasana 2, la variazione che più permette di sentire l’equilibrio e l’armonia. Le altre posizioni vanno eseguite con attenzione, oltre che alla stabilità, all’allineamento, almeno un minuto o due per lato, o più. In altri termini, in questa pratica non si pone soltanto l’attenzione agli aspetti fisici, ma si devono sviluppare tolleranza e pazienza, acquistando la capacità di spingere l’osservazione in profondità. Questa pratica è una ottima preparazione per pranayama e dhyana.

Savasana

Adho mukha svanasana

uttanasana

prasarita padottanasana

utthita trikonasana

parsvottanasana

paschimottanasana

janu sirsasana

baradvajasana

setu bandha sarvangasana

sirsasana

sirsasana 2

sirsasana

setu bandha sarvangasana

baradvajasana

janu sirsasana

paschimottanasana

parsvottanasana

utthita trikonasana

prasarita padottanasana

uttanasana

adho mukha svanasana

savasana

L’elenco riportato qui sotto rappresenta una scelta: infatti il termine ricorre con molta frequenza nel terzo Pada, dove si elencano i poteri che vengono raggiunti con il samadhi, di conoscere cose straordinarie

1,8 viparyayo mithyā jňānam atad rûpa pratişţham

La conoscenza erronea o illusoria è basata sul non reale o sul non vero

1, 42 tatra śabdārtha- jňāna-vikalpaiḥ saṅkīrņā savitarkā samāpattiḥ

In questo stadio, la parola, il significato e il contenuto sono mescolati e divengono conoscenza speciale

2,28 yogāṅgānuşthānād aśuddhi-kşaye jňāna dīptir āviveka khyāteḥ

Le impurità sono distrutte dalla pratica devota dei vari aspetti dello yoga: la conoscenza perfetta irradia gloriosamente

3, 16 pariņāma traya saḿyamād atītānāgata jňāna

Lo yogi acquisisce la conoscenza del passato e del futuro, padroneggiando le tre trasformazioni della natura

4, 31 tadā sarvāvarana malāpetasya jňānasyānan tyāj iňeyam alpam

Quando il velo dell’impurità viene sollevato, si ottiene la conoscenza più alta, soggettiva, pura e infinita mentre il finito appare insignificante

Coraggio (Virya)

 

La parola virya indica vigore, forza fisica, potere mentale, energia, coraggio. E’ una delle qualità elencate da Patanjali (I, 20) che devono contraddistinguere la pratica. E’ un monito soprattutto per gli studenti avanzati, che devono accrescere sempre il lavoro, con fiducia, perseveranza, forza e non fermarsi. Si tratta di una qualità “alta”, la cui collocazione simbolica si può pensare nel vishuddhi chakra, il chakra della gola. Quando abbiamo paura, la gola si chiude, il respiro diventa affannoso. Anche quando cerchiamo di ragionare troppo non c’è espansione, in realtà si prova timore, magari senza sapere esattamente di che cosa. Infatti questo chakra sovrintende alla cultura, a quello che si è imparato, alla capacità di ragionare che non deve andare a discapito della fiducia e dell’entusiasmo.

Invece la seconda menzione di Virya negli yoga sutra (2, 38) riguarda il controllo di brahmacarya (continenza) che è uno dei cinque yama (doveri) alla base della pratica yoga: se la continenza è ben fondata e stabilita, si acquista virya. In altri termini, l’energia grossolana del corpo viene controllata, per acquistare una forma più elevata di energia, virya appunto, coraggio, resistenza, tenacia: è questo uno dei principi di base dell’ascetismo e della filosofia yoga (e non solo).

Dal punto di vista della pratica delle asana, si può constatare che è impossibile lavorare sulla gola e sul respiro senza curare l’allineamento. Le clavicole si possono aprire, la parte alta del torace si espande quando c’è allineamento nelle gambe, nel bacino e nel tronco, ovvero la parte muscolare scheletrica del corpo è controllata.

I nomi di alcune famose asana ricordano direttamente virya, Virabhadrasana (il gruppo di posizioni che prende il nome dall’eroe nato da un capello di Siva) e Virasana. In tutte queste posizioni la colonna viene estesa verso l’alto mantenendo le spalle aperte e la gola rilassata.

Le posizioni in cui occorre particolarmente mettere in campo la fiducia e il coraggio sono le preparazioni delle posizioni indietro. Grazie all’allineamento, alla estensione della colonna verso l’alto, alla corretta rotazione della parte alta delle braccia, la gola si rilassa e si può spostare lo sguardo verso l’alto, allungando la nuca indietro (non piegando indietro il collo!). Geetaji suggeriva di portare completamente lo sguardo all’interno facendo questo movimento. Se gli occhi si muovono, il coraggio viene a mancare. Praticando le asana per trovare virya, si inizia quindi un percorso di meditazione, di profonda introspezione.

urdhva hastasana, concentrarsi sulla gola e sul respiro (1 minuto)

utthita hasta padasana (1 minuto)

vrchasana (1 minuto per lato)

virabhadrasana 2 allineamento osso pubico/ombelico/gola/ cima della testa – Virabhadrasana 1

Adho mukha svanasana con le mani al muro

adho mukha vrchasana

sirsasana (5 minuti)

Triang mukha eka pada paschimottanasana/Krounchasana

virasana/parvatsasana in virasana/paryankasana

bekhasana/adho mukha virasana/adho mukha svanasana

eka pada raja kapotasana

setubandha sarvangasana

viparita karani

savasana

1,20 śraddhā, vīrya, smŗti, samādhi, prajňā, pûrvakah itareşām

La pratica deve essere eseguita con fiducia, confidenza, vigore, memoria e concentrazione per rompere questa compiacenza spirituale

2, 38 bramacarya-pratişthāyām -lābhaḥ

Quando il sadhaka è fermamente stabilito nella continenza, la conoscenza, il vigore, il valore e l’energia fluiscono verso di lui

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