Geetaji: focalizzare l’attenzione nella pratica di asana

In questa lezione, tenuta all’Istituto di Pune a giugno 2018, Geetaji prese spunto dall’osservazione degli allievi (soprattutto nella pratica di parsvottanasana) per chiarire alcuni aspetti dell’Iyengar Yoga insistendo sul fatto che non esiste un unico modo di eseguire gli asana, ma occorre sviluppare l’osservazione e la discriminazione. In questo modo, l’esecuzione delle posizioni, più o meno avanzata,  è risultato della qualità dell’osservazione e dell’impegno costante nella pratica.

Adho  Mukha  Virasana

Adho Mukha Svanasana le gambe sono attive, la mente è passiva

Uttanasana, piedi separati, ginocchia separate, cosce separate, ischi separati. Chi non sente questa “separazione” deve aumentare la distanza.

urdhva hastasana/adho mukha vrchasana 

uttanasana piedi uniti, aprire le dita, premere i talloni. Aprire il muscolo del polpaccio e spingere i quadricipiti indietro e su, non in avanti.

Padangustasana, piedi separati. Aprire i lati del torace, tenere gli alluci, testa su, torace su. Braccia stirate, rotazione delle braccia.  Piegare le braccia, azione delle braccia come in sirsasana.

Pada hastasana, gomiti aperti e piegati, estendere i due lati del tronco e testa giù

prasarita padottanasana. Per far rimanere l’addome soffice, usare un mattone o un bolster per la testa. Si usa questa modalità durante il ciclo, capire la differenza. Fare è facile, ma capire può richiedere molto tempo. Le natiche vanno ruotate in avanti, dietro delle cosce aperte, testa giù. Eventualmente, piedi sui mattoni. Dalla posizione, camminare in avanti con le mani, continuando a ruotare le natiche in avanti.

parsvottanasana. Braccia su, aprire i lati del torace, espirare e portare la testa sulla tibia. La natica della gamba dietro non deve crollare. Le mani ai lati del piede, poi dietro. L’addome deve ruotare verso la gamba davanti e il piede davanti deve rimanere diritto. Il torace è in linea come in hanumanasana. I principianti possono ruotare il piede dietro di 90 ° così c’è l’equilibrio e l’allineamento, ma gli studenti avanzati devono ruotare di 60°così c’è estensione della gamba dietro, dell’esterno della coscia. Se i piedi sono allineati non fluisce l’energia, la posizione è bloccata.

utthita hasta padasana/parsvottananasana.

Iyengar yoga è fatto per il corpo, la mente e l’anima. Usate viveka, la discriminazione, tra conoscenza corretta e conoscenza errata. La vostra pratica deve essere fisica, mentale, ma anche spirituale. Se non ci sono queste tre componenti, non è yoga, non è Iyengar Yoga. Occorre rimuovere le impurità per raggiungere viveka. Purezza, chiarezza, spiritualità fanno scorgere l’anima, senza dubbio. Geeta non ha detto di mettere il piede in questo o in quell’altro modo, ma quando seguite gli insegnamenti trovate più libertà. Ogni parte del corpo si apre di più, si trova spazio per la parte organica, per l’energia. Nella zona pelvica, muladhara, c’è energia. Muovere la parte bassa dell’addome in avanti, ruotare l’osso pubico. Portare la concentrazione in questo punto. Non è una questione di tecnica, ma di concentrazione e discriminazione. Fate le azioni e vedete cosa succede. Fare le azioni senza osservare non serve. Perché un’area del corpo venga osservata deve essere passiva. L’osservazione è pratyāhāra. Si può anche eseguire praticando asana. Come diceva Guruji, è meditazione attiva.

parsvottanasana. Estendere il tronco, rimanere al centro.

sirsasana. Ekapada sirsasana x3. Parsva sirsasana. Parsvaikapada sirsasana. Virasana in sirsasana, ruotare. Portare le ginocchia all’addome e ruotare. Gambe su. Virasana di nuovo. Ginocchia all’addome.

adho mukha virasana ginocchia unite

sarvangasana. Senza cintura.

La mente yogica (una vacanza studio in Sardegna)

Alla conclusione di un bellissimo viaggio di studio in Sardegna, l’argomento scelto per le conversazioni di filosofia, “La mente yogica” si è rivelato davvero felice, come se il grande Maestro BKS Iyengar ci avesse suggerito di volta in volta le parole giuste per aiutare ogni praticante nel suo percorso. L’alternarsi di lezioni di pranayama, asana e filosofia yoga ha aiutato tutti ad entrare più in profondità in questo immenso campo di conoscenza. Ha aiutato me soprattutto, l’insegnante, ad integrare i diversi aspetti dello yoga e a cercare le espressioni più semplici e dirette per agevolare la comprensione. Il luogo scelto per il nostro viaggio ha certamente fatto sì che lo studio si svolgesse nelle condizioni ottimali: la confortevole ospitalità dell‘hotel Sandalyon, a San Teodoro; la stagione non più di affollamento dei luoghi e delle spiagge, il tempo variabile ma per lo più soleggiato, la presenza di una “sala yoga” con il cielo al posto del tetto, ma riparata dal vento…

La mente sfugge alla nostra comprensione come il mercurio sfugge dalle dita. Sentiamo che è vicina a noi ma non riusciamo ad afferrarla. L’idea comune occidentale che la sede della mente sia il cervello accresce la confusione. YS, III.34: hṛdaye citta-saṁvit, ovvero [Con il saṁyama] sul cuore, nasce la conoscenza della mente. Che cosa è saṁyama? E’ l’insieme delle fasi più elevate del percorso dello yoga, dalla concentrazione alla meditazione. Ma noi possiamo benissimo intenderlo come pratica yoga e basta. Non per nulla esistono āsana che portano la cima della testa in basso, mantenendo il torace aperto. Nel suo testo “Yaugika Manas. Know and realise the yogic mind” (Mumbai, 2010), BKS Iyengar ci accompagna in un viaggio affascinante sul come la pratica yoga cambi l’atteggiamento mentale e permetta di avvicinarsi alla realtà della mente. Normalmente, la mente è condizionata dalle impressioni dei sensi che creano esperienze di gioia e dolore, di esaltazione e depressione. La confusione peggiora quando non si comprende che il nostro punto di vista di essere umano è molto limitato; eppure l’io, che fa parte della mente, si sente al centro dell’universo e quindi patisce una sensazione di continua frustrazione o prigionia.

YS, II.1: tapaḥ-svādhyāyeśvara-praṇidhānāni kriyā-yogaḥ, ovvero Kriyā-yoga, il cammino dell’azione, è costituito da autodisciplina, studio e devozione al Signore. Guruji aggiunge: con la pratica dello yoga, la mente può essere allargata, estesa, stirata, allungata, focalizzata, concentrata. L’attenzione necessaria alla pratica degli āsana poco per volta ci insegna tutto questo, a condizione di praticare con disciplina, passione e devozione. Cosa vuole dire devozione in questo caso? Vuole dire fiducia in uno scopo più alto, al di là del semplice esercizio fisico. Lo scopo più alto è il trascendere la condizione della mente individuale, che è legata alle continue modificazioni del mondo naturale. Per quanto riguarda la mente, le continue modificazioni le possiamo sentire nel variare continuo dello stato mentale e dalle “fluttuazioni” che, al di là della nostra volontà, disturbano la quiete. Le affermazioni di Patañjali si basano su un preciso sistema filosofico, il sāṅkhya. Secondo questa antica filosofia dell’induismo ortodosso, l’intelligenza cosmica diventa intelligenza individuale e l’energia cosmica diventa energia individuale. L’essere umano comunica con l’esterno grazie ai cinque sensi, ai cinque organi di azione e cinque organi di percezione. La mente si trova così al centro di un sistema complesso e può essere attirata, come da una calamita, dai piaceri dei sensi oppure dalla propria vera natura spirituale.

Lo studio della filosofia yoga, alla fine, sta nello studio della mente che è al centro delle due realtà, il mondo naturale e il mondo spirituale. Aveva colto bene Roberto Calasso spiegando la filosofia degli antichi rishi che “udirono” la sapienza direttamente da Brahman: “L’unico pensiero è il riconoscimento che l’esistenza dell’universo è un fatto secondario e derivato rispetto all’esistenza della mente” (Ka, Milano, 1996, pp.205-206). Infatti fa parte della stessa sapienza “udita”, un’altra fonte cui BKS Iyengar fa spesso riferimento, la Taittirīya Upanishad, un testo la cui origine (quale sapienza orale) si fa risalire alla prima metà del primo millennio a.C. In questo testo si racconta la teoria dei kosha, gli strati che avvolgono l’anima, o Atman, la versione individuale di Brahaman. In questo nucleo profondo esistono tre livelli denominati nell’insieme ananda-maya kosha, o livelli di beatitudine. Questi sono avvolti da Vijñãnamaya kosha, o livello dell’intelligenza. Si tratta della parte più evoluta della mente, a diretto contatto con i luoghi dell’anima. L’intelligenza è avvolta dalla mente, o manomaya kosha, che riceve le impressioni dagli organi di azione e organi di percezione. La mente è avvolta dallo strato energetico-fisiologico o pranamaya kosha. l’insieme delle fonti di energia individuale che nutrono la persona fisica. L’energia individuale è avvolta dallo strato materiale in senso stretto, muscoli, ossa e articolazioni. Il testo delle Upanishad ne parla come “livello del cibo”. Si chiama annamaya kosha.

il nostro Guru, BKS Iyengar ha studiato tutta la vita i rapporti corpo e mente per insegnare agli occidentali, che hanno difficoltà a comprendere questa filosofia, come attraversare gli strati dell’essere umano proprio partendo dal corpo. Iyengar amava ricordare un sutra in cui si spiega che con la pratica degli āsana, il dualismo tra mente rivolta all’esterno e all’interno viene superata: II.48 tato dvandvānabhighātaḥ, in questo modo non si è afflitti dalla dualità degli opposti, e “questo modo” è la pratica degli āsana (se correttamente eseguite), ovvero posizioni stabili e confortevoli, perché lo sforzo che normalmente viene generato dalle impressioni dei sensi è annullato dalla “meditazione in azione” che permette di riassorbire all’interno le sensazioni del corpo. Con gli āsana si integra il lavoro degli organi di azione con gli organi di percezione,  la mente, l’intelligenza e la consapevolezza. Con la nostra pratica abbiamo sperimentato, ci siamo esercitate a sentire questo. Se si tratta il corpo come un oggetto si percepisce sforzo, ma se lo stesso corpo diventa il soggetto, l’anima o «vero sé» si riunisce al corpo. Il percorso dello yoga è un percorso verso l’interiorità e il controllo delle fluttuazioni; così la pratica trasforma il corpo e la mente.

La spiaggia Isuledda

La vacanza studio è stata piacevole e proficua perché eravamo un bel gruppo: Isa, Clara, Franca, Laura, Angela, Luciana, Caterina, Dianella, Silvana, Anna, Margherita, Gavino. Un grazie speciale alle colleghe Alessandra Belloni e Maria Antonietta Cugusi per la loro partecipazione….a presto!

La pratica personale nello yoga. Alcune riflessioni

Abbiamo dimenticato le lezioni “in presenza”, condivise e affollate di tante persone. Chissà quando sarà possibile praticare di nuovo con i tappetini uno vicino all’altro. Ci siamo abituati a seguire le lezioni da remoto, che hanno pregi e difetti. Ma chi pratica yoga regolarmente ha sicuramente approfondito il discorso della pratica personale: all’inizio con le sequenze per il sistema immunitario, poi con il pranayama e la meditazione, poi in modo di continuare l’aggiornamento anche per essere abbastanza “freschi” da poter fare lezione da remoto. Almeno, così ho fatto io, con tanti altri insegnanti.

In questo periodo difficile, è necessario motivare le persone a coltivare la loro pratica personale. Chi non ha mai praticato da solo dovrebbe iniziare, e chi pratica solo qualche volta dovrebbe essere più costante. Chi già pratica dovrebbe aggiungere il pranayama e la meditazione regolarmente. Lo yoga è un percorso e va incrementato. Siamo fortunati ad avere questo strumento per rendere il corpo più adattabile e forte, la mente più flessibile e rilassata. Di spirito di adattamento, in questo periodo, c’è grande necessità. E anche di salute, fisica e mentale.

Che cos’è esattamente la pratica personale nello yoga?

Gli Yoga Sutra rispondono molto chiaramente a questa domanda: II.1 tapaḥ-svādhyāyeśvara-praṇidhānāni kriyā-yogaḥ, Kriyā-yoga, il cammino dell’azione, è costituito da autodisciplina, studio e devozione al Signore. Possiamo intendere benissimo Kriyā-yoga con pratica personale, l’azione, quello che si fa tutti i giorni. Ora, autodisciplina e studio non hanno bisogno di essere spiegati: senza autodisciplina non c’è alcuna azione, nessuna pratica; per lo studio esistono infiniti testi, libri, siti internet, lezioni registrate, video: l’imbarazzo della scelta.

Invece, devozione al Signore richiede una spiegazione per evitare equivoci. Secondo la filosofia indiana l’uomo NON è il centro dell’universo, ma partecipa della immensità dell’universo. La sua finalità è il distacco dalla condizione di instabilità e sofferenza del mondo in cui viviamo, dove ogni azione ha una causa e un effetto. Questo è difficile da comprendere per gli occidentali perché la nostra filosofia occidentale è esattamente l’opposto, è rivolta alla valorizzazione dell’individuo singolo, della sua libertà di scelta, dei suoi diritti, del suo percorso intellettuale.

Quindi per praticare yoga con profitto occorre per prima cosa avere consapevolezza che il nostro obbiettivo non è quello di dimostrare qualcosa, ma di raggiungere uno stato di salute, fisica e mentale; non si tratta di fare semplice esercizio fisico o di assumere un atteggiamento competitivo, anche con noi stessi. Poiché si tratta di un principio che esula dalla nostra formazione e cultura occidentale, non è facile da acquisire. Nella pratica yoga è utile avere un atteggiamento umile, da osservatore.

“Il corpo è il mio tempio e le asana le mie preghiere” (BKS Iyengar): c’è qualcosa di ritualistico nella ripetizione delle posizioni, delle sequenze, il nostro corpo e la nostra mente devono diventare una materia di studio. Al limite, la pratica non è qualcosa che “si fa” ma che “accade”

Dove, quando e per quanto tempo praticare

Queste sono indicazioni che si trovano sui libri prima delle sequenze. Però sono anche gli aspetti su cui spesso gli studenti si bloccano, quindi vale la pena di dedicare qualche parola o leggere un libro sull’argomento. Si può praticare dovunque, ma per una pratica regolare e disciplinata il posto migliore è casa propria, e in particolare un luogo della propria casa da dedicare esclusivamente alla pratica. Non è necessario tanto spazio, bastano pochi metri quadri vicino ad un muro libero. Abbiamo a volte la casa piena di oggetti inutili, quindi occorre fare delle scelte e liberare un po’ di posto. Per quanto riguarda il tempo, il momento migliore è il mattino, dopo aver preso un tè o un caffè ma prima della colazione. Per chi non ha mai praticato da solo, se si riesce a dedicare 30-40 minuti, è un ottimo inizio.

In che cosa consiste esattamente la pratica

E’ meglio che siano gli Yoga Sutra a spiegarlo con gli otto “anga” dello yoga

I tre “anga” principali, con riferimento all’Iyengar Yoga, sono asana, pranayama e dhyana. Questo è quello che andrebbe praticato regolarmente, quotidianamente. Se siete un principiante, che non ha mai praticato da solo, chiedete al vostro insegnante. In questo caso, 15 minuti al giorno di asana attive, 10 di asana passive e 5 di savasana può essere un buon inizio. Savasana sostituisce il pranayama e la meditazione.

Se siete uno studente intermedio, che pratica Iyengar Yoga da più di due anni ma che ancora non si è consolidato nella pratica personale, cercate delle sequenze adatte al vostro livello e divertitevi a comporne delle nuove. In questo caso 30 minuti di asana attive, 10 minuti di asana passive compreso savasana, 10 di pranayama e 10 di meditazione è lo schema giusto. Se non avete un’ora al giorno da dedicare alla pratica, privilegiate il pranayama e la meditazione sugli asana, che si potranno anche eseguire a giorni alterni.

Non tutte le persone hanno lo stesso livello di energia, rispettate il vostro e non fate di più di quello che potete, ma nemmeno di meno. La pigrizia è il peggior nemico della pratica personale. Dedicate questo tempo ad osservarvi dall’esterno, osservate il corpo, la mente e il respiro. Usate un timer per il tempo in cui decidete di stare in un determinato asana. Osservate soprattutto il momento in cui la mente si “irrita” per la noia o la fatica e cercate di capire dove nasce questa reazione. Forse in quel momento il corpo, la mente e il respiro hanno avuto difficoltà ad andare d’accordo “come i componenti di una famiglia”.

Praticare da soli è diventare “maestri” di se stessi. Il Maestro è il guru, chi porta dal buio alla luce; l’insegnante trasmette semplicemente delle informazioni. Ma se praticate da soli, il vostro compito non è di trasmettervi informazioni, ma di auto-accompagnarvi in un percorso. Potete cambiare insegnante, ma voi sarete sempre il vostro guru.

L’augurio è che la pratica personale dello yoga contribuisca ad un percorso verso la luce….

Come gli Yoga Sutra di Patañjali ci possono aiutare proprio ora

Ogni lunedì alle 19, per circa quaranta minuti, ho il piacere di leggere e commentare con i miei allievi e gli appassionati di yoga che lo desiderano qualche sutra degli Yogasutra di Patañjali. L’iniziativa, che è nata quest’autunno, si è rivelata particolarmente adatta alla comunicazione on line a cui tutti abbiamo dovuto adattarci.

In questo momento speciale e difficile, le parole di saggezza dello Yoga sono quanto mai attuali e sembrano persino più facili da comprendere. La difficoltà più grande nelle circostanze presenti è quella di disciplinare la mente, che ama correre liberamente dietro i propri desideri o si chiude e si crogiola nelle paure. La mente preferirebbe magari cercare un capro espiatorio di fronte alla pandemia (un “complotto”) oppure negare l’evidenza e pensare che si tratti di un brutto sogno. Gli ostacoli che Patañjali chiama kleśa sono esattamente quelli che si frappongono tra la nostra mente e la possibilità di valutare lucidamente e con ogni possibile serenità la situazione.

Chi pratica yoga da qualche mese o da qualche anno e ha iniziato dalla pratica di asana e pranayama, spesso non conosce nulla o quasi della filosofia yoga. Questo non è sbagliato; lo yoga è qualcosa che va sperimentato, prima che imparato a memoria o compreso razionalmente. Pramana, la conoscenza corretta, nasce dall’esperienza individuale: possiamo dire che una cosa è vera se l’abbiamo vista o provata personalmente.

Ma quando la pratica yoga inizia a mostrare i suoi benefici, è interessante conoscere qualcosa di più del contesto culturale in cui si è sviluppata la disciplina che stiamo praticando. E allora si può davvero aprire un mondo…in cui ogni giorno c’è qualcosa di nuovo da scoprire.

La partecipazione alle lezioni di filosofia yoga su zoom è libera e gratuita. Inviare mail a emanuelazanda@virgilio.it per ottenere il link di ingresso.

Proseguono le altre lezioni di Iyengar Yoga sulla piattaforma zoom secondo il consueto orario:

lunedì e giovedì 9.30-11

martedì 17.30-19

mercoledì 18-19.30

Iyengar Yoga, coronavirus, come praticare senza lezioni. 5: torsioni

Le torsioni rappresentano un gruppo speciale tra gli āsana anche rispetto alla nomenclatura perché le principali di esse prendono i nomi di famosi saggi indiani. In queste posizioni si esegue una torsione laterale della colonna, tenendo i due lati del bacino allineati: l’azione di ruotare si chiama parivtta e vṛtti sono i movimenti incontrollabili della mente che si arrestano praticando yoga. E’ evidente che le torsioni hanno una particolare utilità per raggiungere gli obbiettivi dello yoga e sono state raccomandate direttamente dai saggi.

Le torsioni sono  posizioni adatte a migliorare la flessibilità e apertura nel torace e nelle spalle, che rischiano di diventare rigidi con il tempo. Inoltre aiutano a portare consapevolezza nella parte posteriore, dove si accumulano i risultati di cattive posture Vanno praticate con prudenza in caso di problemi alla colonna, come la scoliosi.

Se non ci sono problemi, è corretto iniziare con la pratica di Parivtta Trikoṇāsana che può essere considerata la base di queste posizioni: si impara a lavorare dalla stabilità delle gambe e quindi a sentire  la libertà di ruotare la colonna.

schiena4Le torsioni che iniziano dalla posizione dandasana  vanno eseguite con un supporto sotto gli ischi.  Sono queste posizioni ad avere i nomi dei saggi (Rishi) indiani: Bharadvaja è una figura immaginaria ricorrente nell’antica tradizione indiana,  come autore di capitoli dei Rgveda e dei Purana e padre del grande guerriero che istruì nelle scienze militari i Kaurava e Pandava,  che combatterono la guerra descritta nel Mahabharata.

Bharadvājāsana  è una posizione adatta per i principianti dove la colonna si estende e ruota senza comprimere l’area dell’addome. Si può anche praticare seduti sulla sedia e questo aiuta a fare leva con le braccia, incrementando la torsione e mantenendo il bacino diritto. E’ una ottima posizione per calmare il mal di schiena lombare ed è adatta tutti, anche durante il ciclo e la gravidanza.

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Una posizione molto importante è Marīchyāsana se non altro per il fatto che ne esistono quattro varianti, di fatto quattro differenti posizioni. In Marīchyāsana  una gamba rimane distesa in dandasana, l’altra viene piegata portando il piede davanti all’ischio. E’ importante mantenere la stabilità delle gambe per lavorare sulla torsione. Marichi era uno dei grandi Rishi, nato dal cervello di Brahma, dio della creazione e la sua figura ricorre in molte leggende indiane, come anche nel Mahabharata, assistendo Bhisma che stava sul letto di chiodi.

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Infine, Ardha Matsyendrāsana prende il nome da Matsyendra, che a differenza degli altri due, è stato un personaggio reale e un grande maestro di yoga, inventore dell’Hatha Yoga. Il nome vuole dire letteralmente “signore dei pesci” perché secondo la leggenda era stato inghiottito da un grande pesce; lì aveva appreso lo yoga direttamente da Shiva.

Queste posizioni lavorano differentemente sulla colonna.  In Ardha Matsyendrāsana la torsione parte dall’articolazione sacro iliaca; in Marīchyāsana dalle vertebre lombari; in Bharadvājāsana le lombari devono rimanere allungate verso l’alto il più possibile, ruotando dall’area del diaframma. In tutte queste posizioni occorre portare attenzione all’azione della rotazione e muovere le vertebre cervicali e il capo solo dopo aver ruotato la colonna. Ed ecco una sequenza adatta a praticare queste posizioni.

Parivtta (torsione, fluttuazione) Shtiti (posizione, stabilità, stare)=posizioni di estensione laterale

  1. Taḍā (montagna) sana= posizione della montagna
  2. Utthita (esteso) Trikoṇā (triangolo)sana=posizione del triangolo esteso
  3. Utthita Pārsva (lato) koṇā (angolo) sana=posizione dell’angolo di lato
  4. Pārsv (lato) ott (intenso) ānāsana=posizione di stiramento del fianco
  5. Parivtta (voltato) Trikoṇā (triangolo)sana= posizione del triangolo voltato
  6. adho mukha svanā (cane) sana= la posizione del cane che guarda in basso
  7. utt (intenso) anāsana=la posizione di allungamento intenso
  8. Bharadvājāsana con la sedia =posizione del saggio Bharadvājā con il supporto
  9. dand (bastone) āsana=posizione del bastone
  10. Bharadvājāsana I = prima posizione del saggio Bharadvājā
  11. Marīchyāsana I =prima posizione del saggio Marīchi
  12. Marīchyāsana III= terza posizione del saggio Marīchi
  13. Ardha Matsyendrāsana =mezza posizione del saggio Matsyendra
  14. Adho (basso) mukha (viso) vir (eroe) āsana= la posizione dell’eroe con il viso in basso
  15. adho mukha svanā (cane) sana= la posizione del cane che guarda in basso
  16. Salamba (supporto) Sarvangā (corpo) sana=posizione dove tutto il corpo è sostenuto
  17. Savā (cadavere) sana=posizione del cadavere

 

Iyengar Yoga, coronavirus, come praticare senza lezioni. 4: posizioni “restorative” e pranayama

Nella sequenza di “gruppi” di posizioni yoga, avrei dovuto lasciare per ultime le posizioni “restorative” e il pranayama, ma ho pensato di parlarne prima perché queste posizioni sono molto indicate nella presente, difficile situazione e in ogni caso vanno alternate alle altre. Ad esempio, potete eseguire le posizioni in piedi al mattino e la sequenza “restorativa” con pranayama alla sera; oppure eseguirla due volte alla settimana invece della pratica abituale.

IMG_20200329_150644Le posizioni “restorative” o passive sono una caratteristica dell’Iyengar Yoga. Sono stati Guruji e Geetaji ad ideare e perfezionare delle variazioni delle posizioni “attive” con l’uso dei supporti, allo scopo di rendere lo yoga  facile e piacevole da praticare anche per le persone che per motivi di età o salute trovano difficili le altre posizioni. Però questa sequenza non è assolutamente riservata solamente alle persone stanche o anziane. Il corpo e la mente devono imparare a rilassare, a lasciare andare, non soltanto ad allungare, estendere ecc.  Il rilassamento e l’effetto riposante avvengono dopo essere rimasti in ogni posizione almeno cinque minuti, ma non ci sono controindicazioni a stare anche più a lungo.

IMG_20200329_150800Il torace e i polmoni rappresentano la nostra riserva di energia e con queste posizioni il respiro diventa tranquillo e si supera l’ansia.  Si ottiene così la giusta condizione per la pratica del pranayama, l’esercizio del respiro.

In questa sequenza, che è stata praticata durante una lezione con video sulla pagina Facebook di YogaDom asd, ho iniziato con posizioni con il capo supportato come nella sequenza suggerita per migliorare le difese immunitarie. Questo anche per imparare a lavorare, ad esempio, con le gambe per migliorare il rilassamento dell’addome, ma soprattutto per creare le condizioni adatte alla pratica delle posizioni passive.

Per quanto riguarda la pratica di viloma pranayama nella espirazione (qui sotto vedete due modi per sollevare il torace, con la coperta orizzontale e verticale), vi ricordo gli appunti di una classe con Geetaji.

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Visranta Karaka (interruzione) Shtiti= posizioni di riposo

  1. Adho (basso) mukha (viso) vir (eroe) āsana= la posizione dell’eroe con il viso in basso
  2. adho mukha svanā (cane) sana= la posizione del cane che guarda in basso
  3. utt (intenso) anāsana=la posizione di allungamento intenso
  4. prasarita (esteso) pad (piede) ott (intenso) anāsana= posizione di estensione dai piedi
  5. Supta (sdraiato) Padāņguşţha (alluce) sana = posizione supina con la presa dell’alluce
  6. Ūrdhva (alto) Prasarita (esteso) Pād (piedi) āsana = posizione con i piedi stesi in alto
  7. Supta (sdraiato) vir (eroe) āsana =la posizione sdraiata dell’eroe
  8. Supta (sdraiato) baddha (legato) konā (angolo) sana =la posizione sdraiata con le gambe legate ad angolo
  9. Chat (quattro) uspad (piedi) āsana= posizione con quattro piedi
  10. Salamba (supporto) Sarvangā (corpo) sana=posizione dove tutto il corpo è sostenuto
  11. Paschim (ovest, dietro) ott (intenso) ānāsana= posizione di estensione intensa della schiena
  12. Viloma (tagliare) prana (respiro) yama (esercizio)
  13. Savā (cadavere) sana=posizione del cadavere

Il cammino della devozione: Asana/Samyama (da una lezione di Geetaji)

Nel seminario del 23 giugno abbiamo affrontato la tappa più difficile: Il percorso della devozione: Dharana, Dhyana, Samadhi. Sono gli “anga” più elevati, tre fasi, per così dire, del percorso meditativo: in Dharana, la concentrazione è ancora intermittente, sebbene molto allenata e sorretta da fede profonda, in Dhyana, il flusso dell’attenzione scorre senza disturbi e senza pause; in Samadhi, il livello di attenzione è tale che la persona che medita si identifica completamente con l’oggetto della meditazione, il vero sé.

Guruji si è espresso molte volte su Dhyana e ha affermato che la pratica della meditazione vera e propria non si esegue in classe, ma ognuno la deve praticare individualmente. In classe si praticano Asana, Pranayama e  Dharana, alla ricerca di quel flusso ininterrotto che permette allo sforzo fisico di annullarsi nella pura concentrazione.

Geetaji ritorna spesso su questo argomento nelle sue lezioni, in particolare in una classe tenuta a Pune ha citato anche il Samyama, e quindi nel seminario questa è stata l’ispirazione per la sequenza.

Per prima cosa occorre imparare a praticare gli asana e capire che cosa significa praticare gli asana. Non dovete pensare che chi è flessibile può fare la posizione e chi non lo è non la farà mai. Questo significa avere paura del cambiamento; ma senza cambiamento non c’è evoluzione e soprattutto non c’è samyama.  Gli asana sono preliminari perché insegnano a cambiare, a modellare il proprio corpo, a renderlo silenzioso. Soprattutto insegnano un processo di apprendimento.   Il corpo e la mente sono tamasici per natura. Per superare questo, occorre tenere la mente vicino al corpo, non a vagare per conto suo.  Se il corpo non risponde, vuol dire che la mente non è vicino al corpo, oppure sente che sta avvenendo qualcosa di sconosciuto e prova paura. Nirodah per la mente è qualcosa di sconosciuto, per questo è tanto difficile.

samyama1Supta swastikasana. Incrociare le gambe in swastikasana, portare i piedi più vicino al bacino per compattare i femori, estendere le braccia per estendere i due lati del torace. Scapole in dentro, lombari giù. Mettere le mani come in urdhva dhanurasana, sollevare il torace come in paryankasana e appoggiare la cima della testa a terra. Se non è possibile, sollevare le ginocchia, mettere le mani sotto le cosce e puntando i gomiti, fare l’azione di paryankasana.

Badda konasana, spingere le piante dei piedi ed estendere la schiena a terra in supta badda konasana. spingere l’osso sacro a terra, rilassante gli inguini, estendere le braccia oltre la testa. Ora afferrare con le mani le caviglie (palmi verso l’alto) e spingere di più l’osso sacro all’interno, e gli inguini verso il basso.  ora portare le mani sotto le cosce, sollevare il torace come nella posizione precedente, mettere le mani in urdhva dhanurasana e portare di più la cima della testa verso il bacino.

Virasana. Portare le mani sulla pianta dei piedi  e andare in paryankasana. Non estendere le braccia per ora. Sollevare le scapole, spingere il dorso dei piedi, le tibie, gli ischi, la cima della testa, i gomiti. Poi andare in supta virasana ed estendere le braccia.

Una gamba in padmasana, l’altra in swastikasana (ardha padmasana). Il piede in swastikasana va sotto la coscia opposta. Paryankasana, spingere le cosce al pavimento, gli ischi giù, poi estendere i due lati del tronco, braccia estese oltre la testa. Altro lato.

Padmasana, matsyasana. Afferrare con le mani i metatarsi per portare la cima della testa più vicina al bacino. inguini giù, cosce giù. Poi estendere la schiena a terra. Altro lato.

dandasana. Spingere i gomiti a terra  e portare la cima della testa a terra. Afferrare i due lati del tappetino per sollevare di più le scapole.

uttanasana

sirsasana. Badda konasana in sirsasana.

samyama2parivrtta janu sirsasana. Un gomito lontano dalla gamba distesa, l’altra mano alla vita. Spingere il gomito e ruotare portando in dentro e in su la scapola. Il torace fa matsyasana. Tenere il lato interno del piede per fare leva con il gomito e aiutare la torsione.  Dovete capire perché il gomito non va giù. Non ruotate la testa prima di aver portato il gomito giù ed aver eseguito la torsione.  Una seconda volta. Ora il torace deve scendere, ma si deve ruotare verso il soffitto, le spalle allineate. Estendere il braccio verso il piede della gamba tesa, mano in su, poi piegare il gomito. Aiutare con l’altra mano a portare il gomito più in avanti.  Portare un lato del tronco verso il basso, l’altro verso l’alto. Occorre fare lo sforzo, aiutarsi con l’altra mano, se il gomito non scende.  Ma prima dovete fare l’estensione di quel lato, se contraete, il gomito non potrà mai scendere.  Se non siete capaci, potete iniziare con delle torsioni più semplici, oppure praticare con il muro. La gamba distesa vicino al muro, la schiena al muro, ora potete estendere il torace e immaginare che ci sia una televisione al soffitto, guardate là!

Parivrtta janu sirsasana. Una gamba piegata, l’altra tesa, torace rivolto in avanti. Ruotare la gamba tesa completamente, mettere la mano sotto la coscia per ruotarla. Estendere il lato della gamba, piegare il gomito ed estendere la mano oltre al piede per ruotare l’addome e il torace. Le scapole fanno paryankasana. L’altra mano in vita. Ora estendete il braccio opposto in linea come in parsvakonasana.  Infine afferrate il lato esterno del piede, piegate tutti e due i gomiti e ruotare.

Sayama3Utthita parsvakonasana=parivrtta janu sirsasana. Ruotare una coscia completamente, scapole giù, lati del torace su. Piegare ad angolo retto la gamba, radice della coscia giù, ginocchio indietro. La natica in avanti, come in parivrtta janu sirsasana.  Portare la mano giù, l’altra in vita. Se l’inguine non lavora piegare il gomito e spingere il ginocchio indietro e la natica in avanti, come nella posizione precedente. Ruotare le costole e portare il braccio opposto su.

Uttanasana

parivritta janu sirsasana. Preparazione. Connessioni con utthita parsvakonasana.  Piegare una gamba e ruotare. Osservare la gamba tesa, come si mantiene la rotazione della gamba? Dovete resistere con la natica in avanti. Come in utthita parsvakonasana, il piede e l’ischio della gamba davanti devono essere allineati

utthita parsvakonasana. Ruotare la coscia indietro, come in parivrtta janu sirsasana.  Ora la mano dietro e estendere il braccio opposto

parivrtta janu sirsasana.  Osservare l’allineamento. Il punto più difficile da muovere è la mente, muovere dalle abitudini, dallo stato tamasico.  Le prime volte il corpo può essere indolenzito, per questo la mente si rifiuta. E’ come partire da samashtiti: la gamba ruota di 90° la caviglia e l’ischio sono allineati, i due lati del torace sono allineati. Quando si allunga il torace verso la gamba tesa, addome e costole ruotano nella direzione opposta. Il bacino è il fulcro. La gamba dietro resiste e resta ruotata, non si muove in dentro. Ora si aggiungono le braccia e mantenendo le natiche in dentro si ruota di più.

upavishta konasana. Natiche in dentro, come parivrtta janu sirsasana. Integrazione: Dharana, Dhyana, Samadhi. Le azioni imparate in parivrtta janu sisrsasana devono essere integrate in utthita parsvakonasana. Questo è Samyama. Quanta attenzione è necessaria per questa integrazione? Ci vogliono anni di pratica per fare upavishta konasana, come samashtiti.  Andiamo dalla frammentazione all’integrazione. Eppure la mente scappa dall’integrazione, preferisce la frammentazione.

ardha chandrasana. Integrare tutte le azioni: utthita parsvakonasana, paryankasana, parivrtta janu sirsasana. E ogni asana va osservata in questo modo, ogni azione va integrata in questo modo. E’ un linguaggio che va perfezionato negli anni.  E’ un solo fluire di attenzione, come in Dhyana. Controllare voi stessi dal corpo, questo è il messaggio di Guruji.  Occorre partire dagli asana, dal corpo, finché non c’è integrazione nelle azioni del corpo, non c’è Samyama.

setubandha mattone

III.1 deśa-bandhaś cittasya-dhāraṇā

la concentrazione è fissare la mente in un luogo

III.2 tatra pratyayaika-tānatā dhyānam

la meditazione è fissare la mente su una sola immagine

III.3 tad evārtha-mātra-nirbhāsam svarūpa-śūnyam iva samādhiḥ

Avviene il samadhi quando la stessa meditazione riluce e la mente è priva della sua propria natura

III.4 trayam ekatra saṁyamaḥ

La pratica di questi tre si dice samyama

(Questa lezione di Geetaji è stata tenuta a Pune nel giugno 2009)

 

Definizioni di yoga

Non sappiamo esattamente quanto antico sia lo yoga; quindi non esiste una unica definizione di yoga. Tutti sappiamo che la radice sanscrita della parola significa unire, attaccare, e da essa sono derivate le parole prima latine, poi italiane di giogo e unione.  Secondo BKS Iyengar, yoga significa dirigere  la propria attenzione alla ricerca della suprema verità; ma anche significa unire la volontà individuale con quella divina. Il Maestro si chiede: quando una scienza, ad esempio, la chimica, fu scoperta, la definizione e la comprensione della materia erano le stesse di oggi? Certamente no.  Se oggi sentiamo parlare di “chimica” sappiamo immediatamente a cosa ci si riferisce. Però se guardiamo alla storia della scienza, possiamo vedere come è stato lungo il percorso per rendere noto qualcosa che prima era sconosciuto.

Secondo la tradizione indiana, i saggi cercarono una soluzione, avendo compreso che l’oceano dei desideri umani era senza fine e che la mente doveva trovare un modo per sentirsi libera da questa costrizione insopportabile. Non ci fu quindi una definizione della materia all’inizio; successivamente, quando con l’esperienza si crearono metodologie e tecniche di pratica, si tentarono anche le definizioni. Come nell’esempio della chimica, se vogliamo capire, dobbiamo considerare quanto è stato lungo il percorso di ricerca.

Quando ora vediamo le diverse definizioni di yoga dei Veda, Upanisad, Yoga Sutra e Bhagavad Gita, comprendiamo come la disciplina sia cambiata a seconda dei bisogni della società e della capacità di discriminare dei praticanti e studenti.

Un testo visnuita composto durante il primo millennio d.C., forse intorno al 300 d.C., il Ahirbudhanya Saṃhitā, fornisce una definizione di yoga molto chiara, che è quella ancora oggi più utilizzata: “Lo yoga è l’unione tra l’anima individuale e l’anima universale”.  E’ stato questo un momento di grande importanza per la storia e la filosofia indiana, in cui furono scritti i testi di riferimento.

Appena un poco più tardi, nella Bhagavad Gita, il dio Krishna si rese conto che la volontà umana era in fase di debolezza, e quindi dovette rendere più facile e comprensibile il cammino. Definì quindi lo yoga a due livelli, conoscenza e azione. “Lo yoga è equanimità”; “Lo yoga è eccellenza nell’azione”. Secondo BKS Iyengar, l’equanimità deve venire dalla intelligenza dell’anima e l’intelligenza della consapevolezza. L’anima, con citta (la mente), i karmendriyas (orgari di azione), i jnanedriyas (organi di percezione), ahamkara (senso dell’io), buddhi (intelligenza): tutto questo deve essere integrato e unificato con lo yoga. A questo punto, l’anima è ovunque e chiunque viene trattato con equanimità. Per quanto riguarda “l’eccellenza nell’azione”, Krishna non sta dicendo di agire senza un fine, ma di eliminare i motivi egoistici. Nel momento in cui l’egoismo interviene, l’azione è contaminata.  L’azione sicuramente porterà dei frutti, ma non è questo il motivo per cui bisogna agire. Il nostro compito è quello di eliminare l’aspetto egoistico e utilitaristico dall’azione.  Guruji approfondisce su questo aspetto, che è difficile da comprendere e da far comprendere.  E’ impossibile fare un’azione senza uno scopo, ma è possibile farla senza ambizione. Avere uno scopo ed essere ambiziosi non sono la stessa cosa;  lo scopo può essere di ottenere benefici universali, per tutti, invece l’ambizione ha sempre uno scopo egoistico e una finalità egoistica.

La parola “eccellenza” ha il suo corrispettivo nella pratica e nella rinuncia. Krishna non dice di rinunciare all’azione, tutt’altro; ma di agire rinunciando ai frutti dell’azione. “Eccellenza” è il modo di agire libero da ambizione e egoismo.  Quindi, la definizione dell’ Ahirbudhanya Saṃhitā si esprimeva in termini di bhakti  (devozione), mentre quella della Bhagavad Gita in termini di karma (azione). 

Infine, vediamo come Patanjali definisce lo yoga.  Al tempo di Patanjali, era necessaria una maggiore raffinatezza concettuale, perché ancora non vi era chiarezza su cosa fosse citta e cosa fosse anima, atman.  Così Patanjali definisce lo yoga in due modi: prima come disciplina e poi come fermare le fluttuazioni e modificazioni mentali.  Questi sono i primi due sutra della sua opera.  Il suo trattato è pratico, e in questo modo Patanjali definisce sia la pratica che la rinuncia.

Dopo tanti anni dobbiamo guardare, dice BKS Iyengar, a questa disciplina pratica in modo nuovo perché pratica e rinuncia sono troppo pesanti per i tempi in cui viviamo. Le persone  si vantano di praticare yoga, anche se in realtà praticano pochissimo. Questa è la mentalità moderna, vantarsi molto e fare poco.  C’è interesse per lo yoga, ma non c’è profondità.  E’ necessario un incentivo.  E allora, ragiona Guruji, io farei una piccola modifica alla definizione: ” Lo yoga è il fermare i dolori della mente”. Tutti noi soffriamo di dolori, fisici e mentali, abbiamo dispiaceri e motivi di tristezza; ma questo non vuol dire che si debba praticare yoga solo per risolvere problemi. Patanjali invita la nostra sensibilità e attenzione a guardare alle cause dei dolori e delle malattie, che è sempre dentro di noi, nascosta nei nostri comportamenti, abitudini, carattere, attitudine mentale. Infatti, sempre Patanjali ammonisce: “i dispiaceri che non si sono ancora manifestati, possono essere evitati”, ovviamente con la pratica yoga.

Anche Krishna aveva ricordato che i dolori possono essere evitati regolando la qualità e quantità di cibo, azione, sonno ecc. Con una vita regolata ed equilibrata, la pratica yoga si inserisce armoniosamente.  Comunque, tutti vogliamo evitare il dolore, ma l’analisi non è sufficiente. Dobbiamo trovare la radice del dolore nascosta nel samskara.  E’ questa una parola di denso significato: vuol dire l’accumulo delle azioni del passato e il coltivare se stessi in questa vita.  Benché cerchiamo di coltivare buoni pensieri e buone azioni, i comportamenti del passati lasciano come impronte.  Se vogliamo proseguire il cammino dello yoga, occorre fare due cose, coltivare nuovi samskara che lascino impronte positive e sradicare i samskara sbagliati del passato.  Non è facile. Le impronte sono radicate profondamente nel cuore e lasciano dei semi, i semi creano alberi che producono frutti. Questo è il ciclo inesauribile delle nostre vite. Ma lo yoga è l’unico mezzo con cui si possono curare le ferite nel cuore portate da samskara sbagliati. La pratica produce impronte positive speciali, “yogiche”, libere da paura e capaci di neutralizzare le impronte negative presenti.  Questo è ciò che dice Patanjali parlando di pratica e di rinuncia.

Questo ci dà infine un’altra definizione di yoga: “Lo yoga frena le modificazioni dei samskara. Nel cammino dello yoga, resta poi un’ultima impronta, la luce della saggezza che distrugge tutte le altre impronte negative, fino a quando anche questo samskara, positivo, ma pur sempre samskara, diventa inutile e si crea la luce completa. C’è una parola bellissima, Rtambhara, che non si pò esattamente tradurre. Significa dimorare nella verità. Prajna significa invece consapevolezza intelligente. Si trattare più alto livello di intelligenza. Per questo dico: ” Lo yoga ferma le fluttuazioni del samskara

(Questi appunti sono ricavati da BKS Iyengar, Light on Ashtanga Yoga, 2° ed., Mumbai, 2012, in particolare le pp. 15-27)

Yama e Niyama: Il cammino dell’azione

 

Dopo varie esercitazioni (che trovate tutte su questo blog) dedicate alla pratica di asana e pranayama, approfondendo vari aspetti degli Yoga Sutra di Patanjali, negli ultimi tre seminari di quest’anno si sintetizza con “il cammino della pratica” (yama, niyama); “il cammino della conoscenza” (asana, pranayama, pratyahara); “il cammino della devozione” (dharana, dhyana, samadhi).

II.29 yama-niyamāsana-prāṇāyāma-pratyāhāra-dhāraṇā-dhyāna-samādhayo ‘ṣṭāv aṅgāni

Gli otto componenti dello yoga sono yama (astensioni), niyama (principi da osservare), asana (posizioni), pranayama (esercizio del respiro), pratyahara (controllo dei sensi), dharana (concentrazione), dhyana (meditazione), samadhi (totale assorbimento)

Yama guida l’elenco dei componenti dello Yoga e ahimsa, non violenza, è la prima delle astensioni, yama. Patanjali non è un moralista, non vuole spiegarci che cosa fare e non fare: si limita a dire che per ottenere gli obbiettivi dello yoga (fermare i movimenti della mente) occorre in primo luogo osservare yama e niyama. BKS Iyengar ha specificato che yama e niyama costituiscono il percorso della pratica, cosa occorre fare ogni giorno, in tutti i momenti della vita, e praticando yoga. Senza lo sforzo costante di osservare yama e niyama, non è possibile seguire proficuamente il cammino successivo, quello della conoscenza.

II. 30 ahiṁsā-satyāsteya-brahmacharyāparigrahā yamāḥ

Le astensioni sono ahimsa (non violenza), satya (non mentire), asteya (non rubare), brahmacharya (non depravazione), aparigraha (non ambizione di possesso)

ahiṁsā: La violenza nasce dalla paura, dalla debolezza, ignoranza, estrema stanchezza. Uno yogi deve pensare che gli altri devono avere giustizia, ma egli stesso deve in primo luogo perdonare. La violenza si combatte soprattutto liberando dalla paura; satyā: qualsiasi forma di manipolazione della realtà mette lo yogi in una condizione falsa. Non si tratta solamente della parola, o del pettegolezzo, prima di controllare le parole, occorre controllare la coerenza della propria condotta. asteya: l’invidia e il desiderio delle cose altrui rende le persone miserabili. Non si tratta solo di “cose” materiali, ma ci si può anche appropriare delle idee degli altri, o fare un cattivo uso di quello che si è ricevuto. brahmacharya: Non si tratta esclusivamente di celibato, ma di saper utilizzare l’enorme vitalità, energia e coraggio che derivano dal controllo del corpo, della parola e della mente. aparigraha: Si tratta di rendere la propria vita la più semplice possibile, senza disperdere energie inutili e di sviluppare la capacità di accontentarsi.

II.32  śauca-santoṣa-tapaḥ-svādhyāyeśvara-praṇidhānāni niyamāḥ

I principi da osservare sono sauca (pulizia), santosa (appagamento),  tapah (rigore), svadhyaya (studio dei testi sacri),  Isvara pranidhanani (devozione a Dio).

sauca. La pulizia è intesa in senso ampio: esterno, interno del corpo, mente, pensieri, abitazione, cibo ecc. Riguardo agli asana, occorre tenere a mente la pulizia nell’esecuzione, evitare la sciatteria, non praticare in modo distratto, non interrompersi per fare altre cose. santosal’appagamento va praticato, non nasce spontaneamente. Spontaneamente l’essere umano desidera molte cose, è tentato da cose materiali e riconoscimenti. L’appagamento e la serenità sono condizioni della mente, derivano da una conoscenza e pratica matura, al di là delle differenze di razza, credo, ricchezza e istruzione. Vedere tante differenze rende il pensiero ristretto e sterile. tapahvigore, rigore, severità nella pratica, autodisciplina. Lavorare non per l’obbiettivo egoistico, ma per il cammino supremo. Con la pratica di tapah, lo yogi ottiene grande forza nel corpo, nella mente e nel carattere. svadhyaya: alcuni interpretano studio dei testi sacri, BKS Iyengar interpreta come studio del sé, attraverso i testi sacri. Isvara pranidhanani: chi possiede fede, è libero dalla disperazione. Quando si sviluppa la capacità di devozione, si ottiene grande potere mentale e forza spirituale.

ahimsa (non violenza)

Isvara pranidhanani (devozione a Dio)

satya (non mentire)

svadhyaya (studio dei testi sacri)

asteya (non rubare),

tapah (rigore)

brahmacharya (non depravazione)

santosa (appagamento)

aparigraha (non ambizione di possesso)

sauca (pulizia)

Per ricordare yama e niyama, osservate questa corrispondenza: ogni yama (non fare…) ha una sua virtù opposta in niyama (fare…)

yamanyamala sequenza:

adho mukha virasana, adho mukha svanasana. Tutte le posizioni con lo sguardo verso il basso incrementano la devozione (Isvara pranidhanani) e non violenza (ahimsa). Le orecchie in linea con la parte alta delle braccia, come insegnato da Geetaji. Su adho mukha svanasana e la devozione ha parlato anche Zubin.  Cercare di sentire qualcosa di nuovo nella pratica degli asana, questo è seguire satya e svadhyaya.

Surya namaskarasana per migliorare tapah, il rigore, l’ardore. Almeno 6 volte

utthita trikonasana, vira 1, vira 2, vira 3. Mantenere l’azione nell’andare in posizione, nel rimanere e nel tornare dalla posizione è satya (non mentire) e svadhyaya (studio dei testi sacri). Nelle posizioni, soprattutto se difficili e di equilibrio, occorre fare quello che si può, non di più, non di meno. Questo è brahmacharya (non depravazione) e santosa (appagamento)

Per praticare ahimsa (non violenza) occorre sviluppare il proprio coraggio. La violenza è sempre risultato della paura. Le posizioni che sviluppano il coraggio sono sirsasana, supta virasana, matsyasana, ustrasana, urdhva dhanurasana e in generale, tutte le posizioni che aprono il torace.  Per praticare Isvara pranidhanani (devozione a Dio) invece, simbolicamente ci si inchina in avanti: janu sirsasana, ardha badda padma paschimottanasana ma anche upavista konasana e malasana.

Infine,  con le c.d. “posizioni restorative” ed il pranayama in posizione sdraiata, si pratica ancora Isvara pranidhanani (devozione a Dio) e aparigraha (non ambizione di possesso) rilassando consapevolmente il corpo.

A proposito della figura in apertura, con il simbolo dell’AUM, una svastica e due piedi che chiude un testo, questa è l’immagine alla festa del Guru Purnima, nel luglio 2010 a Pune, all’Istituto di BKS Iyengar. Non sapendo leggere il testo, ho chiesto il significato e la risposta è stata: ” Andate in giro per il mondo. cercate la vostra strada. Dove abbasserete la testa, lì è il vostro Guru”

la mandria + india 363

(Gli appunti su yama e niyama sono tratti da BKS Iyengar, Collected works -Astadala Yogamala, II, pp. 37-44; VII, pp. 89-100)

 

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