Controllare il mal di schiena (prima parte)

Tutti possono soffrire di mal di schiena, o hanno sofferto, o ne soffriranno; il punto non è quello di diventare immuni da questo comunissimo disturbo, ma mantenere  la salute della colonna, e adottare le precauzioni necessarie quando si presentano problemi. Si tratta anche di un’occasione per studiare il proprio corpo ed imparare  a prendersene cura. Queste proposte riguardano soprattutto il tratto lombare e l’articolazione sacro iliaca: il mal funzionamento di quest’ultima comprime il nervo sciatico, mentre lo schiacciamento delle vertebre lombari comprime il nervo crurale. In entrambi i casi il fastidio è invalidante e il dolore si trasmette alle gambe con fitte dolorosissime. In questi appunti NON si esaminano questi casi di infiammazione grave, che necessitano di sequenze personalizzate a cura di un insegnante senior, ma si cerca di PREVENIRE in maniera  che la situazione non degeneri.

schiena1Comunque, se il fastidio è forte e si è stanchi, meglio eseguire posizioni di rilassamento del tratto lombare, 5 o meglio 10 minuti ciascuna.  In Yoga Rahasya si ricorda che la colonna è la parte “più sottile” del corpo grossolano, perchè non controlla soltanto l’assetto del corpo dal punto di vista anatomico, ma anche i movimenti del capo e lo stato della mente. Se il mal di schiena è soltanto causato da troppo lavoro, troppo tempo in piedi (troppe classi di yoga insegnate!) è necessario prima di tutto riposare e rilassare

ardha halasana con  panchetto o sedia; viparita varani con le gambe piegate sulla sedia e bassa schiena sul bolster; urdhva prasarita padasana con un mattone tra le ginocchia e cintura alle tibie; setubanda sarvangasana con mattone di traverso sotto al sacro, piedi alla stessa altezza e cintura.

schiena2Il gruppo di posizioni che estende un lato per volta la colonna è ideale per iniziare la pratica e può essere declinato in tantissime versioni, da adattare ai vari livelli di pratica. Utthita hasta padangustasana con la schiena al muro; utthita parsva hasta padangustasana sempre con la schiena al muro; parivrtta hasta padangustasana. Tutte queste posizioni, controllando il tratto lombare, allungano i muscoli interspinali, come si può vedere dalla figura dove sono disegnati anche gli strati profondi della muscolatura della schiena. Anche il gruppo di supta padangustasana, nelle varie versioni, ha lo stesso effetto. Ho trovato in particolare molto utile la posizione completa di supta padangustasana 1 con e le spalle sollevate  perché si estende il tratto lombare; quella con le braccia estese oltre il capo (in questo caso occorre mettere il piede sotto contro il muro). Per un lavoro ancora più intenso, estendere la gamba al massimo. Il nome della posizione completa è supta trivikramasana e Guruji dice in LOY che previene l’ernia; si può tentare questa posizione molto difficile prima con l’aiuto della sedia. Per concludere questa serie, si possono eseguire supta padangustasana laterale con il piede sotto al muro, scendendo con un bolster sotto il fianco e jatara parivartanasana con le gambe piegate, avendo cura di aprire completamente la base del torace e muovere l’ombelico in direzione opposta a quella di torsione.

schiena3Ora si possono eseguire posizioni in piedi con il supporto, ad esempio, utthita trikonasana, utthita parsvakonasana, ardha chandrasana con la schiena al muro successivamente si possono iniziare ad alternare allungamenti e torsioni ad esempio, baradvajasana con la sedia e adho mukha virasana con la sedia, seguiti da parsvottanasana con la sedia e parivrtta trikonasana, parivrtta ardha chandrasana con la schiena al muro, nelle due versioni, ruotando verso il muro e verso il centro della stanza. schiena4

Ora che le lombari e la sacro iliaca si sono un pochino “riscaldate”, si possono affrontare lavori un po’ più impegnativi, come lavorare sull’allineamento dei fianchi e la rotazione della gamba dietro di virabadrasana 1. Qui ho provato due varianti, la prima con la sedia e la seconda utilizzando un mattone contro il muro per  aiutare la stabilità della tibia e del fianco della gamba davanti.
schiena5Proseguendo l’azione di virabadrasana 1, si possono eseguire eka pada bekasana, premendo la parte alta della coscia a terra e spostando verso il basso l’ischio della gamba  piegata; la stessa azione, più intensa, in eka pada raja kapotasana.
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Per quanto riguarda le posizioni sedute, ho utilizzato una cintura dalla sacro iliaca ai talloni per estendere completamente le gambe in dandasana e per dare compattezza al bacino in alcune torsioni, marichasana 1 e marichasana 3. La cintura permette di tenere ben fermi gli ischi a terra e di ruotare la colonna con effetto più intenso.
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E’ opportuno alternare le torsioni alle estensioni, sempre con la cintura per compattare il bacino e le cosce; poi si possono eseguire torsioni più intense, come parivrtta paschimottanasana. Infine, ardha matsyandrasana 1 e 2 sono le torsioni più utili per muovere l’articolazione sacro iliaca. schiena8Per concludere, si possono eseguire alcune posizioni capovolte supportate. A mio parere, questa sequenza lavora in modo profondo le lombari, sciogliendo la fatica e le tensioni, ma si tratta solo di una prima parte, non ancora sufficiente a ripristinare completamente la funzionalità della colonna (continua).

I benefici dell’Iyengar Yoga dopo la menopausa (anche per gli uomini dopo gli anta)

 

Nella seconda metà della vita uno dei rischi è quello di accorciare la spina dorsale e di abbassarsi poco per volta. Questo è dovuto a vari fattori: la perdita di elasticità dei muscoli profondi della colonna (vertebrali e paravertebrali); l’abitudine a portare  il corpo troppo in avanti, inclinando testa, spalle e bacino; la tendenza a prendere peso, costringendo la colonna ad un lavoro supplementare; questo riguarda tutti, uomini e donne.

Il risultato è che, a 70 anni, una persona che non ha fatto nulla per contrastare questo processo, può aver perso anche 6 cm di statura rispetto a quando aveva 30 anni. Spesso l’osteoporosi contribuisce ad accellerare ed aggravare questo abbassamento; ma i due fattori sono evidentemente collegati. Un effetto secondario dell’accorciamento della colonna lombare può essere segnalato dal dolore alla parte bassa della schiena, che a volte può essere tanto forte da risultare invalidante. Mi capita di incontrare amiche che un tempo erano più alte di me ed ora, dopo 30 anni, sono più basse. Eppure anch’io non sono certo cresciuta. Ma l’Iyengar Yoga, lavorando sull’estensione della colonna, contrasta in modo molto efficace questa tendenza.

Dal punto di vista dello yoga, è importante mantenere la salute del corpo, in quanto un corpo- “veicolo” problematico e dolorante non può consentirci, nemmeno dal punto di vista spirituale, di percorrere tranquillamente la nostra strada di evoluzione. La consapevolezza di quello che il tempo provoca, fisicamente e mentalmente, deve essere uno stimolo ad un lavoro sempre più accurato. B.K.S. Iyengar, studiando in modo particolare l’allineamento del corpo, ha indicato il modo con cui praticare nella seconda metà della vita.

Per le donne, la menopausa è uno stato transitorio che produce cambiamenti. Negare questi cambiamenti sarebbe irragionevole, ma chi ha un corpo forte e attivo lo manterrà anche negli anni futuri. L’uomo non ha cambiamenti di tipo ormonale, ma è necessario che mantenga la colonna forte ed elastica e migliori la flessibilità del bacino e delle spalle.

Questa sequenza lavora soprattutto sulle gambe e sul bacino con l’aiuto, in molte posizioni,  di due cinture sistemate con le fibbie verso l’interno, in modo da aiutare a portare l’ischio indietro nelle posizioni sia in piedi che sedute. E’ importante iniziare e terminare con posizioni restorative, per riprendere energia. Il corpo lavora anche durante il rilassamento, e questo permette di assimilare il lavoro svolto

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Savasana su due bolster incrociati e piedi su un terzo bolster. Almeno 10 minuti. Questa posizione e a metà tra setubanda e savasana, apre il torace ed e molto rilassante e rinfrescante.

Supta padangustasana 1 e 2 con la gamba sotto piegata in badda konasana. Coperta arrotolata sotto la coscia della gamba piegata. In supta padangustasana laterale, allungare la gamba con un bolster sotto la coscia. Ripetere due volte per parte. Quindi ripetere supta padangustasana con la gamba sotto distesa.

Tadasana: allineare il davanti del corpo e il dietro del corpo. Osservare il bacino: sono alla stessa altezza?
Tadasana con la base delle dita dei piedi su mattone  per allungare il dietro della gamba e spingere in dentro il sacro. L’addome si rialza e si rilassa.

Tadasana con i talloni sul mattone a mezzaluna. Queste posizioni aiutano a sentire i punti della pianta del piede che spingono per allungare le gambe verso l’alto e, di conseguenza, il bacino.

Tadasana- urdhva hastasana-urdhva badangulliasana-uttanasana e adho mukka svanasana. Questa sequenza si può eseguire stringendo un mattone tra le cosce in modo da sollevare il pavimento pelvico.

Per eseguire le posizioni in piedi mettiamo una cintura per gamba nella parte alta della coscia, con la fibbia in modo da indurre la rotazione dell’interno della coscia in dentro e l’ischio indietro. In questo modo si inducono gli ischi ad andare in avanti, rialzando gli organi addominali.  In questo modo si possono eseguire Utthita Trikonasana, Vira II, Utthita Parsvakonasana, Ardha Chandrasana.

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padangustasana ardha uttanasana con due cinture che tengono ferme le creste iliache (tirano verso l’interno)

Adho mukka svanasana con le cinture nello stesso modo, piedi più alti sui mattoni o box per aiutare a sollevare il bacino.

 

Sirsasana (anche alle corde) oppure supta badda konasana

uttanasana con la testa sostenuta 2 minuti

paschimottanasna sedute su coperte (piedi più bassi del bacino) mattone tra le cosce

janu sirsasana e upavista konasana con le cinture; parsva upavista konasana

badda konasana

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supta badda konasana mattone tra i piedi ed una coperta arrotolata sotto il torace

 

sarvangasana con la sedia e poi halasana con il panchetto 8+8 minuti

paschimottanasana testa sulla sedia 2 minuti

menopausa4setubanda sarvangasana con il bacino sulla sedia, collo e testa su bolster e gambe appoggiate sullo schienale della sedia in badda konasana 5 minuti

setubanda sarvangasana con bacino e schiena su bolster, gambe in badda konasana (cintura), spalle, collo e testa a terra 5-8 minuti

setubanda sarvangasana con due bolster, uno sotto la schiena e uno sotto i piedi 5-8 minuti

savasana con le gambe piegate su due sedie 10 minuti

 

Iyengar Yoga e altri “stili” di yoga

In autunno è possibile che ci si metta alla ricerca di una scuola di yoga,  per praticare in modo regolare una disciplina che tutti dicono essere benefica per il corpo e la mente. Una curiosità  degli allievi può essere quella di sapere che cosa hanno di differente i vari “stili” di yoga. Poiché ora lo yoga è di moda e viene insegnato dappertutto, a volte gli allievi sono disorientati rispetto alla varietà dell’offerta proposta dal mercato. E hanno pienamente ragione: se si cerca “tipi di yoga” o “stili di yoga” su internet si trovano moltissimi siti che spiegano la differenza tra Iyengar® Yoga, Hatha yoga, Kundalini, Bikram, Anusara, Ashtanga, Vinyasa ecc. come se lo studente andasse in un supermercato e decidesse semplicemente cosa comperare tra le varie merci esposte. Di fronte a spiegazioni tanto superficiali, rischia di farsi influenzare dalla grafica, dalle fotografie e dalle promozioni. Non viene spiegato che cos’è lo yoga e perché ci sono così tanti modi di insegnarlo.

Yoga è un termine dal significato molto ampio. E’ una delle filosofie tradizionali dell’India. La pratica dello yoga, secondo gli insegnamenti di Patanjali, mitico autore degli Yogasutra,  si propone di fermare le fluttuazioni della mente e di raggiungere la liberazione, secondo la visione dell’Induismo. Nel XX secolo, lo yoga è ritornato in auge grazie alla curiosità degli occidentali. Si sono così diffuse scuole di yoga e tecniche diverse di insegnamento.

Anziché mettere in ordine alfabetico i “tipi” di yoga, sarebbe forse più utile fare un passo indietro e vedere come le diverse “scuole” sono nate. Il testo di riferimento per tutti quelli che studiano yoga, gli Yoga Sutra (II secolo a.C.-IV secolo d.C.) non parla di diversi tipi di yoga. Un altro testo molto famoso, la Bhavagad Gita (Canto del Beato, forse II secolo d.C.) racconta lo yoga attraverso i dialoghi tra Arjuna e Krishna, spiegando che va praticato il karma yoga (yoga dell’azione), il bhakti yoga (yoga della devozione), e lo jnana yoga (yoga della conoscenza), modalità differenti e complementari per raggiungere la stessa meta.

Detailed hand drawn zentangle. Karma

Moltissime scuole di yoga moderne occidentali si ispirano, almeno nel nome, al vocabolario induista, quindi, se non altro per questa ragione, vale la pena andare a controllare il significato di alcuni termini più ricorrenti e ci si accorgerà che la materia è infinitamente vasta e complessa, molto difficile da afferrare per le persone di altre culture e che non hanno una preparazione specifica: eppure i termini, come sappiamo, sono entrati nel linguaggio comune e nel marketing.

Ora, tra gli studiosi occidentali,  si tende a distinguere tra yoga “classico” (detto Raja yoga, secondo l’insegnamento di Vivekananda) e yoga “moderno” (quello studiato e praticato negli ultimi due secoli) senza dare alla pratica di oggi una connotazione negativa, anzi: lo yoga non é una disciplina accademica e si evolve nel tempo per mantenere intatta la sua efficacia, parole di B.K.S. Iyengar, il più grande insegnante di yoga del XX secolo. Un’altra distinzione, piuttosto infelice, separa le scuole di “yoga meditativo” da quelle di “Yoga posturale”

A mio parere, nello yoga “moderno”, occorre soprattutto distinguere tra le scuole che hanno la radice in insegnamenti nati dalla tradizione induista e alcune pratiche in voga ora, nate dal lavoro di maestri occidentali, che spesso e sicuramente sono ben preparati e hanno studiato in India, ma che hanno poi sviluppato una loro personale tecnica di insegnamento “fusion” in cui mescolano vari insegnamenti e tecniche, sia indiane che occidentali, oppure hanno adattato alcuni principi e tecniche dello yoga alle esigenze del pubblico.

Le principali scuole nate in India (presenti in tutto il mondo e anche in Italia), che danno garanzie di serietà e di preparazione certificata degli insegnanti sono Iyengar, Ashtanga e Satyananda . La scuola di Satyananda (c.d. Hatha Yoga), che si è evoluta dagli insegnamenti di Sri Swami Sivananda Saraswati,  richiama più direttamente agli insegnamenti dei testi tantrici (Kundalini yoga), ha il suo fondamento nel testo chiamato Hatha Yoga Pradipika; l’insegnamento insiste quindi sugli aspetti devozionali e meditativi della pratica, con l’obbiettivo del risveglio dell’energia kundalini. La scuola ha il suo centro nella regione indiana del Bihar, ma è diffusa in tutta l’India e tutto il mondo e diffonde la propria rivista a livello internazionale. Le scuole di Iyengar e di Ashtanga nascono da due maestri, entrambi allievi del grande Krishnamacharya (1880-1979), che riportò in auge lo yoga nel sud dell’India. La sua preparazione era fedele ai testi e all’insegnamento tradizionale, ma molto orientata sulla consapevolezza, come modo per esplorare i vari “strati” del  corpo e della mente. Di qui, B.K.S Iyengar, da cui il nome di Iyengar Yoga, e Pathabi Jois, insegnante di Ashtanga, hanno avuto storie separate, pur mantenendo un rapporto di amicizia. Il figlio di Krishnamacharya, T.K.V. Desikachar, sviluppò una sua propria scuola, tuttora molto seguita dagli occidentali.  Poiché io ho studiato Iyengar®Yoga e tutto questo blog, le sequenze e l’interpretazione filosofica sono frutto dell’insegnamento di questa scuola, non mi dilungo a parlarne qui. Iyengar ha dedicato tutta la vita a migliorare l’insegnamento dello yoga, con straordinaria intelligenza ed apertura verso la mentalità occidentale, pur rimanendo assolutamente fedele all’insegnamento spirituale profondo di Patanjali; ha creato una rete di insegnanti certificati a livello internazionale e degli standard di insegnamento e di pratica molto rigorosi.

Tutte le altre scuole di yoga, con diversi nomi, prendono (o hanno preso) spunto da questi maestri.  Ora ci sono vari tentativi di fornire più garanzie al pubblico in merito alla preparazione degli insegnanti di yoga, che nel frattempo è diventato Patrimonio dell’Umanità riconosciuto dall’Unesco.  Ci sono associazioni a livello nazionale ed internazionale attente alla formazione e aggiornamento degli insegnanti, c’è anche una norma UNI che definisce le caratteristiche dell’insegnante di yoga. Il sito, ad esempio della YANI (Yoga Associazione Nazionale Insegnanti) elenca stili di yoga “moderni” ispirati alla Bhagavad Gita, ben sapendo che molte scuole di yoga offrono corsi di questo genere. Altri siti offrono esclusivamente una panoramica di tipo commerciale, mescolando “stili” di yoga nati in India con “stili” inventati da maestri occidentali.  Non manca lo “yoga della risata”!

La cosa importante è non confondere l’esercizio fisico in palestra con la pratica dello yoga, anche se ora si tende a fare così. E’ vero che chi pratica yoga seriamente, non ha più bisogno poi di fare altro esercizio fisico per tenersi in forma e in buona salute. Però lo yoga è una “pratica”, con una finalità superiore, l’esplorazione del corpo e della mente, non un esercizio fisico fine a se stesso. Quindi è necessario scegliere un insegnante di yoga che dia requisiti e accompagnare la pratica con qualche lettura in modo da entrare gradualmente in argomento. Se va tutto bene, è opportuno chiedere all’ insegnante dei consigli per la pratica personale e iniziare a praticare per conto proprio, oltre che andare a lezione.  E’ bene essere sempre critici e tenere presente che l’insegnante di yoga, per le caratteristiche particolari fisiche e psichiche della disciplina, può influenzare più di quanto possa sembrare in un primo tempo. Se si sente, nel tono della voce, nelle parole o nei comportamenti, qualcosa di non pienamente convincente, meglio cambiare.  Il cammino dello yoga, nonostante le scuole, è un cammino individuale. Sono gli allievi (siamo tutti allievi) a  decidere se e quanto praticare e per andare dove. L’insegnante che si  sceglie deve  accompagnare e non viceversa.

lo-stile-di-yoga-giusto

Mantenere il cervello passivo nel pranayama e in savasana

(puntata precedente) La radice del naso è un punto da osservare con cura durante il pranayama.  Anche i lati del naso, verso le guance, sono punti chiave, perché rivelano se il cervello è completamente passivo. Nel momento in cui globi oculari, radice del naso e guance tendono a salire, questo significa che il cervello non è passivo.  Osservate la punta superiore dello sterno, questo è il “cervello” nel pranayama.  Non create rigidità in questo punto.

Quando si porta la testa giù, l’arroganza si posiziona nella parte alta delle scapole.  Occorre connettere la parte alta della schiena con la parte bassa della schiena che muove verso il pavimento.  Sentite gli ischi, per aggiustare gli ischi muovete il cingolo pelvico, non il torace.  Lo spazio tra il perineo e i muscoli dei glutei deve essere uguale. Muovete il perineo in avanti.  Provare, ujjyai per 5 minuti in questo modo. Chiudete gli occhi, testa giù. Gli occhi vanno verso gli zigomi. Quando inspirate, non muovete gli occhi, non muovete la pelle. La parte superiore dello sterno non sale, si apre orizzontalmente. Quando espirate invece, dovete alzare più in alto i due lati dello sterno. Nell’espirazione, dalla periferia occorre raggiungere l’etere.  Gli occhi rientrano più profondamente.

Nel prossimo ciclo osservare il rapporto tra lo sterno e il perineo durante l’inspirazione. Alla fine dell’inspirazione, le clavicole si aprono come in sirsasana e durante l’espirazione il lato superiore delle clavicole resta alto e connesso con la colonna.  Lo spazio sotto le clavicole non si deve afflosciare, chiudere. L’intelligenza deve raggiungere lo spazio interno. Per ottenere questo, durante l’espirazione, l’osso pubico non deve inclinarsi verso il basso.

Nel prossimo ciclo, inspirando osservare la punta superiore dello sterno, si deve muovere come in ustrasana.  Dalla colonna cervicale è come se si muovesse un ago che solleva la punta superiore dello sterno. Quindi non lasciate che la colonna cervicale diventi egoista, arrogante. Nell’espirazione, il suono scompare lasciando il silenzio dello spazio interno.

Nel prossimo ciclo, osservate la vibrazione che è la caratteristica dell’etere. Quindi  inspirando sentite l’aria, l’acqua e lentamente proseguite fino a quando raggiungete la terra.  Non bloccate l’interno dell’orecchio nell’inspirazione: se questo avviene, significa che il cervello è rigido. Mantenere l’interno dell’orecchio più sottile possibile. Quando espirate, osservate attentamente i lati esterni del diaframma, devono andare verso il centro e raggiungere l’etere senza che la sagoma del corpo si afflosci o si modifichi. La parte alta del torace, nell’espirazione, fa tadasana.  Non lasciate che prevalga la prepotenza della parte posteriore, delle spalle. Il dietro va aggiustato dalle clavicole che restano parallele.

Se riuscite a mantenere la stabilità delle radici, potete migliorare; altrimenti, il vostro corpo si inclina all’indietro e nemmeno vi accorgete.  Mantenete la connessione tra il coccige e i due lati del torace.  La pesantezza si può sentire nella parte alta del torace, sia che siate seduti diritti che no. Muovete alll’interno la colonna cervicale e toracica e sollevate i due lati del torace.  La colonna cervicale va verso le clavicole e ammorbidisce la pelle, la massaggia.

Mantenete la radice della lingua all’interno, senza disturbare la gola, per mantenere la purezza del respiro. Dal prossimo ciclo, durante l’inspirazione, osservare la pelle dell’ascella, non deve essere costretta.  La pelle del lato interno delle braccia deve continuare a ruotare in avanti, non deve scendere. Quando eseguite il pranayama, anche gli occhi si muovono verso i polmoni, l’occhio destro e l’occhio sinistro vanno ad osservare il polmone destro e sinistro. In particolare, quando si espira, l’osservazione è più evidente. Equilibrare. Come ha detto Prashant, il sentire è equanime. Non c’è indirizzo.

Ora rialzate la testa. Come sentite le tempie? Sono pesanti, o non si avvertono? Se sono pesanti c’è ancora qualcosa di sbagliato. Come sentite la gola? Il lato sinistro, il lato destro della gola? Se li sentite diversi, la testa non era perfettamente dritta. Dovete andare dal generale al particolare e chiedervi perché c’è libertà in un punto e non nell’altro.

Savasana. Imparare questo modo di osservare è la cosa più difficile, occorre essere maestri e allievi allo stesso tempo.  Bisogna sincronizzare ciò che state facendo e ciò che state imparando. Rilassate gli occhi, gli inguini, in modo che il respiro segua gli occhi. Portate i muscoli dei due lati della schiena paralleli. I lati esterni dell’osso sacro devono toccare terra, così tutta la colonna si rilassa. Anche in savasana, la colonna toracica deve muovere in dentro, tutta la pelle della schiena parallela al pavimento.  Osservare le scapole, come dicevo prima, questa è la parte prepotente, la pelle delle scapole non deve andare verso il collo, ma allargarsi parallela al pavimento. Osservare la pelle delle ascelle, piegate i gomiti, allungate la pelle dell’ascella verso i gomiti, poi stendete le braccia di nuovo. Ora portare l’attenzione sul respiro, semplici inspirazioni e espirazioni e verificare se c’è libertà nei due lati del torace. Ruotare la parte esterna delle braccia verso il basso, e quindi il lato interno dei polsi verso l’alto. Ora inspirare, osservare i pollici e i polsi, devono rimanere passivi e rilassati. Dovete esplorare tutte le possibilità per eseguire l’azione corretta. Osservare di nuovo gli occhi, sono vicino alle guance o al cervello? Se gli occhi salgono verso il cervello, non state facendo savasana per niente. Se gli occhi sono davvero passivi, scendono verso gli zigomi, il cervello è passivo ed è savasana.

 

Asana/Pranayama

 

 

“Quando questo (la perfezione degli asana) è raggiunta, segue il pranayama. Esso consiste nella regolazione della inspirazione e espirazione”

(Yoga Sutra, II, 49)

“Quando lo yogin ha dominato le sue passioni e osservato una dieta salutare e moderata, dopo che l’asana è stabilmente acquisito, deve praticare il pranayama, secondo gli insegnamenti del maestro”

(Hatha Yoga Pradipika, II, 1)

Secondo Iyengar, pranayama significa “esercizio del respiro” mentre asana non significa esercizio, ma “posizione”. Questo è il modo con cui asana e pranayama sono legati, oltre alle mille sfumature con cui si possono trovare collegamenti tra questi due “anga” dello yoga, come con gli altri. Prima di imparare l’esercizio del respiro, occorre trovare l’asana più appropriata, confortevole ma assolutamente stabile, in modo da trovare il “luogo” per l’espansione del respiro. E’ stata la genialità di Iyengar ad aver perfezionato la pratica del pranayama anche in posizione sdraiata, o con i supporti, in modo da rendere accessibile questo “esercizio” anche a chi non è proprio ancora perfetto in ogni asana; tuttavia occorre capire esattamente le ragioni per cui i testi si sono espressi in questo modo.

Occorre praticare specifici asana che aiutino a sentire i due lati del torace e il sollevarsi dello sterno. In tutte le posizioni, le clavicole sono aperte, in modo da rilassare la gola.

adho mukha virasana, adho mukha svanasana, uttanasana, padangustasana, uttanasana, adho mukha svanasana

Iyengar diceva di immaginare che un filo colleghi la più bassa delle vertebre cervicali con la punta superiore dello sterno. Più lo sterno sale, più le vertebre cervicali scendono e vanno verso l’interno del corpo. Questa “posizione” , fondamentale per il pranayama, si impara con l’esecuzione di alcuni asana, e soprattutto di parsvottanasana, prasarita padottanasana, padangustasana,

Paschima namaskarasana, parsvottanasana (mani in namaskarasana), prasarita padottanasana 1 e 2

Sirsasana preparazione, più volte, cambiando incrocio delle dita ogni volta. Spostare il peso dai gomiti ai polsi. Ripetere, sollevare la testa per far salire di più le scapole. Poi con la cima della testa a terra

ciclo di vajarasana

salabasana, makarasana, ustrasana. Imparare a sollevare la punta superiore dello sterno

paryankasana con le gambe incrociate e i supporti

chatuspadasana. Osservare come sale lo sterno e come rientrano le vertebre cervicali

sarvangasana, setubanda sarvangasana

savasana

Costruire la posizione per il pranayama seduto, senza oscillare con la schiena. Osservare la stabilità. la comodità della posizione e cercare lo spazio interno. Eseguendo jalandhara  bandha lo sterno sale e le cervicali rientrano. 5 minuti di respirazioni normali mantenendo la posizione.

Costruire la posizione per il pranayama sdraiato, con le gambe incrociate e una coperta sotto le scapole. Osservare la posizione della colonna e delle lombari soprattutto. Osservare lo spazio che si crea per il respiro in questo modo. 10 minuti di ujjyai pranayama

Ujjyai pranayama in posizione seduta.

Viloma pranayama in posizione sdraiata (supporti sotto la schiena, gambe rilassate e allungate)

Viloma pranayama in posizione seduta. Espirando, sollevare i due lati del torace. Mantenere la sommità dello sterno su quando si espira. Quando questo è imparato, prolungare l’espirazione.

Savasana

 

Asana/Yama: “non fare” nello yoga

Ahimsa Satyasteya Brahmacharya Aparigrahah Yamah (YS, II, 30)

Non violenza, veridicità, astenersi dal rubare, continenza e assenza di avidità per i beni materiali al di là delle proprie necessità sono i cinque pilastri di  yama (Iyengar, traduzione di G. Giubilaro)

Le astensioni (yama) sono: non nuocere, non dire falsità, non rubare, non compiere attività sessuale, non trattenere nulla per sè (Squarcini)

Questo seminario (28 ottobre2017) dedicato ad Asana e Yama (l’immagine in copertina  viene di qui)  prosegue la serie già iniziata la scorsa primavera, in cui sono state proposte sequenze ispirate da alcune “parole chiave” degli Yoga Sutra: la stabilità, il distacco, l’ardore, il coraggio, la conoscenza.

Prosegue soprattutto la materia del seminario su Asana/Dhyana in cui erano state studiate le posizioni “originarie” dello yoga in quanto utilizzate, secondo alcuni commentatori, soprattutto per la meditazione.

Poiché gli Yama sono a capo dell’elenco degli otto “anga”,  si può dedurre che la dedizione alla pratica yoga non sia matura sino a quando gli yama non sono entrati a far parte del comportamento e della pratica di vita individuale. Iyengar, nella sua introduzione agli Yoga Sutra con la traduzione e commento di Edwin Bryant,  ha osservato che yama e nyama costituiscono il percorso della  “pratica”, ovvero occorre praticare yama e nyama per controllare  le fluttuazioni della mente.

La non violenza (ahiṁsā) é stata la parola d’ordine di Gandhi ed è il grande messaggio che l’India ha regalato al resto del mondo. Se Yama costituiscono la radice dello yoga (infatti sono menzionati per primi), ahiṁsā é la radice di Yama. Non danneggiare alcun essere vivente significa anche avere un rapporto corretto con l’ambiente che ci circonda, e con noi stessi.

La verità (satya) il secondo yama, ha a che fare con il corretto processo di apprendimento e di vera conoscenza. La parola deve essere sempre usata a fine di bene e di verità e la verità non deve essere usata con brutalità, ma con gentilezza. Si può dedurre che anche l’ascolto deve essere onesto e attento, rivolto a migliorare la conoscenza spirituale: anche questa è una indicazione per la pratica degli asana.

Non rubare (asteya), il terzo yama, è descritto come non appropriarsi di cose altrui e nemmeno desiderare di farlo. Questo ultimo aspetto è importante , come avevano già suggerito i primi commentatori, perché più si desidera qualcosa, più si è tentati di appropriarsene con ogni mezzo. Non c’è bisogno di ricordare che l’invidia è una malattia perenne, contagiosa in ogni ambiente e ogni periodo storico: è talmente comune che vale la pena di tenere a mente che gli yama sono una “pratica”,  un astenersi da….

Non avere desiderio smodato (brahamacarya) si riferisce non solo  alla sfera sessuale, ma può benissimo riferirsi al cibo, e a molte abitudini di vita che ci vogliono assuefatti.

Rinunciare all’avidità è non attaccamento (aparigrahah). La Bhagavad Gita insiste molto su questo punto, e il non attaccamento è anche ai risultati delle proprie azioni.

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Come interpretare gli yama per la pratica degli asana? Gli studenti di yoga (soprattutto quelli intermedi ed avanzati! E gli insegnanti ancora di più) non resistono alla tentazione di vedere gli asana come una sfida. Non c’è niente di male in questo perché è sempre necessario mettersi alla prova, non fare di più di quello che si è in grado di fare, ma nemmeno di meno, altrimenti prevale la pigrizia. Tuttavia,  come bene spiega nelle sue lezioni Prashant Iyengar, è facile cadere nella logica del “fare”: fare la pratica, fare gli asana, fare il pranayama, fare meditazione, fare dieci minuti di sirsasana più le variazioni ecc.

In una  pratica matura degli asana si dovrebbe aver superato il semplice “fare” per chiedersi che cosa “fanno” gli asana per noi: e qui si aprono molte risposte ed anche molti interrogativi.

Praticare gli asana tenendo presente Yama significa non identificarsi con le proprie fluttuazioni (YS, I, 4), ma porsi in ascolto con la massima onesta ed equanimità possibile: equilibrare il lato destro e il sinistro, la parte anteriore e quella posteriore, la parte volitiva e quella pigra, la parte onesta e quella che vorrebbe “rubare” energia.

B.K.S. Iyengar ha osservato, a proposito della pratica degli asana, che la flessibilità che si ottiene è il simbolo della flessibilità che si raggiunge rispetto ai problemi e alle sfide della vita: non è l’ambiente esterno che si deve continuare a modificare -e questo richiederebbe spesso il ricorso alla violenza, menzogna, furto di risorse, desiderio smodato, avidità- ma è lo studente di yoga che si deve continuamente riequilibrare internamente ad ogni livello, fisico, emozionale e mentale.  Diversamente, la pratica degli asana, da sola,  sarebbe soltanto ginnastica.

E’ evidente la potenza grandissima dei cinque Yama, capaci da soli, nella pratica corretta, di permettere il raggiungimento dello scopo dello yoga. Non si tratta certo di un primo passo ma forse del più difficile: fortunatamente esistono gli altri “anga” tra cui gli asana, la cui pratica è più facilmente accessibile per noi e che quindi possiamo coltivare con particolare attenzione ai precetti di Yama.

Ed ecco una possibile sequenza di posizioni tutte supportate, che vanno eseguite in modo  da ascoltare le sensazioni del corpo rispetto al supporto. Si tratta di posizioni piuttosto semplici in quanto devono spronare non “il fare”,  ma il “non fare”, l’ascoltare, lo spegnersi delle fluttuazioni, il punto di vista dell’osservatore esterno.

supta tadasana

supta urdhva hastasana

supta pavana muktasana

supta padangustasana 1 e 2. Nel portare la gamba lateralmente, ascoltare dove andrebbe il peso se non contrastato, e ruotare l’ombelico e il torace in direzione opposta.

urdhva prasarita padasana con le gambe a 90° e la cintura.

jatara parivartanasana

img_4256.jpgvajarasana con la cintura alle caviglie

ardha parsva hastasana (v. foto) la mano contro il muro nelle 4 direzioni. Ascoltare un minuto per posizione e per parte.

utikatasana dita al muro

img_42561.jpgutthita trikonasana con il piede dietro al muro. Ruotare ombelico e torace verso il muro, come in supta padangustasana laterale.

utthita parsvakonasana piede dietro al muro

ardha chandrasana piede dietro al muro

parsvottanasana

adho mukha svanasana mani sui mattoni nelle varie direzioni

sirsasana

paschimottanasana mani su due mattoni

marichasana 1

paschimottanasana idem

marichasana 3

paschimottanasana capo supportato

img_42562.jpghalasana con i piedi al muro. Spingere la pianta dei piedi. Estendere le mani in direzione opposta su due mattoni con i palmi verso il basso e verso l’alto.

savasana

 

Bibliografia consultata:

B.K.S. Iyengar, Gli antichi insegnamenti dello Yoga. I Sutra del grande maestro Patanjali, 1997

Taimni I. K. La scienza dello Yoga. Commento agli yogasutra di Patanjali, 1970

Patanjali. Yogasutra, a cura di Federico Squarcini, 2015

E.F. Bryant, The Yoga Sutras of Patanjali. A New Edition, Translation and Commentary, 2015

C. Pisano, Virasamavesa, La contemplazione dell’eroe, 2011 (in particolare la sequenza alle p. 385-389)

 

 

Asana/Dhyana

 

Nei seminari di quest’anno dedicati agli studenti intermedi ed avanzati andremo a rileggere che cosa Patanjali ha detto a proposito dell’astanga yoga e a mettere in relazione con gli asana ogni volta un “anga” diverso. Questo perché Guruji ha insegnato principalmente la perfezione dell’asana, convinto che nella pratica degli asana siano impliciti anche gli altri “rami” o “anga” dello yoga.

Questo seminario (23 settembre 2017) prosegue la serie già iniziata la scorsa primavera, in cui sono state proposte sequenze ispirate da alcune “parole chiave” degli Yoga Sutra: la stabilità, il distacco, l’ardore, il coraggio, la conoscenza.

Iniziamo quindi con asana/dhyana perché secondo alcuni commentatori l’asana è solamente la posizione seduta  ed infatti la parola è utilizzata nei Veda con il significato di “sedile”. Questo ha provocato dibattiti tra gli studiosi, poiché sembra che ci sia poco in comune tra gli  “asana” praticati oggi nelle numerose scuole di yoga e l’asana inteso come stasi, posizione seduta per la pratica di dhyana, meditazione o contemplazione.

Il geniale lavoro di ricerca e di insegnamento di BKS Iyengar ci dimostra che non è così. Anche gli asana di tradizione più antica richiedono un non indifferente lavoro fisico di preparazione e una attenzione al corpo inconciliabile con i luoghi comuni sullo yoga “meditativo”.

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Alcuni documenti archeologici aiutano a comprendere che la pratica del terzo “anga” di Patanjali sia qualcosa di più e di diverso dal semplice stare seduti per la meditazione. Basta osservare una delle numerose statue di Buddha del Gandhara (II secolo a.C.) per ammirare la perfetta simmetria del padmasana, l’estensione verso l’alto dei due lati del torace, il rilassamento della gola, il rilassamento della pelle del viso. Soltanto le mani descrivono un mudra e sono in posizione asimmetrica perché il gesto esprime il significato della raffigurazione.

WP_20170919_13_49_55_ProUn bronzetto proveniente dal sud dell’India, forse ben 1500 anni dopo, ovvero verso il 1300, raffigura Yoga-Narashima ovvero Visnu nella sua incarnazione come uomo con la testa di leone. La divinità è questa volta seduta in sukhasana, la posizione comoda. L’incrocio delle gambe è sorretto da una larga fettuccia, come le nostre cinture! Ancora una volta non soltanto vediamo la perfetta esecuzione dell’asana ma anche l’uso di un supporto.  Questa statua è stata citata infatti da Guruji a proposito della antica sapienza dello studio degli asana e dei modi -inclusi i supporti- per renderle più semplici da imparare e da “sentire”.

Patanjali dedica agli asana 3 sutra:

II, 46  l’asana è perfetta stabilità del corpo, perseveranza dell’intelligenza e buona disposizione dello spirito (Iyengar)

La positura (dovrebbe essere) stabile e comoda (Taimni)

(dopo aver atteso alle astensioni e prescrizioni) si dà una stasi stabile e agevole (Squarcini)

II, 47 la perfezione nell’asana è raggiunta quando lo sforzo per eseguirla diventa senza sforzo e l’essere infinito dentro di noi viene raggiunto (Iyengar)

mediante il rilassamento dello sforzo e la meditazione sul “senza fine” (si domina una postura) (Taimni)

(Una stasi a cui si è giunti in virtù) dell’allentamento dello sforzo e dell’approdo alla concordanza con l’illimitatezza (Squarcini)

II, 48 da questo punto in poi il sadhaka non è più disturbato dalla dualità (Iyengar)

da ciò la mancanza di attacchi da parte delle coppie di opposti (Taimni)

e dalla quale deriva l’immunità alle coppie di opposti (Squarcini)

Tre sutra possono parere pochi, in confronto alo spazio dedicato, ad esempio, a descrivere i vari yama e nyama. Questo è stato un argomento usato dai sostenitori dello yoga “meditativo” per dire che gli asana sono un aspetto secondario della pratica. Ma in realtà dhyana, che noi traduciamo  con “meditazione” è definito con un solo sutra:

III, 2 La meditazione è un flusso regolare di attenzione diretto verso un unico punto o area (Iyengar)

il flusso ininterrotto della mente verso l’oggetto (scelto per la meditazione) è la contemplazione (Taimni)

L’univoco protrarsi in questa (stessa) sede della disposizione alla cognizione (rimasta) è la visione inintenzionata (Squarcini)

Il fatto che Patanjali dedichi poco spazio agli asana non vuole dire che questo “anga” non sia importante. Secondo alcuni, non descrive gli asana più in dettaglio perché altri testi l’avevano già fatto: un testo più tardo, l’Hathayoga Pradipika, si propone proprio di illustrare la pratica di asana, pranayama, mudra e bandha secondo gli insegnamenti dei più antichi e autorevoli maestri, distinguendo tra raja yoga, i principi dello yoga e hatha yoga, la pratica dello yoga (questo testo si data forse al XIV secolo). E tra gli antichi maestri ci sono anche i commentatori di Patanjali, tra cui Vyasa che, qualche secolo dopo Patanjali, nomina 11 asana principali, che non sono però gli  unici. Questi asana sono tutte posizioni sedute o varianti di posizioni sedute, ma nell’Hathayoga Pradipika si parla di 84 posizioni descritte da Siva e di un numero pressoché infinito di posizioni nei testi più tardi.

In conclusione, pare ragionevole l’interpretazione di Edwin Bryant che per “asana” suppone si debba intendere tutta quella pratica volta ad abituare il corpo in modo tale che la mente non venga disturbata durante la meditazione, un rapporto privilegiato quindi tra asana e dhyana. Certo, in sé, la pratica degli asana non è l’obbiettivo dello yoga, ma la stessa cosa si potrebbe dire anche degli altri “anga” descritti negli Yoga Sutra. E’ lo stretto legame tra tutti questi aspetti che rende la pratica efficace a raggiungere gli obbiettivi.

Quindi con la nostra pratica, in questa fase, studiamo le posizioni sedute descritte da Vyasa ed eseguiamo una sequenza volta a migliorare la stabilità era comodità di queste posizioni, alla ricerca dello “sforzo senza sforzo” e del “superamento della dualità” in modo tale che non intervenga alcun disturbo da parte del corpo durante il pranayama seduto e la contemplazione o meditazione (in grassetto gli asana menzionati da Vyasa):

tadasana/uktanasana/malasana/adho mukha svanasana/uttanasana

supta tadasana/pavana muktasana/urdhva prasarita padasana/supta padangustasana

virabhadrasana II x 3

dandasana/sukhasana/parvatasana in sukhasana/supta sukhasana

siddhasana/preparazione per kamalasana/ardha kamalasana/kamalasana/

ardha padmasana/padmasana/parvatasana in padmasana/matsyasana

virasana/parvatasana in virasana/ supta virasana/paryankasana/yoga mudra in virasana/Krounchasana/ustrasana

badda konasana/yoga mudra in badda konasana/supta badda konasana

savasana

ujjyai pranayama sdraiato con gambe incrociate su bolster

villoma pranayama espirazione in sukhasana o padmasana mantenendo l’addome rilassato, il torace su

dhyana in sukhasana, padmasana o virasana

 

Bibliografia consultata:

B.K.S. Iyengar, Gli antichi insegnamenti dello Yoga. I Sutra del grande maestro Patanjali, 1997

Taimni I. K. La scienza dello Yoga. Commento agli yogasutra di Patanjali, 1970

Patanjali. Yogasutra, a cura di Federico Squarcini, 2015

E.F. Bryant, The Yoga Sutras of Patanjali. A New Edition, Translation and Commentary, 2015

 

 

 

Pratica personale: il “saluto al sole”

o Surya Namaskar è una delle pratiche di maggiore successo dello yoga contemporaneo, meritatamente. Si tratta infatti di una pratica che non richiede alcun attrezzo, oltre al tappetino e molta buona volontà, ma offre straordinari benefici fisici e mentali. E’ una pratica adattissima al periodo delle vacanze o del rientro perché permette di rimettersi in forma in breve; inoltre è una pratica completa, che si può adattare a seconda delle proprie esigenze. Non sappiamo quando sia nata questa sequenza di asana: secondo alcuni, l’origine sarebbe relativamente recente, l’inizio del secolo scorso; ma secondo altri risalirebbe addirittura al periodo vedico.

L’abitudine di eseguire asana in sequenza (Vinyasa) doveva essere comune nella scuola di Krishnamacharya a Mysore: è infatti stata ereditata da Pathabi Jois con il suo Astanga Yoga ed è stata a lungo praticata anche da Iyengar, che successivamente si dedicò a studiare l’allineamento nell’asana e lo yoga terapia, arricchendo la pratica di asana in sequenza di ben più importanti approfondimenti.

La pratica viene comunque mantenuta da BKS Iyengar nel suo Light On Yoga, nelle sequenze, del c.d. “primo corso” e la sequenza suggerita è la seguente:

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  1. Tadasana, inspirazione
  2. Uttanasana,  espirazione,inspirazione
  3. Chaturanga Dandasana,  espirazione
  4. Urdhva Mukha Svanasana,  inspirazione
  5. Chaturanga Dandasana,  espirazione, inspirazione
  6. Adho Mukha Svanasana, espirazione
  7. Uttanasana, inspirazione
  8. Tadasana, espirazione

Se Chaturanga Dandasana all’inizio è difficile, si può sostituire con Adho Mukha Virasana (come nella sequenza in apertura). Nel primo corso di asana di Gaeta Iyengar, Surya Namaskara è definito “parte delle preghiere giornaliere, in quanto ognuno, nei suoi rituali, non può fare a meno di salutare il Sole, Surya, una energia incredibile ed indispensabile per l’umanità”. Si consigliano 12 ripetizioni, come i 12 nomi del Dio Sole.  Per passare da una posizione all’altra si possono anche eseguire dei salti: questa tecnica è alla base dell’Astanga Yoga.

Oppure si può benissimo portare l’attenzione sul respiro e sull’allineamento, evitando di saltare. Per rendere la pratica più varia e completa, si possono inserire altre posizioni, in piedi, sedute, in avanti ed indietro. Ad esempio, dopo Adho Mukha Svanasana, inserire Utthita Trikonasana a destra e sinistra. Un esempio qui con Utthita Parsvakonasana. Notate che ho inserito la sequenza chaturanga-urdhva mukha tre le due ripetizioni destra/sinistra di parsvakonasana.

IMG_3575“I movimenti veloci e il rapido cambio di posizione assicurano libertà di movimento, creano agilità e flessibilità. migliorando la circolazione sanguigna” e anche la circolazione linfatica, grazie all’azione combinata del respiro con rapidi movimenti che allungano la parte anteriore e posteriore della colonna. I benefici dello yoga vengono in questo caso combinati con quelli di una attività aerobica, con vantaggio per il sistema cardiorespiratorio, e per il metabolismo, come è riportato da una ampia letteratura scientifica.  “Il cervello pigro si attiva e la mente agitata si riposa. Infatti questa è una specie di lavaggio del cervello, in cui si iniziano vedere nuove prospettive e un futuro migliore. Inoltre, i più giovani si divertiranno molto” prosegue Geeta, “ma chi ha problemi di cuore deve eseguire asana più riposanti”. Inoltre questa sequenza non è indicata durante il ciclo mestruale. E’ invece adattissima agli sportivi che vogliono mantenere e incrementare agilità e flessibilità, come specificato da Yoga e Sport, l’ultimo lavoro di BKS Iyengar tradotto in italiano. Gli occhi devono seguire il movimento delle dita: questo aiuta la coordinazione tra i sensi di percezione e ii corrispondenti organi di azione.

Ma questa intuizione non è preziosa solo per gli sportiva, è a maggior ragione utilissima per le persone non più giovani, che iniziano la pratica dello yoga, e che desiderano lavorare anche per conto loro. Eseguire -ad esempio- tadasana, urdhva hastasana muovendo lo sguardo aiuta moltissimo a mantenere l’equilibrio.

Un grande insegnante di Iyengar Yoga, Christian Pisano, nel suo testo “Virasamavesa. La contemplazione dell’eroe“, riprende le basi di Surya Namaskara nella pratica chiamata “Incantazione della corrente”, sottolineando l’aspetto meditativo di questa pratica, in cui le variazioni di movimento generano una corrente di fluidità e di energia. Tuttavia ammonisce sul fatto che le asana vanno prima studiate separatamente e la pratica della fluidità non deve creare ansia o disordine.  “Il movimento e il radicamento devono procedere di pari passo”. In questa “incantazione della corrente”, Pisano propone di inserire praticamente tutte le più comuni asana, in una sequenza che può diventare anche più di un’ora continuata, come ho suggerito per stimolare tapah. E’ importante non  accelerare mai i tempi e mantenere il respiro regolare. Ovviamente richiede esercizio e pratica. Al termine della sequenza, le posizioni capovolte devono essere supportate, perché non è possibile avere la necessaria stabilità.

 

Yoga e salute: la circolazione linfatica

lymphatic_system1310769499554Con la pratica degli asana, sviluppiamo sensibilità nella intercapedine tra la pelle e la carne…Il movimento della pelle dà la comprensione dell’asana. Sentite di estendere la pelle, i muscoli, persino le ossa, dal centro alle estremità e dalle estremità verso il centro (BKS Iyengar, Light On Life, 2005, p.28 ss.)

Il sistema linfatico è poco conosciuto nelle sue funzioni e molto delicato. La funzione del sistema linfatico è quella di  produrre  e far circolare in tutto l’organismo sostanze   create dalle  ghiandole disposte lungo la colonna.  La linfa è una soluzione acquosa che contiene sostanze importantissime soprattutto per la risposta immunitaria.    Però  il fluido, percorsi i vasi di conduzione, si può disperdere nei capillari linfatici, provocando ristagno e gonfiore negli arti. Poiché il 70% della circolazione linfatica è sottocutanea, la pressione dei muscoli è il principale fattore che aiuta la propulsione della linfa. In particolare le giunture (gangli linfatici) si trovano numerose in corrispondenza delle maggiori articolazioni del corpo, ascelle, inguini, gomiti e ginocchia. Anche i movimenti respiratori fungono da fattore propulsivo per la circolazione della linfa.

Più si studia il sistema linfatico, più si scopre quanto sia interessante rispetto alla pratica dell’Iyengar Yoga. Infatti Iyengar aveva osservato come il “corpo fisiologico” sia compreso tra il “corpo muscolare-scheletrico” ed il “corpo mentale”. Se le cellule del nostro corpo non sono in buona salute, noi non siamo in buona salute. Con la pratica di asana e pranayama possiamo intervenire a modificare lo stato di salute del nostro corpo ed in particolare rendere l’intero corpo attivo, eliminando i liquidi in eccesso e le tossine.
La linfa si origina dal filtraggio del plasma sanguigno attraverso le pareti dei vasi. La maggior parte di questo liquido viene riassorbito rapidamente dallo stesso sistema sanguigno, ma un’altra parte (2-4 litri in 24 ore!) non venendo riassorbito, costituisce il liquido “interstiziale”. La linfa, già conosciuta nell’antichità e anche in India (in sanscrito lasika, liquido luminoso), contiene lipidi e proteine che vanno ad arricchire il sangue, ma contiene anche materiale che va filtrato ed eliminato (ad esempio, durante la digestione, i liquidi transitano per il sistema linfatico). Inoltre, la risposta immunitaria si attiva attraverso il sistema linfatico, poiché i linfociti, cellule importanti nella risposta immunitaria, si formano nel timo, nella milza e nei linfonodi e la linfa stessa può essere portatrice di antigeni. A differenza del sistema circolatorio, la circolazione della linfa avviene soltanto in un senso, dalla periferia al centro; non esiste un organo centrale preposto alla mobilità della linfa, come avviene per il sangue pompato dal cuore.

images-17La complessità del sistema linfatico (capillari, vasi, precollettori, collettori, linfonodi, tronchi linfatici, e dotti linfatici) ricorda le Nadi di cui parlano gli antichi testi dello Yoga, che avevano origine da un punto chiamato kandasthana situato subito sotto l’ombelico. Queste nadi erano 72000 ma ognuna si divideva a sua volta in altre 72000. Le nadi principali connettevano i punti focali della colonna (chakra) a cui tutto il sistema era collegato.

 

Per stimolare il sistema linfatico, occorre eseguire posizioni in sequenza accompagnate dal respiro, posizioni capovolte e posizioni di recupero. La pratica del pranayama è particolarmente adatta a lavorare sui gangli linfatici. Occorre però anche studiare a fondo come lavora la pelle rispetto ai muscoli, soprattutto nelle posizioni in piedi, in modo da creare una capacità di sentire lo scorrimento della pelle rispetto ai tessuti sottostanti nelle varie posizioni.

utthita trikonasana

Il vero significato della Giornata Internazionale dello Yoga

di Zubin Zarthoshtimanesh

Il momento migliore per piantare un albero è stato 20 anni fa; il secondo migliore momento è adesso” (vecchio proverbio cinese)

La pratica dello yoga serve a rimuovere le erbacce dal corpo e dalla mente, in modo che il giardino
possa prosperare” (B.K.S. Iyengar)

Il mio Guru B.K.S. Iyengar, cui fu conferito il primo premio Padma Vibhushan per il suo contributo nel campo dello Yoga, si è spento il 20 Agosto 2014, ma il suo spirito è sicuramente qui con noi per
vedere il mondo cogliere questa antica arte, scienza, cultura e filosofia
.

Ma quale dovrebbe essere la vera celebrazione di una Giornata Internazionale dello Yoga? Per capirlo
dobbiamo sapere che la parola viene dall’antica radice sanscrita 
yuj che significa unire, legare,
congiungere. Quindi, lo Yoga   intende unire l’individuo e l’universo. E’ uno strumento per renderci più ricettivi ed estendere le nostre potenzialità.
In che cosa consiste lo strumento dello Yoga? Soltanto quello con cui siamo nati, il corpo, la mente e il respiro. Attraverso le diverse tecniche di asana e pranayama, noi entriamo in contatto con queste tre dimensioni dentro di noi per incrementare il nostro essere e vivere pienamente.

Lo Yoga si è giovato nei millenni di una serie ininterrotta di “veggenti” che si sono dedicati a scoprire i secreti del mistico sé interiore. Il sapiente Patanjali ha raccolto la saggezza del suo tempo nell’opera nota come gli Yoga Sutra (composto circa tra il 200 a.C. e il 200 d.C.). In questi 196 sutra, Patanjali riassume l’esperienza di molti maestri e dichiara che il cammino dello Yoga è composto da otto parti.
Secondo le sue parole, “lo yoga ha otto rami –
asta-anga, o astanga-“. Essi sono: Yama e Niyama -le
cose da non fare e da fare;
Asana-posizioni, o ricerca fisica e fisiologica; Pranayama-ricerca sul respiro o prana; Pratyahara-volgere i sensi  all’interno; Dharana-concentrazione; Dhyana-meditazione; Samadhi-estasi o realizzazione.

Generalmente si pensa a questi rami come a pratiche separate, ma essi costituiscono un insieme
integrato. Prendiamo il Pranayama; gli Yoga Sutra di Patanjali affermano che 
soltanto dopo che si è raggiunta una certa padronanza nelle asana, si può iniziare a praticare Pranayama. Proprio come nel corpo esistono zone erogene, esistono anche zone “praniche” o zone del respiro, come la zona del
diaframma o la zona addominale.

Almeno in questa giornata, bisognerebbe domandarsi se non sia assurdo il desiderio di avere
addominali scolpiti a tartaruga quando la saggezza dello yoga dimostra in modo chiaro la necessità di espandere la zona dell’addome e del diaframma. Questo è il luogo del respiro; voi respirate
profondamente non soltanto per il lavoro dei vostri polmoni, ma soprattutto per la massima azione e espansione della cavità addominale. Dei i tre
bandha (alla lettera, chiusure, ma in pratica, azioni che canalizzano), uddiyana bandha, il controllo della zona addominale, è vitale.

Se volete pensare razionalmente alla vostra pratica di posizioni yoga, mentre eseguite la posizione sulla testa, o le posizioni sedute o le torsioni, visualizzate il corpo come contenitore e la mente, i
sensi, il respiro e la consapevolezza come contenuto.
Dovete anche usare il contenitore per dare
forma al contenuto. Così le posizioni non lavorano soltanto sul corpo, ma su tutto l’essere (e contenuto)Divenite così realizzati, consapevoli, uniti nel corpo, mente e respiro per divenire esseri capaci di ricezione.

I praticanti (sadhaka), gli studenti dovrebbero usare questa immagine piuttosto per pensare di associare lo Yoga con un gruppo o un credo.

COME CAPIRE LO YOGA ATTRAVERSO GLI ASANA

Vediamo ora di comprendere alcuni principi dello yoga attraverso tre dei più rappresentativi asana o posizioni.

1. Adho-mukha-svanasana o la posizione del cane con la testa in giù

Alcuni fanno gli spiritosi al nome di questa posizione chiedendosi perché diventare cani quando siamo esseri umani. E questi sono della stessa razza di quelli che non fanno altro che lasciarsi andare alla
pigrizia. Bene, la risposta semplice, ma filosofica, è che stirarsi come un cane vi  farà  sentire più simili all’ essere umano che all’animale entro di voi. Come hanno osservato i nostri maestri, questa posizione trae ispirazione dallo stirarsi del cane sì, ma i suoi effetti si sentono nel riequilibrio delle vostre energie interne.
Molto spesso, nell’uomo,  la testa (cioè la mente) è attiva mentre le estremità sono inattive; di qui la sensazione di ansietà, lo stress, l’invecchiamento precoce. In questa posizione, la testa
viene tenuta tranquilla mentre le estremità sono attive. Inoltre, per andare in posizione, la colonna è
tenuta parallela a terra, in senso contrario alla forza di gravità. In questo modo, avviene una sorta di riequilibrio interno, che ci porta ad una relazione armoniosa con la madre terra.

2. Sirsasana o l’equilibrio sulla testa

Stare sulla testa significa effettivamente cambiare le fondamenta e l’orientamento delle energie interne. Normalmente, un essere umano funzionerà soltanto in tre posizioni per tutta la durata
della sua vita: in piedi, seduto, sdraiato
. Rimanere in questa posizione per 10 o 15 minuti rispettando i cicli della respirazione significa elaborare un nuovo linguaggio interno che esalta le vostre potenzialità. A volte le persone cambiano casa o paese per iniziare una nuova vita. Lo yogi ha a disposizione questo mezzo potente per risistemare e rigenerare la vita dall’interno.

3. Shavasana o la posizione del cadavere

Anche se questa posizione sembra facile in quanto si identifica con un semplice stare sdraiati ed
assomigliare ad un cadavere, non è un preludio ad un sonnellino. I rishi e gli yogi studiarono il sonno e questa formula speciale di sonno “consapevole”, cioè 
shavasana. Qui, si insegna al praticante come sviluppare questa condizione con il respiro. Normalmente è la mente che guida. In shavasana, viene richiesto alla mente di essere semplice testimone, mentre il respiro subentra. In questo modo, la mente e il corpo si trovano sotto l’influenza/condizionamento del respiro, ed è questa una delle più belle cose che vi possono capitare. Per un momento, riflettete sull’unicità del vostro respiro, che è sempre fresco ed è nuovo in ogni momento. A differenza del corpo e della mente, non si trascina fardelli, non ha storia, genere, classe, casta, credo, status o esperienza. Il respiro è una forza unica (è nostro, ma non lo possiamo trattenere, va e viene) che ci aiuterà a trascendere l’individualità spicciola e a realizzare la natura essenziale della vita.

Il mio umile consiglio in questa Giornata dello Yoga è di portare gli studenti a non fare
soltanto dei profondi respiri, ma a diventare il respiro…questo vi renderà più disponibili
ad accettare gli incredibili doni dell’universo.

(L’autore è insegnante di Iyengar Yoga e praticante)

Ringrazio Zubin Zarthoshtimanesh per avermi autorizzata a tradurre in italiano e pubblicare la versione integrale del suo articolo scritto per  Times of india.

Zubin ha studiato con B.K.S. Iyengar sin da quando era ragazzo. Ora, conduce seminari e convention di Iyengar Yoga intorno al mondo

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