“Mindfulness” con la pratica dell’Iyengar Yoga

La condizione difficile in cui tutti ci troviamo ci ricorda che le cose non possono andare sempre come noi vorremmo: e le dobbiamo accettare, non abbiamo scelta. Ci troviamo di fronte a problemi sanitari, sociali ed economici enormi e tantissime persone stanno soffrendo molto, hanno avuto perdite di affetti e di lavoro. Quale può essere il suggerimento dell’Iyengar Yoga per affrontare questa situazione, che rischia di protrarsi ancora a lungo?

Secondo la filosofia Sāṅkhya, a cui si ispira lo Yoga, il mondo in cui ci troviamo ad operare, prakṛti, è composto da tre qualità, tamas, rajas e sattva. Tamas è l’inerzia, la passività, l’ignoranza; rajas, la velocità, il desiderio, il movimento; sattva, la luminosità e l’intelligenza. E’ evidente che le limitazioni di movimento rese necessarie dalla pandemia rischiano di portarci in uno stato di pigrizia e torpore; ma è anche evidente che tantissime persone hanno lavorato con tenacia e passione e ci sono stati incredibili progressi scientifici volti alla risoluzione del problema.

Praticare Iyengar Yoga aiuta a ad arrivare alla mente con l’aiuto degli asana. In swastikasana, occorre sollevare il torace e ruotare le spalle indietro, muovere i trapezi e le scapole verso il basso: è vero che le tensioni e i “pesi” si accumulano sulle spalle? Ma questi sono i “pesi” prodotti dalla nostra immaginazione! Ora stiamo praticando yoga! E quindi occorre sollevare il torace dall’interno. E’ il nostro strato riflesso dall’Atman che si deve manifestare e le nostre costole devono muoversi con flessibilità ed intelligenza. Occorre portare il corpo dallo stato di inerzia, tamas, a quello di mobilità, rajas.

Per raggiungere purusa, non abbiamo scelta: dobbiamo passare attraverso il nostro veicolo, il corpo. Dobbiamo penetrare il corpo per raggiungere la mente e il respiro e soltanto allora potremo andare ancora oltre. Gli asana sono posizioni attive, in cui la mente è totalmente impegnata “mindfull”. Occorre portare l’attenzione nelle parti del corpo dove si sta lavorando e lasciar scorrere via gli altri pensieri.

“Attraverso la pratica degli asana si diventa consapevoli, si impara ad espandere, a penetrare quindi a cambiare, ad evolvere e tutto questo insegna a vivere una vita felice…Una vita capace di sensibilità e resilienza…Le istruzioni date dall’insegnante sono per il corpo fisico, ma toccano il corpo mentale. Attraverso la pratica di asana e pranayama, non soltanto si previene la malattia, ma si porta leggerezza nel corpo e nella mente, e questo porta alla felicità, alla libertà, all’evoluzione” (Abhijata Iyengar)

Il successo dello yoga sta nella possibilità di rendere la mente leggera e libera. Una mente inquieta e sempre distratta non è capace di meditare, non può andare da nessuna parte. Così occorre cercare di capire quali sono i punti del nostro corpo dove si accumulano le tensioni e quali sono i punti “deboli” da controllare, per non ritornare allo stato di inerzia, tamasico. Ad esempio, nel momento in cui si guarda in basso, lo strato mentale si affloscia. A volte pensiamo che l’intelligenza lavori soltanto nel cervello e con il cervello. L’intelligenza deve permeare il corpo. Osservando le sensazioni del corpo durante la pratica, in modo sempre più sottile e preciso, si impara a lavorare sul respiro e sulla mente.

A proposito dell’ansietà inevitabilmente portata dalla vita (e dalla pandemia): la soluzione è quella di impegnare il corpo, in modo che la mente sia obbligata a stare nel momento presente. Se non è possibile eseguire asana dinamici e fisicamente impegnativi, ci sono sequenze apposite per calmare l’ansietà.

Questi appunti sono stati desunti dalle lezioni tenute da Abhijata Iyengar per l’Associazione Iyengar Yoga degli Stati Uniti.

Sviluppare tolleranza attraverso lo yoga

di Zubin Zarthoshtimanesh

Oggi che lo yoga è diventata un’industria miliardaria e che promette di correggere e migliorare qualsiasi aspetto dell’esistenza, dai problemi fisici alle conseguenze di stili di vita disordinati, è ancora più importante comprendere il suo vero  potenziale e vedere come sviluppare non soltanto la salute del corpo fisico, ma anche tolleranza e saggezza.

L’essere umano “sociale” è una creatura piuttosto tollerante (ndr: e il suo successo sul pianeta dipende proprio dalla sua adattabilità). Tutti noi sopportiamo parecchio nella vita, ma questo non significa che stiamo evolvendo. La tolleranza deve essere unita ad altre qualità come la pazienza, l’autocontrollo, la serenità, la calma, il perdono, la conoscenza, la determinazione e la compassione.

bhishma-ashtamiQuesto è spiegato dalla storia della vita di Bhisma, uno dei più popolari eroi della mitologia indiana. Voi conoscete l’incrollabile voto che Bhisma fece nel Mahabharata: decise che non si sarebbe mai sposato e alla fine rinunciò ai suoi diritti al trono del regno di Hastinapura. Chi conosce la storia sa bene che Bhisma non soltanto tollerò la sua vita così come si era votato a condurla, ma compì scrupolosamente ogni suo dovere. Anche nella Gita si ricorda che non dobbiamo essere legati ai risultati e ai frutti delle nostre azioni: la cosa più importante è che la qualità dei risultati o dei frutti non sia compromessa in alcun modo. Non essere attaccato ai frutti, e l’albero produrrà, con una incrollabile perseveranza, i frutti della qualità più alta.

Dobbiamo non soltanto imparare a tollerare, ma anche trasformare questo “sopportare” in modo tale che ci porti ad uno stato differente e più elevato. Sul letto di morte (un letto di frecce!) Bhisma recitò uno straordinario commentario sulla filosofia, la morte, la vita, che ci è pervenuto sotto il nome di Shanti Parva, il XII libro del Mahabharata. Quindi la sua tolleranza, lungi dal provocare amarezza,  lo portò all’evoluzione fino allo stato di sthitapragnya (ottenimento della più completa saggezza). Come sapete, anche noi siamo in grado di sopportare grandi dolori, però poi cosa succede subito dopo? Crolliamo  e alla prima occasione siamo capaci di esprimerci in modo supercritico, impaziente e offensivo.

Ci può essere un esempio più grande di Gesù Cristo? Non soltanto sopportò dolore fisico e umiliazione, ma si rifiutò di criticare i suoi aguzzini persino sulla croce: “Perdonali, Signore, perché non sanno quello che fanno!” .

Questo principio è molto importante per capire il concetto di tolleranza. Essenzialmente, alla fine una persona diventa intollerante perché “non sa”.  In altre parole, la conoscenza (jnana) è di grande importanza. Studiare per un esame è un tipo diverso di conoscenza rispetto alla conoscenza di vita. La conoscenza spirituale inizia dove termina l’educazione “ufficiale”. Nella vita, non è solo l’evoluzione intellettuale ma anche la conoscenza del cuore che rende le persone evolute, sensibili e consapevoli come esseri umani.  L’intelligenza delle emozioni è immortale, ampia e forte. L’intelligenza intellettuale (vitarka e vichara) cresce come l’albero delle noci di cocco: benché molto alto, non riesce a fare ombra a chi è sotto.  Invece l’intelligenza delle emozioni, essendo forte e grande, accoglie,  offre riparo, e aiuta molte persone con la compassione e l’amicizia. Ed è questa la ragione per cui, in tutte le le culture,  la tolleranza è definita come il punto di partenza per la spiritualità.

Il saggio Patanjali, che si dice sia vissuto 2000 anni fa, ha riassunto l’antica saggezza con l’emancipazione del sé nei 196 Yoga Sutra, letteralmente “fili” di saggezza logica.  Nella prima parte, Patanjali afferma “maitri, karuna, mudita, upekshanam sukha duhkha punya apunya visayanam bhavanatah citta prasadanam” (YS,  I, 33). In questo sutra, Patanjali elenca le qualità che occorre coltivare per sviluppare l’intelligenza del cuore: amicizia, compassione, contentezza, indifferenza. Queste qualità devono essere in equilibrio con lo sviluppo in verticale dell’intelligenza intellettuale, portata da vitarka, vicara, ananda e asmita (pensare analitico, ragione, felicità, senso dell’io). Quindi, la tolleranza, nella terminologia dello yoga, è la somma di:  amicizia, compassione, contentezza e indifferenza con il “senso dell’io”, che agisce da contrappeso. Patanjali ci insegna come evitare l’esaltazione dell’auto realizzazione –atma darshana- e come mostrare indifferenza per questo.

Tolleranza non è il semplice sopportare un nemico sgradevole; occorre gradualmente coltivare il sentimento con il quale le qualità ricordate possano sviluppare l’intelligenza delle emozioni per progredire nella consapevolezza del sé. Quindi inizialmente si svilupperà la tolleranza, ma gradualmente si dovranno sviluppare anche le qualità della compassione e della contentezza, in modo che la tolleranza e l’accettazione diventino la naturale condizione dell’essere.

La tolleranza può anche essere compresa attraverso i tre gunas. Limitarsi a tollerare qualcosa può essere tipico di tamas. Per esempio, molte persone dicono di tollerare il dolore, ma subito diventano sconfortate e di cattivo umore. Arriva la qualità di rajas: è come la madre che tollera il suo bambino, ma lo educa in modo molto severo per la sua educazione e sviluppo. Una natura “sattvica” consiste nel semplice continuare a vivere secondo il proprio dharma (disponibilità verso i propri doveri). Ma prima occorre trovare la propria strada e seguirla con costanza. Prendete cosa avvenne nel 1948, quando Gandhi intervenne nei disordini nella piccola città di Noakhali nel Bengala. Fu chiamata la polizia ma non riuscì a fermare la rivolta.  A quel punto Gandhi arrivò sul posto, era una situazione incontrollabile. Ma la sua sola presenza funzionò. Fu dichiarata la tregua subito e la pace continuò fino oltre alla sua morte. Quindi un santo non si limita a tollerare, ma sprigiona calma dal suo interno; così la tolleranza diventa una realtà anche per gli altri.

Coltivare la tolleranza attraverso le Yogasana

Le asana e il pranayma che impariamo e pratichiamo nello yoga hanno la potenzialità di sviluppare in voi qualità come la tolleranza, la pazienza, l’osservanza dei doveri e altre virtù. Ma il problema è che noi ci concentriamo solamente sull’obbiettivo dei benefici (fisici) degli asana. Per esempio, molti praticano yoga per perdere peso, per vincere la pigrizia, o per combattere il diabete. Ma rimanere in asana come Sirsasana o Halasana vi può aiutare a sviluppare capacità di sopportazione, calma e pazienza. Setubandha Sarvangasana non soltanto rigenera il cervello, ma vi regala quiete interiore. Infatti ogni pratica di purificazione, lavora attraverso i panchakosas.  Cosa sono i panchakosas? Secondo la filosofia yoga, siamo divisi in panchakosas, i cinque strati del séanamaya (corpo fisico), pranamaya (corpo energetico), manomaya (strato psicologico), vijnanamaya (strato dell’intelligenza) e infine  anandamaya (corpo di beatitudine).

Spesso la nostra pratica resta limitata a anamayakosa. La bellezza dello yoga e degli asana che pratichiamo ci danno modo di accedere ai livelli superiori della mente e delle emozioni attraverso ogni parte del corpo.  Qualcosa di molto fisico come lo stirare le ginocchia o l’aprire il torace con le posizioni indietro non ha solo un impatto fisico ma trasforma la vitalità della mente. Questo è il motivo per cui gli asana devono essere eseguiti in modo tale da integrare con piena consapevolezza il corpo, la mente, il respiro e i sensi.

Patanjali dice “Balesu hasti baladini,” (YS, III, 25), che significa che con il samyama, lo yoga svilupperà la resistenza fisica e la forza di un elefante. Come sapete, gli elefanti, oltre alle loro caratteristiche fisiche, sono riconosciuti per la loro memoria e tolleranza. La forza è di solito intesa dal punto di vista fisico, ma l’elefante è il perfetto simbolo anche della pazienza. Quindi, dobbiamo imparare a penetrare i nostri kosas attraverso la pratica yoga per acquisire forza e resistenza, da vari punti di vista.

Zubin Zarthoshtimanesh ha studiato sin da quando era ragazzo con BKS Iyengar. Ringrazio Zubin per aver consentito la traduzione. Questo articolo era stato pubblicato sul sito dell’Associazione Iyengar Yoga degli Stati Uniti. 

 

 

 

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