riprendono le lezioni di filosofia yoga su zoom

Dopo una lunga pausa, sono molto contenta di riprendere le lezioni di filosofia yoga su zoom, ogni lunedì sera, dalle 19 alle 19.45 circa. Come lo scorso anno, la partecipazione a queste brevi lezioni è gratuita e aperta a tutti gli studenti di Iyengar Yoga e anche a chi semplicemente è curioso a proposito dello yoga. Basta scrivermi un messaggio a emanuelazanda@virgilio.it per ottenere il link di ingresso alla riunione zoom

Lo scorso anno abbiamo letto insieme buona parte degli Yoga Sutra di Patañjali; la lettura è stata sicuramente molto istruttiva, soprattutto per me che ho dovuto preparare queste lezioni, ma forse un pochino tecnica per chi aveva ancora poca dimestichezza con i testi e il vocabolario dello yoga. Quest’anno ho quindi pensato, approfondendo un tema iniziato nella nostra recente bellissima vacanza di studio in Sardegna, di concentrami sulla “mente yogica” ovvero la definizione della mente per lo yoga, e come trasformare la mente “sensuale” in mente “yogica”.

Il riferimento costante sono gli scritti di BKS Iyengar e, quando possibile, una lettura ed analisi delle fonti citate dal Maestro, in modo da distinguere costantemente tra le fonti di prima e seconda mano: argomento questo sempre spinoso, ma particolarmente importante parlando dello yoga.

Mi auguro che riflettere sulla filosofia yoga aiuti soprattutto la pratica e permetta di capire meglio l’insegnamento dell’Iyengar Yoga.

Le lezioni si svolgeranno su zoom il 15, 22, 29 novembre; 6 e 13 dicembre alle 19. Non è prevista la registrazione.

Come gli Yoga Sutra di Patañjali ci possono aiutare proprio ora

Ogni lunedì alle 19, per circa quaranta minuti, ho il piacere di leggere e commentare con i miei allievi e gli appassionati di yoga che lo desiderano qualche sutra degli Yogasutra di Patañjali. L’iniziativa, che è nata quest’autunno, si è rivelata particolarmente adatta alla comunicazione on line a cui tutti abbiamo dovuto adattarci.

In questo momento speciale e difficile, le parole di saggezza dello Yoga sono quanto mai attuali e sembrano persino più facili da comprendere. La difficoltà più grande nelle circostanze presenti è quella di disciplinare la mente, che ama correre liberamente dietro i propri desideri o si chiude e si crogiola nelle paure. La mente preferirebbe magari cercare un capro espiatorio di fronte alla pandemia (un “complotto”) oppure negare l’evidenza e pensare che si tratti di un brutto sogno. Gli ostacoli che Patañjali chiama kleśa sono esattamente quelli che si frappongono tra la nostra mente e la possibilità di valutare lucidamente e con ogni possibile serenità la situazione.

Chi pratica yoga da qualche mese o da qualche anno e ha iniziato dalla pratica di asana e pranayama, spesso non conosce nulla o quasi della filosofia yoga. Questo non è sbagliato; lo yoga è qualcosa che va sperimentato, prima che imparato a memoria o compreso razionalmente. Pramana, la conoscenza corretta, nasce dall’esperienza individuale: possiamo dire che una cosa è vera se l’abbiamo vista o provata personalmente.

Ma quando la pratica yoga inizia a mostrare i suoi benefici, è interessante conoscere qualcosa di più del contesto culturale in cui si è sviluppata la disciplina che stiamo praticando. E allora si può davvero aprire un mondo…in cui ogni giorno c’è qualcosa di nuovo da scoprire.

La partecipazione alle lezioni di filosofia yoga su zoom è libera e gratuita. Inviare mail a emanuelazanda@virgilio.it per ottenere il link di ingresso.

Proseguono le altre lezioni di Iyengar Yoga sulla piattaforma zoom secondo il consueto orario:

lunedì e giovedì 9.30-11

martedì 17.30-19

mercoledì 18-19.30

Pratica yoga come viaggio all’interno di sè

Una delle chiavi per comprendere l’insegnamento dell’Iyengar Yoga è l’importanza della pelle quale organo di senso evoluto, un mezzo grazie al quale, tramite la pratica di asana e pranayama, portare la consapevolezza negli strati più profondi di sè.  E’ attraverso la pelle che si sentono e si approfondiscono le azioni proprie di ogni asana e  avviene la prima trasformazione operata dallo yoga. La pelle è lo strato più esterno del corpo ed è l’organo di senso più esteso: quello che passa attraverso la pelle come organo di senso coinvolge l’intero essere umano.

Secondo la filosofia indiana, l’essenza spirituale dell’essere umano è rivestita da cinque strati, i kosha: tra l’anima, la parte divina dell’essere umano, e gli altri “strati” c’è differenzione, ma non separazione, come spiegano le Upanisad e come ha approfondito in particolare il filosofo Ramanuja, vissuto nell’XI-XII secolo.

Project10_Layout 1Per lo yoga il corpo fisico è annamaya kosha, lo strato più esterno; poi si trovano il corpo energetico (pranamaya kosha), lo strato mentale (manomaya kosha), quello intellettuale (vijnanamaya kosha) e lo strato di “beatitudine” spirituale (anandamaya kosha).  Questi strati sono in completa interdipendenza l’uno dall’altro, soprattutto i tre più esterni; la situazione è un po’ più complessa nelle relazioni tra strato intellettuale e quello di beatitudine perché occorre un’azione “volontaria” dell’intelligenza, che fa ancora parte del mondo di praktri, per rivolgersi al mondo di purusa.  Preferisco usare il termine “corpo” per annamaya kosha perché è per noi più comprensibile e usare il termine “strato” per gli altri, ma in sanscrito sono tutti kosha, corpi, strati, livelli ad indicare la complessità dell’essere umano. Una suddivisione parallela viene fatta tra il corpo grossolano anatomico (sthula sariraannamaya kosha), un semplice involucro, che viene distrutto dalla morte; il corpo sottile (suksma sarira) che comprende gli altri strati  intermedi ed infine  il corpo causale (karana sarira) che comprende soltanto lo strato prossimo all’atman, lo strato di beatitudine spirituale, la condizione essenziale per accedere alla divinità.

La pelle forma l’involucro del corpo anatomico, riveste i muscoli, le ossa, gli organi vitali ed è l’interfaccia tra l’essere umano e il suo mondo esterno da un lato ed interno dall’altro. E’ vero che il nostro corpo anatomico e scheletrico è un involucro grossolano soggetto al deperimento e alla morte; ma è anche il nostro veicolo di questa vita, senza il quale non potremmo sperimentare nulla. Come diceva Geeta Iyengar, un veicolo in cattive condizioni non porta da nessuna parte. Se le cellule del nostro corpo non sono in buona salute, noi non siamo in buona salute. Con la pratica di asana e pranayama possiamo intervenire a modificare lo stato di salute del nostro corpo ed in particolare rendere l’intero corpo attivo, eliminando i liquidi in eccesso e le tossine; ma soprattutto possiamo fare sì che la pratica yoga penetri gli strati del corpo, coinvolga la sensibilità e l’intelligenza, avvicinando l’essere umano alla sua essenza divina.  E’ l’esperienza ricca di profondi insegnamenti che BKS descrive nel suo testo “Light on Life”, pubblicato nel 2005 e tradotto in italiano per le Edizioni Mediterranee.

I cinque differenti livelli o strati (koshas) dell’essere umano devono trovarsi in costante armonia  tra di loro e in armonia con il sè più profondo. Quando questi strati non sono in rapporto equilibrato, riflettono –come uno specchio- le immagini disarmoniche del mondo esterno, pieno di contraddizioni e desideri inappagabili anziché la chiarezza dell’anima, il punto più interno dell’essere.  La vera salute, fisica e mentale, comprende non soltanto il funzionamento efficace del corpo fisico, ma la vitalità, la forza e la sensibilità degli gli strati più profondi altrimenti si farà esperienza di situazioni confuse e spiacevoli.

E’ essenziale che chi segue il percorso dello yoga comprenda la necessità di integrazione e di equilibrio tra i kosha. Per esempio manomaya e vijnanamaya kosha (lo strato mentale e intellettuale) devono osservare e valutare come si comportano il corpo fisico ed energetico (annamaya koshae pranayama kosha) ed eventualmente fare gli opportuni aggiustamenti. Supponiamo di essere in sirsasana: lo strato mentale sente l’allineamento del corpo, sente il respiro. Il lavoro della mente è quello di mantenere lo respiro regolare e riaggiustare il corpo quando si avvertono sbilanciamenti.

img_4031-e1507907940804Come esseri umano abbiamo a che fare con il mondo materiale e viviamo condizionati dai limiti del nostro corpo fisico. Secondo la filosofia yoga non è il corpo fisico a contenere  l’anima, ma è l’anima ad essere rivestita da un corpo fisico, il nostro mezzo in questa vita terrestre. Comprendere che il corpo è un mezzo e non un fine permette di accettarne i limiti e di trascenderli con la pratica di  asana e pranayama in modo tale che il corpo anatomico si riconosca quale strumento di consapevolezza.

Attualità dello Yoga (Dal Festival dell’Oriente)

Perché milioni di persone fanno yoga? Che cosa spinge, in tutto il mondo, così tanta gente verso una disciplina antica e nata in un contesto tanto diverso, geograficamente e storicamente? Le persone che oggi “praticano yoga” hanno consapevolezza di continuare una tradizione millenaria, o seguono semplicemente una moda nell’ambito del fittness, come prima è stata la danza moderna o l’aereobica?

Cercando di raccogliere le idee per la mia conferenza nell’ambito del Festival dell’Oriente di Torino 2019, mi chiedevo se questa curiosità fosse solo mia personale o potesse interessare il pubblico. Io sono stata archeologa prima che insegnante di yoga e ho passione per la storia, anche se purtroppo non conosco il sanscrito e non posso così accedere alle fonti dello yoga “di prima mano”. Alcune persone che praticano yoga dicono di non avere tempo di studiare filosofia, rendendosi conto della difficoltà del tema e della distanza che separa la nostra cultura da quella dei testi yoga: lo yoga, d’altro canto, va praticato e non soltanto studiato sui libri e questo atteggiamento quindi è ben comprensibile e fondamentalmente corretto. Invece gli studiosi (occidentali) di storia delle religioni o di filosofia indiana spesso fanno notare con un po’ di sufficienza che la pratica di asana e un po’ di pranayama, come si usa oggi, è qualcosa di diverso dalla pratica degli yogi di duemila anni fa. Io penso che le due posizioni abbiano entrambe qualche ragione, ma se lo yoga è così popolare oggi occorre cercare i punti di incontro tra la filosofia e la pratica.

Quando si ascoltano lezioni di insegnanti e maestri indiani sembra tutto facile; per loro la sapienza non può essere altro che “olistica”. E’ evidente che corpo, mente e spirito devono essere conosciuti e trasformati con la pratica yoga, questo è l’unico vero obbiettivo. Ma quando si torna “a casa”e si lascia l’India alle spalle, l’impatto può essere disturbante e la realtà degli studenti e insegnanti yoga pare ben diversa. Soltanto l’individualismo, la razionalità e la “scientificità” sembrano trovare posto nella nostra cultura, il resto può essere anche benefico (nessuno nega che lo yoga faccia bene alla salute!) ma la serietà del sapere è considerata altra cosa e questo sapere richiede profonde specializzazioni. Ci si trova in un mondo “dualistico” in cui ogni cosa deve essere esaminata “oggettivamente” “scientificamente” e “razionalmente”. Secondo lo yoga invece, come afferma Prashant Iyengar, occorre osservare oggettivamente noi stessi, non soltanto il corpo, ma i pensieri e le sensazioni.

Mi trovavo appunto a riflettere su questi temi quando ho trovato un articolo di Zubin Zarthoshtimanesh, un fantastico insegnante della scuola di BKS Iyengar. Ho avuto il privilegio di seguire le sue lezioni a Mumbai e in Italia e Zubin sa mettere insieme la maturità della riflessione con un insegnamento preciso e coinvolgente. “Oggi la tecnologia ha reso molte cose più facili, ma per accedere alla complessità del nostro vero essere, la scienza e l’arte dello Yoga sono ancora insuperate” dice Zubin. Se vogliamo usare un linguaggio attuale possiamo pensare alle pratiche yoga come alle “app” che ci permettono di accedere a nostre funzioni dell’interiorità sconosciute o quasi. Il nostro mondo interno è troppo complicato; in occidente si preferisce ignorarlo e rivolgersi all’esterno dove tutto pare molto più interessante, accessibile e coinvolgente.

Con le asana possiamo imparare il funzionamento del nostro corpo, non soltanto dal punto di vista fisico ma anche mentale. “Capisco bene i limiti del corpo” era solita dire Geetaji Iyengar nelle sue lezioni, “ma i veri limiti sono nella mente”. Lo yoga insegna infatti al praticante come comprendere le connessioni tra la mente, il corpo e il respiro. Lo stato mentale yogico è sereno, chiaro, passivo e queste qualità migliorano mano a mano che si continua la pratica in una sequenza di asana, e giorno dopo giorno.

Se si esegue una qualsiasi attività sportiva, ragiona Zubin, si usano determinate parti del corpo per ottenere le performances volute. Se si praticano gli asana, si vanno a conoscere le parti del corpo e si impara come la mente può agire su di esse. Se si studia anatomia o fisiologia, si impara a conoscere il corpo fisico, ma non il suo collegamento con la mente, con i sensi, con il respiro. Questo è il motivo per cui lo yoga è la disciplina più “olistica”.

Secondo gli Yoga Sutra di Patanjali, lo yoga è costituito da otto “stadi” o “rami” che di solito sono intesi come tappe di un percorso; ma la ricerca approfondita di sè non è un percorso lineare, prosegue Zubin. La maggior parte degli occidentali inizia con la pratica degli asana; in questo modo si impara a comprendere la stabilità del corpo, il suo funzionamento, la pazienza e la dedizione richiesta da una sua più approfondita conoscenza Si inizia dal corpo fisico, la parte più accessibile, il sistema scheletrico e muscolare. Non è necessario studiare tanto la filosofia per comprendere questi obbiettivi e quindi questo percorso interessa oggi moltissime persone. Sta poi alla volontà individuale proseguire . L’antico Patanjali è quindi incredibilmente moderno perché riconosce in modo chiarissimo che sta al singolo essere umano usare la pratica e la “rinuncia” (ad altri impegni mondani alternativi) per proseguire sulla strada della conoscenza yogica. Alla fine, paradossalmente, non c’è niente di esoterico nella ricerca delle profondità del sè.

BKS Iyengar diceva che la filosofia Patanjali è un argomento pratico, non teorico. Come tutta la materia è una forza dinamica, anche lo yoga è una forza dinamica, vivente. Le sue trasformazioni attraverso il tempo, dall’India dei primi secoli della nostra era fino ad oggi, sono avvenute in modo coerente, senza perdere la specificità e l’originalità del messaggio. Il suo attuale, enorme successo va visto solo in modo positivo e sta a noi utilizzare al meglio questa grande risorsa.

Definizioni di yoga

Non sappiamo esattamente quanto antico sia lo yoga; quindi non esiste una unica definizione di yoga. Tutti sappiamo che la radice sanscrita della parola significa unire, attaccare, e da essa sono derivate le parole prima latine, poi italiane di giogo e unione.  Secondo BKS Iyengar, yoga significa dirigere  la propria attenzione alla ricerca della suprema verità; ma anche significa unire la volontà individuale con quella divina. Il Maestro si chiede: quando una scienza, ad esempio, la chimica, fu scoperta, la definizione e la comprensione della materia erano le stesse di oggi? Certamente no.  Se oggi sentiamo parlare di “chimica” sappiamo immediatamente a cosa ci si riferisce. Però se guardiamo alla storia della scienza, possiamo vedere come è stato lungo il percorso per rendere noto qualcosa che prima era sconosciuto.

Secondo la tradizione indiana, i saggi cercarono una soluzione, avendo compreso che l’oceano dei desideri umani era senza fine e che la mente doveva trovare un modo per sentirsi libera da questa costrizione insopportabile. Non ci fu quindi una definizione della materia all’inizio; successivamente, quando con l’esperienza si crearono metodologie e tecniche di pratica, si tentarono anche le definizioni. Come nell’esempio della chimica, se vogliamo capire, dobbiamo considerare quanto è stato lungo il percorso di ricerca.

Quando ora vediamo le diverse definizioni di yoga dei Veda, Upanisad, Yoga Sutra e Bhagavad Gita, comprendiamo come la disciplina sia cambiata a seconda dei bisogni della società e della capacità di discriminare dei praticanti e studenti.

Un testo visnuita composto durante il primo millennio d.C., forse intorno al 300 d.C., il Ahirbudhanya Saṃhitā, fornisce una definizione di yoga molto chiara, che è quella ancora oggi più utilizzata: “Lo yoga è l’unione tra l’anima individuale e l’anima universale”.  E’ stato questo un momento di grande importanza per la storia e la filosofia indiana, in cui furono scritti i testi di riferimento.

Appena un poco più tardi, nella Bhagavad Gita, il dio Krishna si rese conto che la volontà umana era in fase di debolezza, e quindi dovette rendere più facile e comprensibile il cammino. Definì quindi lo yoga a due livelli, conoscenza e azione. “Lo yoga è equanimità”; “Lo yoga è eccellenza nell’azione”. Secondo BKS Iyengar, l’equanimità deve venire dalla intelligenza dell’anima e l’intelligenza della consapevolezza. L’anima, con citta (la mente), i karmendriyas (orgari di azione), i jnanedriyas (organi di percezione), ahamkara (senso dell’io), buddhi (intelligenza): tutto questo deve essere integrato e unificato con lo yoga. A questo punto, l’anima è ovunque e chiunque viene trattato con equanimità. Per quanto riguarda “l’eccellenza nell’azione”, Krishna non sta dicendo di agire senza un fine, ma di eliminare i motivi egoistici. Nel momento in cui l’egoismo interviene, l’azione è contaminata.  L’azione sicuramente porterà dei frutti, ma non è questo il motivo per cui bisogna agire. Il nostro compito è quello di eliminare l’aspetto egoistico e utilitaristico dall’azione.  Guruji approfondisce su questo aspetto, che è difficile da comprendere e da far comprendere.  E’ impossibile fare un’azione senza uno scopo, ma è possibile farla senza ambizione. Avere uno scopo ed essere ambiziosi non sono la stessa cosa;  lo scopo può essere di ottenere benefici universali, per tutti, invece l’ambizione ha sempre uno scopo egoistico e una finalità egoistica.

La parola “eccellenza” ha il suo corrispettivo nella pratica e nella rinuncia. Krishna non dice di rinunciare all’azione, tutt’altro; ma di agire rinunciando ai frutti dell’azione. “Eccellenza” è il modo di agire libero da ambizione e egoismo.  Quindi, la definizione dell’ Ahirbudhanya Saṃhitā si esprimeva in termini di bhakti  (devozione), mentre quella della Bhagavad Gita in termini di karma (azione). 

Infine, vediamo come Patanjali definisce lo yoga.  Al tempo di Patanjali, era necessaria una maggiore raffinatezza concettuale, perché ancora non vi era chiarezza su cosa fosse citta e cosa fosse anima, atman.  Così Patanjali definisce lo yoga in due modi: prima come disciplina e poi come fermare le fluttuazioni e modificazioni mentali.  Questi sono i primi due sutra della sua opera.  Il suo trattato è pratico, e in questo modo Patanjali definisce sia la pratica che la rinuncia.

Dopo tanti anni dobbiamo guardare, dice BKS Iyengar, a questa disciplina pratica in modo nuovo perché pratica e rinuncia sono troppo pesanti per i tempi in cui viviamo. Le persone  si vantano di praticare yoga, anche se in realtà praticano pochissimo. Questa è la mentalità moderna, vantarsi molto e fare poco.  C’è interesse per lo yoga, ma non c’è profondità.  E’ necessario un incentivo.  E allora, ragiona Guruji, io farei una piccola modifica alla definizione: ” Lo yoga è il fermare i dolori della mente”. Tutti noi soffriamo di dolori, fisici e mentali, abbiamo dispiaceri e motivi di tristezza; ma questo non vuol dire che si debba praticare yoga solo per risolvere problemi. Patanjali invita la nostra sensibilità e attenzione a guardare alle cause dei dolori e delle malattie, che è sempre dentro di noi, nascosta nei nostri comportamenti, abitudini, carattere, attitudine mentale. Infatti, sempre Patanjali ammonisce: “i dispiaceri che non si sono ancora manifestati, possono essere evitati”, ovviamente con la pratica yoga.

Anche Krishna aveva ricordato che i dolori possono essere evitati regolando la qualità e quantità di cibo, azione, sonno ecc. Con una vita regolata ed equilibrata, la pratica yoga si inserisce armoniosamente.  Comunque, tutti vogliamo evitare il dolore, ma l’analisi non è sufficiente. Dobbiamo trovare la radice del dolore nascosta nel samskara.  E’ questa una parola di denso significato: vuol dire l’accumulo delle azioni del passato e il coltivare se stessi in questa vita.  Benché cerchiamo di coltivare buoni pensieri e buone azioni, i comportamenti del passati lasciano come impronte.  Se vogliamo proseguire il cammino dello yoga, occorre fare due cose, coltivare nuovi samskara che lascino impronte positive e sradicare i samskara sbagliati del passato.  Non è facile. Le impronte sono radicate profondamente nel cuore e lasciano dei semi, i semi creano alberi che producono frutti. Questo è il ciclo inesauribile delle nostre vite. Ma lo yoga è l’unico mezzo con cui si possono curare le ferite nel cuore portate da samskara sbagliati. La pratica produce impronte positive speciali, “yogiche”, libere da paura e capaci di neutralizzare le impronte negative presenti.  Questo è ciò che dice Patanjali parlando di pratica e di rinuncia.

Questo ci dà infine un’altra definizione di yoga: “Lo yoga frena le modificazioni dei samskara. Nel cammino dello yoga, resta poi un’ultima impronta, la luce della saggezza che distrugge tutte le altre impronte negative, fino a quando anche questo samskara, positivo, ma pur sempre samskara, diventa inutile e si crea la luce completa. C’è una parola bellissima, Rtambhara, che non si pò esattamente tradurre. Significa dimorare nella verità. Prajna significa invece consapevolezza intelligente. Si trattare più alto livello di intelligenza. Per questo dico: ” Lo yoga ferma le fluttuazioni del samskara

(Questi appunti sono ricavati da BKS Iyengar, Light on Ashtanga Yoga, 2° ed., Mumbai, 2012, in particolare le pp. 15-27)

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