Come “stirare le gambe”

Alcune delle “istruzioni” più comuni, proprio perché vengono frequentemente ripetute nelle lezioni di Iyengar Yoga, a volte non vengono comprese ed eseguite nella maniera ottimale.   Poiché le posizioni in piedi sono le prime ad essere studiate, la stabilità sui piedi e l’estensione delle gambe, con la corretta apertura dell’articolazione del ginocchio e l’allungamento della muscolatura sono azioni fondamentali per la corretta ed efficace esecuzione di tutte  posizioni.

stiraregambe1Da Tadasana, divaricare in Utthita Hasta Padasana. Mantenere le azioni di tadasana, ovvero il peso sulla parte posteriore dei talloni che spingono verso il pavimento i lati esterni dei piedi, in modo da separare le cosce. Malleoli su verso l’alto e interno dei talloni giù al pavimento. L’interno delle caviglie e i malleoli NON cadono verso l’interno.

Da Utthita Hasta Padasana, ruotare una gamba verso l’esterno di 90°.  La gamba dietro mantiene il lavoro precedente, ma occorre resistere con il lato esterno del piede spinto in basso (e mantenere anche indietro la spalla). Fare perno sul tallone della gamba davanti per ruotare la gamba, spingendo verso il pavimento il centro del tallone, ma sollevando la pianta del piede e le dita ed allargando i metatarsi. Appoggiare la pianta del piede a terra ed estendere completamente la pianta del piede e le dita, premendo verso il pavimento il taglio interno del piede, resistendo con il taglio esterno a terra. Con questa azione si allungano sia il lato interno della gamba, dalla caviglia interna all’inguine, che il lato esterno, dal fianco al tallone.

Da Parsva Hasta Padasana, resistendo con l’interno della gamba posteriore indietro, estendere i due lati del torace verso la gamba davanti e andare in Utthita Trikonasana. Nella gamba davanti, allungare il polpaccio verso il tallone e sollevare di più la rotula. Continuando a spingere  il taglio interno della gamba a terra, resistere con l’esterno della tibia in dentro. NON rovesciare il piede verso l’esterno.

Da Parsva Hasta Padasana, piegare la gamba davanti ruotando il ginocchio indietro e portando la coscia parallela a terra e il ginocchio in linea con il tallone e andare in Virabadrasana 2. Contemporaneamente spingere verso il pavimento il lato esterno del tallone della gamba dietro, sollevando tutto il taglio interno della gamba, dalla caviglia all’inguine. Per mantenere la spinta sul lato esterno del piede, spingere il lato esterno della gamba dal fianco giù verso il pavimento.

Da Virabadrasana 2, estendere i due lati del torace e portare la mano all’interno del tallone in Utthita Parsvakonasana,  estendendo il braccio opposto verso l’alto. Il braccio davanti aiuta a portare il ginocchio indietro e quindi il femore dentro l’acetabolo; questa azione consente di mantenere il peso sull’esterno del piede dietro.  Le due successive varianti,  la mano dietro il tallone e la posizione completa con il braccio opposto sopra l’orecchio, richiedono un controllo anche più intenso della gamba dietro.  Il lavoro con il piede dietro al muro, ad esempio, consente di mantenere l’attenzione sulla spinta del lato esterno del tallone dietro verso il pavimento in tutte le fasi dell’esecuzione dell’asana.

Ricordiamo che secondo gli Yoga Sutra di Patanjali, “concentrazione è fissare la mente in un punto” YS, III.1 deśa-bandhaś cittasya-dhāraṇā.stiraregambe2

Per Virabadrasana 1, fare perno sul tallone della gamba dietro e ruotare il piede verso l’interno di 60°. Mantenere la spinta verso il pavimento del lato esterno del tallone mentre si ruota la gamba davanti di 90° verso l’esterno. Allungare il taglio interno del piede davanti verso il pavimento e portare indietro la testa del femore. Allungare dall’alluce al tallone il taglio interno del piede dietro, per mantenere la spinta del tallone verso il basso. Allungare il taglio interno della gamba, dal tallone all’inguine, verso l’alto e portare in avanti il fianco. Mantenere il lavoro della gamba dietro piegando la gamba davanti.

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Per ardha chandrasana, piegare la gamba davanti, ma mantenere estesa la gamba dietro. In particolare, spingendo la punta del piede a terra, mantenere in alto il taglio interno della gamba, così da sollevare la gamba dall’interno della coscia. In posizione, allungare dal polpaccio al tallone verso il basso e dall’interno del ginocchio all’inguine verso l’alto. La  gamba sotto si mantiene piegata; si stira mantenendo allungato e spinto verso il basso il taglio interno del piede a terra. In questo modo si ottiene la corretta posizione dei fianchi e del torace. Nelle posizioni di equilibrio tutte e due le gambe lavorano, quella  in alto ancora di più di quella a terra quindi NON alzare e abbassare la gamba dietro dal piede.

In Adho mukha svanasana, il peso deve essere distribuito tra le braccia e le gambe, quindi le cosce devono essere spinte indietro, grazie all’azione delle tibie e dei talloni che spingono indietro e verso il basso. La parte superiore della tibia resiste indietro. Chi non può appoggiare i talloni a terra deve utilizzare un supporto; oppure, se manca poco, fare una posizione un poco più stretta. Invece chi appoggia facilmente i talloni può aprire ancora un poco la posizione, per continuare a lavorare con le gambe in modo più intenso. stiraregambe4Uttanasana e ardha uttanasana sono posizioni molto importanti per sentire il corretto allineamento delle gambe, con il bacino in linea rispetto ai piedi. Per ottenere questo, meglio iniziare da uttanasana con i piedi divaricati, allungare i lati interni dei piedi verso il basso, mantenendo aperte tutte le dita e sollevare i lati interni delle gambe; il taglio esterno si allunga dal bacino ai talloni. Il coccige si mantiene verso il pavimento. Per la preparazione di urdhva prasarita ekapadasana (ma l’azione è la stessa in virabadrasana3 e parivrtta ardha chandrasana) allungare il taglio interno della gamba sollevata dall’inguine all’alluce; in particolare, allungare il polpaccio verso il tallone e il femore indietro verso il bacino; in questo modo si apre la parte posteriore del ginocchio verso il soffitto. Il femori vanno sollevati anche nella preparazione di sirsasana e sarvangasana: in questo caso, occorre portare la parte davanti della coscia verso il femore e la parte posteriore lontano dal femore. Con l’appoggio dell’alluce, è possibile stirare il taglio interno della gamba.

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In upavista konasana, si allunga il taglio interno della gamba dall’alluce all’inguine e il taglio esterno dal quinto dito ai fianchi; contemporaneamente, si aprono le ginocchia verso il pavimento, spingendo il più possibile i femori a terra. Il dietro delle cosce spinge verso il pavimento. La preparazione di salamba sarvangasana con la sedia ed ekapada sarvangasana riassume le azioni già viste nelle posizioni in piedi ed è interessante osservare come variando l’appoggio le azioni diventino più intense.

Come diceva Guruji, stirando, si porta l’azione dalla periferia al centro. Senza estensione, non ci può essere espansione. L’estensione appartiene al cervello, l’espansione al cuore. L’estensione è attenzione, l’espansione è consapevolezza. Umilmente, iniziamo a porre attenzione anche alle istruzioni apparentemente più semplici come “stirare le gambe”.

(Questi sono appunti da una lezione tenuta presso Yoga Room di Via Lombroso 6 a Torino il 15 settembre 2019)

La traduzione italiana del Commentario degli “Yoga Sutra di Patañjali” di Edwin Bryant

E’ stato un privilegio ed un onore per me collaborare all’edizione italiana, pubblicata dalle Edizioni Mediterranee, di questo testo così importante per ogni praticante yoga e lavorare con Gabriella Giubilaro, Chiara Ghiron ed Edwin Bryant. Il mio lavoro è consistito nel rileggere il testo e suggerire le espressioni più scorrevoli e comprensibili in italiano. Trattandosi di un testo filosofico in cui è arduo trovare una corrispondenza perfetta tra le due lingue (ad iniziare dalla traduzione dei sūtra dal sanscrito all’inglese e quindi all’italiano), il lavoro è stato impegnativo e non breve, si sono dovuti affrontare e risolvere insieme tanti dubbi, come Gabriella ha sottolineato nella prefazione.

img_20191209_163228-e1575908263109.jpgOra che il libro è pubblicato, mi affascina la sensazione di sentirmi solamente un po’ più vicina agli Yoga Sūtra come se non avessi dedicato ad essi ogni momento del mio tempo libero per molti mesi, ma soltanto alcune ore o pochi giorni.  La traduzione ha  contribuito  di sicuro in modo sostanziale alla mia conoscenza del testo ma nello stesso tempo mi ha fatto appena intravvedere la sua complessità.Il titolo inglese dell’opera è “The Yoga Sutra of PatañjaliA New Edition, Translation and Commentary by Edwin Bryant” 2009, Foreword copyright by B.K.S. Iyengar. E proprio Guruji nella sua prefazione sottolinea che il metodo di lavoro scelto da Edwin, spiegare gli Yoga Sūtra con i commentatori precedenti, ne fa il testo di riferimento per gli studenti occidentali che hanno deciso di seguire il cammino dello yoga.  Gabriella osserva: ” In questo modo, il lettore interessato all’argomento, ma che manca di una formazione accademica specifica, può accedere a molti testi importanti in un solo volume”.  Da parte mia, sono stata colpita, proprio rileggendo più volte il testo di Edwin, dalla sua costante e meticolosa ricerca dell’interpretazione più corretta, tenendo conto del fatto che “la nostra comprensione del testo di Patañjali è completamente dipendente dalle interpretazioni dei commentatori posteriori. Questo lascia ovviamente aperta la possibilità che i commentatori abbiano capito male o che, più probabilmente, abbiano reinterpretato aspetti del testo filtrando antiche nozioni attraverso le prospettive teologiche o settarie dei loro tempi”.  Ed è quello che Edwin cerca costantemente di evitare, utilizzando per quanto possibile un approccio fenomenologico, ovvero astenendosi dall’ utilizzare metodi interpretativi moderni sul testo antico di argomento filosofico religioso “in maniera non giudicante e il più possibile neutrale”.

Questo punto di vista  (che contraddistingue il metodo di lavoro di Edwin e quindi tutta la sua produzione scientifica) con il corretto e sapiente uso delle fonti e l’abilità a comunicarle, non sono caratteristiche così scontate, soprattutto pensando alla estrema difficoltà della materia e al pubblico cui è rivolta. Infatti oggi la passione per la pratica yoga “sul tappetino” rischia di lasciare sullo sfondo la finalità dello yoga e la complessità del percorso.  Anche chi desidera studiare ed approfondire si può scoraggiare di fronte ad una materia non soltanto difficile da afferrare e astrusa, per la mancanza di riferimenti alla nostra cultura, ma alle molteplici interpretazioni e “scuole” che tentano di semplificare. Questo sistema non può certo accontentare chi desidera veramente avvicinarsi alle fonti dello yoga.

Con questa lunga premessa, dopo aver lavorato con grande piacere all’edizione italiana di questo testo, mi rendo conto di essere soltanto all’inizio del percorso di studio e comprensione degli Yoga Sūtra di Patañjali; tuttavia, trovo questa sensazione intrigante e non assolutamente frustrante. Ogni piccola scoperta è una grande scoperta.  Ne voglio ricordare in particolare due. 

La prima si trova proprio all’inizio del testo dove Patañjali descrive il primo degli stati mutevoli della mente, pramāṇa: “La conoscenza corretta consiste in percezione sensoriale, logica e testimonianza verbale” (YS, I, 7). La percezione sensoriale è indicata per prima: è quindi la più importante risorsa per acquisire la conoscenza corretta. Qui Patañjali chiaramente mette davanti la diretta testimonianza dei fatti rispetto ad ogni tipo di informazione mediata ed Edwin commenta in questo modo: ” E’ per via di questo orientamento che lo yoga, secondo la mia opinione, è destinato a rimanere fonte di interesse costante per le inclinazioni empiriche del mondo moderno”. In altri termini, Patañjali è estremamente moderno, in quanto lascia alla responsabilità individuale il decidere che cosa è vero e perché. Su questo punto Patañjali ritorna più volte, da vari punti di vista, ma una sintesi magistrale è quella di Edwin nelle Riflessioni Conclusive del volume, quando parla di puruṣa e Libero Arbitrio: l’agentività (libero arbitrio) fa parte delle caratteristiche di buddhi o di puruṣa?  Edwin osserva che il punto di vista di Patañjali sull’argomento è neutro ed alcuni commentatori propendono esplicitamente per negare la funzione di agente a puruṣa mentre una ricca tradizione di studi (tra cui i Vedanta Sūtra) riconosce invece  a puruṣa la qualità di agire. La questione è di importanza basilare, anche rispetto alla disputa con il buddismo, perché non vi sarebbe coerenza con la legge del karma senza riconoscimento al puruṣa del libero arbitrio come agente della propria condizione, argomenta Edwin. E di nuovo Patañjali si svela in tutta la sua attualità!

Il secondo punto -a proposito di interpretazioni e di scuole- è al commento del sūtra III, 29 “Con il samyama sul cakra dell’ombelico si ottiene la conoscenza della struttura del corpo”. Qui molto opportunamente (forse ricordando le domande dei suoi allievi praticanti di āsana) Edwin ricorda che lo Yoga classico di Patañjali non si occupa della fisiologia dei cakra perché l’obbiettivo dello yoga di Patañjali non è quello della teoria per cui la liberazione si ottiene quando l’energia kundalini raggiunge il sahasraracakra sulla cima della testa. Esistono, nella stessa tradizione indiana, autorevoli contaminazioni tra i due sistemi come nell’haṭha yoga ma di base la tradizione yoga è dualistica mentre l’insieme delle tradizioni tantra/sakta  è monistica.

Lo stesso Guruji incidentalmente ricorda la fisiologia dei cakra, che ricorre spesso anche nelle lezioni di Prashant. Tuttavia proprio Prashant precisa che Iyengar Yoga non è assolutamente Haṭha Yoga (cosa che implicherebbe una distinzione tra haṭha e raja yoga) benché ritenga utile insegnare alcuni aspetti illustrati nell’ Haṭha Yoga Pradīpikā, come i bandha, i mudrā e i cakra. (Prashant Iyengar, Yoga and the New Millennium, pp. 20-21).

Patanjali
Statua di Patanjali al RIMYI, il giorno del Guru Purnima (festa di tutti i Guru)

Alla fine, come ricorda BKS Iyengar nella prefazione, lo yoga è una materia di studio pratica e non descrittiva. E proprio la pratica condotta secondo i suoi insegnamenti dà la chiave a mio parere per apprezzare la straordinaria sapienza del testo di Patañjali. Il testo di Edwin dà la possibilità ad ognuno di noi praticanti di āsana, pranayana e meditazione di comprenderlo poco per volta e di inserire questo studio nella pratica quotidiana, verificandone personalmente la corerenza rispetto alle nostre percezioni, sensibilità ed esperienza. Un grande ringraziamento ad Edwin (sperando che presto finisca il suo commento alla Bhagavadgītā!) e a Gabriella.

Il Gestalt Counseling incontra l’Iyengar Yoga

SABATO 16 NOVEMBRE, nuovo incontro Gestalt Counseling e Iyengar Yoga.

Dall’incontro tra Gestalt Counseling e Iyengar Yoga è nata un’esperienza che, partendo dalla pratica Yoga, invita i partecipanti a portare l’attenzione su ciò che avviene nel corpo, indagando ed esplorando anche le emergenze sensoriali, emotive ed i vissuti ad esse collegate.

La nostra postura, ogni nostra contrattura, il modo in cui ci sediamo e camminiamo nel mondo: sono tutti aspetti che raccontano il nostro vissuto. Il corpo è il nostro primo confine con gli altri e con l’ambiente che ci circonda, è il punto di partenza per conoscere chi siamo veramente, cosa vogliamo e come ottenerlo.

In che modo possiamo imparare a distinguere e comprendere i segnali del nostro corpo? Attraverso l’esperienza. Esercitandoci a sentire il corpo, a percepire ogni suo movimento, anche il più sottile, come quello legato al respiro, le sensazioni che ne derivano e, a un livello ancora più profondo, a individuare e distinguere le emozioni inespresse, retroflesse e trattenute.

gestalt violaQuesto workshop è nato da un incontro personale – quello tra Manuela Stano, psicoterapeuta e counselor, Laura Nozza, esperta di comunicazione e counselor ed Emanuela Zanda, insegnante di yoga –  e i molti preziosi punti d’incontro tra le due metodologie che nel tempo si sono rivelate complementari, oltre a ottimi strumenti di conoscenza personale e compagni di viaggio l’una dell’altra, appunto la Gestalt e lo Iyengar Yoga.

COME SI SVOLGE IL WORKSHOP
La prima parte del workshop è strutturato in una vera lezione di Iyengar Yoga, adatta a tutti, anche ai neofiti, nella quale i partecipanti sono invitati, durante la pratica, a portare l’attenzione su quanto avviene nel proprio corpo (sensazioni, emozioni ecc).
La seconda parte è invece strutturata in un lavoro di gruppo in cui tutti sono invitati a condividere la propria esperienza e sostenuti a indagare le proprie emergenze.

PERCHÉ QUESTO WORKSHOP
Nello yoga, tradizionalmente, non vi è spazio per esprimente a voce quello che accade durante la pratica. La metodologia della Gestalt sostiene l’individuo nel  riconoscere i propri automatismi (meccanismi nevrotici fonte di malessere) attraverso un lavoro di attenzione al presente. Nel qui ora non possiamo che essere presenti attraverso il nostro corpo, è in questo modo quindi che le due “tecniche” si incontrano e si sostengono reciprocamente: il lavoro di gruppo dà voce alle emergenze incontrate durante la pratica che a sua volta accende nel quei segnali che il più delle volte rimangono inascoltati.

DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO DI GESTALT COUNSELING E IYENGAR YOGA
Il Gestalt Counseling utilizza la metodologia della Terapia della Gestalt: un approccio fenomenologico basato sull’esperienza nel presente, sulla valorizzazione dei vissuti corporei come veicolo di conoscenza e di radicamento nel qui e ora, e sull’autenticità della relazione nell’incontro con l’altro. L’attenzione è sul vissuto, che è fatto di posture, gestualità, voce e respiro oltre che di parole ed emozioni. L’interesse è rivolto al modo in cui un malessere, un disagio o una difficoltà si esprime nel corpo, prima che al significato celato dietro a esso. Il Gestalt Counseling intende sostenere la persona a riconoscere gli automatismi dei propri schemi di comportamento, così da scegliere di abbandonare o riorganizzare quelli divenuti inefficaci, sostituendoli con modelli maggiormente funzionali, frutto di una nuova consapevolezza in divenire.

Lo Yoga, disciplina nata in India migliaia di anni fa, si propone di calmare le fluttuazioni della mente che disturbano in continuazione e ostacolano la naturale ricerca della verità. Il cammino dello Yoga si svolge con la pratica di asana (posizioni del corpo), pranayama (tecniche di respirazione profonda), meditazione. BKS Iyengar (1918-2014), il maestro che più di tutti ha lavorato per portare lo Yoga in Occidente ha insegnato ad affinare la sensibilità ed equilibrare l’azione e la percezione nella pratica yoga.

L’Iyengar Yoga è un metodo di insegnamento dello Yoga adatto a tutti, grazie  alla preparazione specifica degli insegnanti certificati e formati in modo da seguire gli allievi in base alle esigenze individuali, in modo da garantire gradualità e sicurezza nell’apprendimento, anche con l’uso di attrezzi e supporti. La pratica dell’Iyengar Yoga fa del corpo un vero strumento di studio, analisi e ed esperienza.

A CHI SI RIVOLGE- METODOLOGIA
A tutti coloro che vogliono sviluppare la capacità di riconoscere e approfondire i segnali del corpo, in un lavoro di gruppo aperto sia a chi già pratica Iyengar Yoga (o altri stili di yoga) sia ai neofiti; a chi già conosce la Teoria della Gestalt e intende fare l’esperienza del suo utilizzo in un contesto non convenzionale e protetto

DOVE: Yoga Room, Via Lombroso 6, Torino

A CHE ORA: dalle 9 alle 13

QUANDO: 16 novembre, 14 dicembre, 18 gennaio, 15 febbraio, 14 marzo, 18 aprile, 16 maggio, 13 giugno

COSTI: ogni incontro 40 euro

CHI SIAMO
Manuela Stano, Psicologa, Psicoterapeuta e Gestalt Counselor (lacasadeifunamboli.it).
Laura Nozza, Communication Specialist e Gestalt Counselor.
Emanuela Zanda, Insegnante certificata Iyengar Yoga (yoga-in-giro.blog).

INFO E PRENOTAZIONI
I posti sono limitati (massimo 8 persone), la prenotazione è obbligatoria chiamando il numero 3493408033 (Laura). Il workshop sarà confermato al raggiungimento delle iscrizioni necessarie. Le date possono subire variazioni.

“Adhyātma śastra :curare l’anima con la pratica yoga

La nostra assistenza sanitaria è ottima, anche se è ora messa a dura prova. Disponiamo di medicine e antidolorifici per i nostri disturbi fisici, ma che cosa ci può alleviare la tristezza? Secondo Prashant Iyengar, la pratica di āsana e pranayama, secondo gli insegnamenti di Guruji BKS Iyengar, è Adhyātma śastraovvero la scienza che permette di comprendere l’anima, un vero e proprio “antidolorifico per l’anima”.

iyengar familyPrima dei contributi di Guruji, la pratica degli āsana in occidente non si poteva ricondurre ad un percorso di “cura dell’anima”; e anche ora yoga è spesso inteso come sinonimo di esercizio fisico. Invece l’importante caratteristica di Adhyātma rispetto alla  pratica di āsana e di pranayama è il rendere poco per volta naturale “oggettivare” il proprio corpo e mente, con l’intelligenza, i sensi, la consapevolezza, le emozioni.  Questo continuo processo di auto-analisi è il grande contributo di Guruji all’evoluzione dello yoga e permette ad ogni studente di avvicinare un poco di più l’anima. Quello che Guruji ha studiato e spiegato tutta la vita, mettendo ogni possibile impegno, intelligenza e passione, era già implicito negli Yoga Sutra di Patanjali, ma nessun maestro yoga in precedenza aveva esplorato con tanta profondità la pratica costante di āsana e pranayama.

Prashant Iyengar ha indagato in che cosa il metodo di Guruji è diverso dagli altri, sì da rendere la pratica una cura per l’anima e lo ha fatto in un libretto dal titolo “Yoga and the new millennium” pubblicato nel 2000, quasi vent’anni fa. E’ interessante ora leggere le parole di Prashant che,  come se avesse letto nel futuro, spiega alcuni aspetti del sistema Iyengar difficili da comprendere e da spiegare a  parole.

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Alcuni ritengono che il sistema Iyengar sia molto complicato perché ci sono tante istruzioni tecniche, ma è in questo modo che lo studente ottiene consapevolezza  del corpo, che è il primo passo per andare più in profondità:   non esiste altro percorso per andare al di là del corpo muscolare e scheletrico. Senza  precise istruzioni non si può andare a conoscere il corpo con precisione e la precisione permette di andare al di là del corpo. Si potrebbe scrivere un libro sulla posizione tadasana, la montagna, tanti sono i dettagli da osservare: eppure è una posizione semplicissima, che apparentemente non richiede alcuna abilità.  Questo è originale e unico nell’insegnamento di Iyengar, l’espansione dei nostri canali di osservazione e di auto osservazione, di consapevolezza, di penetrazione all’interno. Questo ci avvicina, con la pratica degli asana, all’obbiettivo dello yoga, citta-vṛtti-nirodhaḥ, fermare le fluttuazioni della mente.

Un altro aspetto è la sequenza degli āsana che normalmente veniva del tutto trascurata.  La sequenza aiuta a comprendere proprio i dettagli tecnici che permettono a loro volta di penetrare più a fondo nella conoscenza del corpo e della mente. In questo modo si acquisisce uno stato mentale “yogico”, sereno, chiaro, passivo. Con una appropriata sequenza di āsana si può modificare e migliorare lo stato della mente ed è la condizione che tutti gli studenti sperimentano dopo una lezione impegnativa. E’ una sorta di stato impersonale, equilibrato, quieto.  La sequenza non è automatica, non è solo eseguire sarvangasana dopo sirsasana, ma è condotta secondo le istruzioni tecniche delle posizioni. Ogni sequenza è diversa dall’altra. E’ questa profondità che genera la calma mentale.

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Un terzo aspetto è il tempo in cui si sta in una determinata posizione. Comprendere richiede tempo e quindi ogni āsana deve essere eseguita per un tempo determinato. Rimanere  a lungo non serve a mostrare le proprie qualità fisiche o l’orgoglio personale; ma rimanere il tempo giusto (magari un po’ di più di quello che si riterrebbe comodo…) serve a sviluppare le potenzialità dell’āsana e comprendere esattamente come e dove lavora, a seconda delle istruzioni tecniche necessarie per la sua esecuzione e rispetto agli āsana eseguiti prima. Non si tratta di rimanere meccanicamente a contare il tempo con il cronometro. Possiamo decidere di stare in una posizione, ad esempio, per cinque minuti; ma trascorsi questi cinque minuti, quanto è stato il tempo effettivamente dedicato alla posizione oppure ai nostri pensieri personali? Questo è il motivo per cui l’insegnante invita in continuazione ad esercitare l’attenzione.

Questi tre aspetti sono così connessi che non lavorano in modo isolato. L’integrazione tra i tre aspetti è la quarta meraviglia del sistema.  In questo modo, la pratica ci può accompagnare nel percorso volto alla cura dell’anima.

A vent’anni dalla scrittura di questo testo “Yoga and the new Millennium”, Prashant Iyengar doveva in qualche modo intuire che gli anni a venire avrebbero avuto sempre più bisogno di questo insegnamento e che la “cura dell’anima”  sarebbe stata indispensabile ad affrontare le sfide del presente.

Lezione di di Iyengar Yoga per studenti intermedi a YogaDom

Dopo un po’ di tempo di lavoro completamente indipendente sono molto contenta di riprendere la collaborazione con una vera e propria scuola di Yoga, dove si tengono lezioni per allievi di ogni livello di pratica.  La scuola è YogaDom, “un centro olistico che propone le più antiche discipline orientali, che hanno aiutato l’uomo per millenni a raggiungere e mantenere l’equilibrio psicofisico” con l’obbiettivo di una evoluzione spirituale.  Ma il focus è sull’Iyengar Yoga, cui sono dedicati la maggior parte dei corsi, in un percorso che va dai principianti assoluti, e allo yoga “restorativo” per persone che devono recuperare uno stato di salute e di benessere, alle classi generali, lo yoga in gravidanza, le classi per bambini e adolescenti.

Dall’inizio di ottobre quindi ho iniziato una lezione settimanale per allievi intermedi, adatta anche ad allievi avanzati e “volenterosi”, il venerdì dalle 13 alle 14,30. D’accordo con Lorenzo ed Eva, i responsabili di YogaDom, non si tratta tanto di imparare delle posizioni più difficili, ma di abituare lo studente alla concentrazione e all’attenzione, avvicinandosi agli obbiettivi dello yoga.

Per informazioni: info@yogadom.it; tel.3466940735. La scuola si trova in Corso Chieti 19, tra Corso Belgio e Lungo Po Antonelli. 

L’ARDORE (Tapah)

In un percorso simbolico alla ricerca delle qualità della pratica, tapaḥ si riferisce all’elemento fuoco e al chakra del cuore. La forza di tapaḥ purifica il corpo, rende la mente stabile e lucida, elimina il dubbio, induce all’azione. Tapaḥ è una parola talmente intraducibile che può essere interpretata con diversi significati, addirittura opposti secondo la nostra abitudine e sensibilità, autodisciplina/desiderio ardente della pratica. Tapaḥ è uno dei cinque niyamāḥ, doveri verso se stessi, insieme a sauca (purezza), santosa (l’accontentarsi), svādhyāya (studio del sé) e Ȋśvara praṇidhānāni, sottomettersi da Dio. Qui di seguito sono riportati i sutra che si riferiscono a tapah, in cui , secondo la traduzione di Iyengar, il significato va da “desiderio ardente” a “zelo religioso” a “autodisciplina”.

E’ più facile “sentire” con il corpo questa qualità della pratica che comprendere intellettualmente la parola; per questo ho pensato ad una sequenza ispirata a questa qualità. 

  1.  10 minuti di dhyana, meditazione. Seduti in virasana, il bacino appoggiato comodamente su un supporto (tavolette o bolster), oppure in padmasana, siddhasana, swastikasana, occorre permettere al proprio sé di riposarsi nell’assenza dei pensieri. Dhyana non è rinunciare a qualcosa, ma essere talmente ricchi da potersi permettere il lusso di non pensare, concedersi una lunga pausa.
  2. 20 minuti di pranayama. Si può fare riferimento al testo di BKS Iyengar “Teoria e pratica del pranayama” e al fondo, nei programmi di studio, osservare le indicazioni per il corso intermedio, dove Guruji consiglia di praticare lo stesso tipo di pranayama per 20-25 minuti, cambiando ogni giorno.
  3. Savasana per poi entrare gradualmente nella pratica degli asana con uttanasana (testa appoggiata), adho mukha svanasana (testa appoggiata), prasarita padottanasana (testa appoggiata).
  4. Supta padangustasana, 1, 2 e 3, almeno due volte per parte per carcare il controllo e la flessibilità.IMG_3577
  5. Una pratica di vinyasa, lenta e controllata, in cui le asana vanno eseguite con estrema cura dell’allineamento e della stabilità, per almeno 20 minuti, secondo il livello di tapaḥ e il tempo a disposizione. Ad esempio: urdhva hastasana, uttanasana, adho mukha svanasana, utthita trikonasana destra, adho mukha svanasana, chaturanga dandasana, urdhva mukha svanasana, adho mukha svanasana, utthita trikonasana sinistra, adho mukha svanasana, uttanasana, urdhva hastasana, tadasana. Per la qualità di questa pratica, ho trovato di grande utilità le indicazioni di Christian Pisano, La contemplazione dell’eroe, p. 396 ss. “Incantazione della corrente”: “Bisogna badare che queste pratiche di fluidità non portino verso l’agitazione, stando attenti a non lanciarsi nelle posizioni usando movimenti disordinati e caotici. …Il movimento e il radicamento procedono di pari passo”IMG_3575
  6. Ripetere con utthita parsvakonasana, vira 1, vira 2, ardha chandrasana, parsvottanasana, dandasana, paschimottansana, janu sirsasana, ustrasana, baradvajasana (la pratica risulterà di circa 25-30 minuti in questo modo).
  7. Con più tempo e tapaḥ a disposizione, inserire parivrtta trikonasana, parivrtta parsvakonasana, vira 3, parivrtta ardha chandrasana, utthita hasta padangustasana, urdhva prasarita ekapadasana (la pratica risulterà di 40-50 minuti). Con ancora più tempo e tapaḥ a disposizione, inserire triang mukha eka pada paschimottanasana, eka pada badda padma paschimottanasana, pursvottanasana, urdhva dhanurasana (la pratica risulterà di 60-65 minuti)
  8. Sirsasana al muro o alle corde
  9. Sarvangasana con la sedia
  10. Viparita karani
  11. Savasana

Questa pratica regala grande energia e consente di superare le afflizioni (klesa) e gli ostacoli alla corretta pratica dello yoga (Yoga Sutra, I, 31)

2.1 tapaḥ svādhyāya Ȋśvara praṇidhānāni kriyāyogaḥ

Il desiderio ardente della pratica, lo studio di se stessi e delle sacre scritture, l’arrendersi a Dio sono le azioni dello yoga

2, 32

Śauca santoşa tapa svādhyāya Ȋśvara praṇidhānāni niyamāḥ

La pulizia, l’accontentarsi, lo zelo religioso, lo studio del sé e l’arrendersi al sé supremo sono i niyamāḥ

2, 43

Kāya indriya siddhi aśuddhi kşayāt tapasa

L’autodisciplina (tapas) brucia tutte le impurità e accende la scintilla della divinità

Pratica yoga come viaggio all’interno di sè

Una delle chiavi per comprendere l’insegnamento dell’Iyengar Yoga è l’importanza della pelle quale organo di senso evoluto, un mezzo grazie al quale, tramite la pratica di asana e pranayama, portare la consapevolezza negli strati più profondi di sè.  E’ attraverso la pelle che si sentono e si approfondiscono le azioni proprie di ogni asana e  avviene la prima trasformazione operata dallo yoga. La pelle è lo strato più esterno del corpo ed è l’organo di senso più esteso: quello che passa attraverso la pelle come organo di senso coinvolge l’intero essere umano.

Secondo la filosofia indiana, l’essenza spirituale dell’essere umano è rivestita da cinque strati, i kosha: tra l’anima, la parte divina dell’essere umano, e gli altri “strati” c’è differenzione, ma non separazione, come spiegano le Upanisad e come ha approfondito in particolare il filosofo Ramanuja, vissuto nell’XI-XII secolo.

Project10_Layout 1Per lo yoga il corpo fisico è annamaya kosha, lo strato più esterno; poi si trovano il corpo energetico (pranamaya kosha), lo strato mentale (manomaya kosha), quello intellettuale (vijnanamaya kosha) e lo strato di “beatitudine” spirituale (anandamaya kosha).  Questi strati sono in completa interdipendenza l’uno dall’altro, soprattutto i tre più esterni; la situazione è un po’ più complessa nelle relazioni tra strato intellettuale e quello di beatitudine perché occorre un’azione “volontaria” dell’intelligenza, che fa ancora parte del mondo di praktri, per rivolgersi al mondo di purusa.  Preferisco usare il termine “corpo” per annamaya kosha perché è per noi più comprensibile e usare il termine “strato” per gli altri, ma in sanscrito sono tutti kosha, corpi, strati, livelli ad indicare la complessità dell’essere umano. Una suddivisione parallela viene fatta tra il corpo grossolano anatomico (sthula sariraannamaya kosha), un semplice involucro, che viene distrutto dalla morte; il corpo sottile (suksma sarira) che comprende gli altri strati  intermedi ed infine  il corpo causale (karana sarira) che comprende soltanto lo strato prossimo all’atman, lo strato di beatitudine spirituale, la condizione essenziale per accedere alla divinità.

La pelle forma l’involucro del corpo anatomico, riveste i muscoli, le ossa, gli organi vitali ed è l’interfaccia tra l’essere umano e il suo mondo esterno da un lato ed interno dall’altro. E’ vero che il nostro corpo anatomico e scheletrico è un involucro grossolano soggetto al deperimento e alla morte; ma è anche il nostro veicolo di questa vita, senza il quale non potremmo sperimentare nulla. Come diceva Geeta Iyengar, un veicolo in cattive condizioni non porta da nessuna parte. Se le cellule del nostro corpo non sono in buona salute, noi non siamo in buona salute. Con la pratica di asana e pranayama possiamo intervenire a modificare lo stato di salute del nostro corpo ed in particolare rendere l’intero corpo attivo, eliminando i liquidi in eccesso e le tossine; ma soprattutto possiamo fare sì che la pratica yoga penetri gli strati del corpo, coinvolga la sensibilità e l’intelligenza, avvicinando l’essere umano alla sua essenza divina.  E’ l’esperienza ricca di profondi insegnamenti che BKS descrive nel suo testo “Light on Life”, pubblicato nel 2005 e tradotto in italiano per le Edizioni Mediterranee.

I cinque differenti livelli o strati (koshas) dell’essere umano devono trovarsi in costante armonia  tra di loro e in armonia con il sè più profondo. Quando questi strati non sono in rapporto equilibrato, riflettono –come uno specchio- le immagini disarmoniche del mondo esterno, pieno di contraddizioni e desideri inappagabili anziché la chiarezza dell’anima, il punto più interno dell’essere.  La vera salute, fisica e mentale, comprende non soltanto il funzionamento efficace del corpo fisico, ma la vitalità, la forza e la sensibilità degli gli strati più profondi altrimenti si farà esperienza di situazioni confuse e spiacevoli.

E’ essenziale che chi segue il percorso dello yoga comprenda la necessità di integrazione e di equilibrio tra i kosha. Per esempio manomaya e vijnanamaya kosha (lo strato mentale e intellettuale) devono osservare e valutare come si comportano il corpo fisico ed energetico (annamaya koshae pranayama kosha) ed eventualmente fare gli opportuni aggiustamenti. Supponiamo di essere in sirsasana: lo strato mentale sente l’allineamento del corpo, sente il respiro. Il lavoro della mente è quello di mantenere lo respiro regolare e riaggiustare il corpo quando si avvertono sbilanciamenti.

img_4031-e1507907940804Come esseri umano abbiamo a che fare con il mondo materiale e viviamo condizionati dai limiti del nostro corpo fisico. Secondo la filosofia yoga non è il corpo fisico a contenere  l’anima, ma è l’anima ad essere rivestita da un corpo fisico, il nostro mezzo in questa vita terrestre. Comprendere che il corpo è un mezzo e non un fine permette di accettarne i limiti e di trascenderli con la pratica di  asana e pranayama in modo tale che il corpo anatomico si riconosca quale strumento di consapevolezza.

L’insegnamento di Swati Chanchani

Ho frequentato il bellissimo seminario di Swati Chanchani organizzato dallo Studio Yoga di Faenza ed è stata una esperienza entusiasmante. Forse soltanto ora, a più di trent’anni dal mio primo viaggio in India e venti di pratica di Iyengar Yoga, riesco a comprendere di aver soltanto scalfito la superficie della straordinaria sapienza indiana.  Swati Chanchani è una vera “Maestra”, abile e affabile, sempre sorridente e tuttavia misteriosa come la profonda sapienza che porta in sè.  Ma voglio ugualmente  provare a comunicare alcune sue espressioni che ho trovato particolarmente dense di significato.

fb_img_1558820437575.jpgOltre all’invocazione a Patanjali, all’inizio si è cantata l’invocazione a Ganesh. L’elefante, con il suo topolino Akhu,  procedono sempre su una via diritta: per questo proteggono il cammino spirituale, rimuovendo gli ostacoli. L’invocazione si recita vicino all’insegnante. Infatti i testi più antichi che parlano di pratica yoga sono le Upanishad e questa parola letteralmente significa: “sedete qui vicino”, riferito allo studente che riceve insegnamento spirituale dal maestro. E’ ovvio che  gli studenti devono ascoltare e rimanere attenti: quindi non sono consentiti appunti, e meno ancora fotografie e registrazioni.

Per l’India, Yoga e Karma sono inseparabili e tutti sanno di che cosa si parla. Il percorso dello Yoga serve per ottenere la liberazione dalla legge del karma. In Occidente invece tante persone oggi vogliono fare “un po’” di yoga per migliorare il loro stato di salute. Questo non è sbagliato perché può essere l’inizio di un cammino, ma occorre ricordare che l’obbiettivo dello yoga è superare il mondo terreno soggetto alla causa ed effetto. La legge di causa ed effetto fa sì che ognuno di noi abbia innumerevoli vite, e tutto ciò che si fa, anche l’atto apparentemente meno significativo, prima o poi avrà una conseguenza.

Il saggio Patanjali non ha inventato lo yoga, ma lo ha riassunto in 196 sutra, in modo che questo sapere concentrato potesse essere imparato a memoria. Il primo capitolo (pada) è dedicato a chi è già oltre i problemi della mente; il secondo è per gli studenti principianti; il terzo per gli studenti avanzati e sulla gestione dei poteri che conferisce lo yoga; il quarto su come deve condurre la vita di ogni giorno chi ha realizzato con l’obbiettivo dello yoga. Per ogni livello di studio Patanjali dice quali sono le difficoltà e come possono essere superate. Per i principianti gli ostacoli sono: pigrizia, malattia e dubbio.

La pratica degli asana serve per imparare e consolidare le posizioni della meditazione, soprattutto virasana, badda konasana, padmasana, swastikasana, siddhasana: in tutte queste posizioni, il perineo è al pavimento, quindi la colonna si allunga in modo naturale. L’osso sacro  si muove verso il basso e l’ombelico verso l’alto. Quando si ascolta il maestro o si studia in queste posizioni, l’apprendimento è facile perchè la colonna è allungata e la mente è vigile. Esistono, secondo la tradizione, 860000 asana, ma tutte servono a questo scopo.

Le posizioni come adho mukha virasana, adho mukha svanasana, parsvottananasana, uttanasana, prasarita padottananasana hanno tutte la funzione, tra l’altro, di allungare i muscoli della parte posteriore della coscia (harmstrings) in particolare il bicipite femorale, il lungo muscolo che va dall’ischio al ginocchio. Questa parte va resa flessibile e sensibile perché è importantissima per l’allungamento della colonna.

Il pranayama è lo stadio successivo dopo gli asana, ma si deve praticare anche contemporaneamente. Ogni posizione fa sì che il respiro sia differente. Ad esempio nelle torsioni, parivrtta trikonasana, occorre portare il respiro nel lato del torace opposto alla torsione. In tutte le posizioni, occorre riempire l’esecuzione della posizione con il respiro. La respirazione “viloma”, interrotta da pause,  è ideale per andare in posizione (ad esempio trikonasana) in modo corretto, equilibrando respirazione e attenzione. Per eseguire altre posizioni, ad esempio certe torsioni intense come marichasana 3 o parivritta parsvakonasana, è opportuno eseguire brevi espirazioni, come nella tecnica “bastrika”.

IMG-20190616-WA0003Swati Chanchani ha anche tenuto una bellissima conferenza, proiettando immagini, sul tema dello yoga e dell’arte. BKS Iyengar era solito dire: “Lo Yoga è come la musica. Il ritmo del corpo, la melodia della mente e l’armonia dell’anima creano la sinfonia della vita” e infatti il primo famoso allievo occidentale fu il famoso violinista Yehudi Menuhin. Ma Guruji era solito ricordare anche la simmetria del corpo, la simmetria degli asana, l’arte di rendere armonico il corpo. Le ricerche di Swati sulla storia dello yoga e lo yoga nell’arte, con il figlio, prof. Nachiket Chanchani (University of Michigan, Ann Arbor, USA) sicuramente porteranno ancora nuovi aspetti interessanti su una disciplina che coinvolge sempre più persone in ogni paese.

Grazie ancora allo Studio Yoga di Faenza e a Ilaria Zinzani per la bellissima iniziativa.

 

 

Una lezione di Geetaji (2018): guardare all’interno praticando asana

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Prendere tutti 2 coperte, una cintura, un mattone. Mettere i supporti da parte per adho mukha virasana, adho mukha svanasana, uttanasana (piedi uniti, testa giù). Inspirare e concavare la schiena. Tadasana. Dandasana. Janu sirsasana: estendere le braccia verso l’alto e allungare in posizione. Torace lontano dall’addome. Cosce giù, testa giù, gomiti su, parte superiore delle braccia giù. Parivritta janu sirsasana (stesso lato): il braccio dietro oltre l’orecchio. Altro lato, le due posizioni. Il lato dietro verso l’alto e in avanti in janu sirsasana; in parivritta, ruotare l’addome e il torace in modo da portare il gomito oltre l’orecchio. Janu sirsasana di nuovo: muovere le ascelle, muovere i gomiti. Chi non riesce ad estendere il lato della gamba piegata, deve supportare il bacino. Parivrtta janu sirsasana: afferrare il piede e ruotare, ruotare! Muovere le scapole in dentro. Altro lato.

collage1Paschimottanasana: per aprire il torace, aprire le ascelle, muovere il torace in avanti lontano dall’addome ecc. occorre guardare dentro (look insight). Se l’azione non è possibile, usare i supporti. Usare la cintura e concavare la schiena, testa giù. Guruji ha sempre avuto un insegnamento molto chiaro e netto; non “provare”, ma “fare”. Semplicemente, fate quello che l’insegnante chiede. Potete usare i supporti. Quando siete voi ad insegnare, dovete fare lo stesso, usate un tono di voce deciso, non esitante o peggio ancora, cantilenante. Lo yoga non è una cantilena, le azioni da fare sono quelle. Tenere il piede, piegare i gomiti, spingere!! Spingere!!

Gamba sinistra piegata in virasana. L’altra gamba piegata, il talllone vicino al bacino. Krounchasana, afferrare il piede, sollevare il ginocchio e stendere la gamba. Tenere il torace su!! Costole posteriori in dentro. Sterno su! Aprire il dietro della gamba sollevata, aprire la pelle. Ora tirate la gamba verso il viso e poi testa giù, che in questo caso è testa su, fronte alla tibia. Se non sapete come fare, guardate la foto di Guruji in Krounchasana. Il corpo è un ostacolo, lo so bene. Ma la mente è un ostacolo più grande, non siete d’accordo?

Gamba destra piegata in marichasana, passare il braccio destro intorno alla gamba e prendere le dita. Ora crescete! Sollevate lo sterno e poi in avanti. Sono le stesse azioni di prima, distendete la pelle della gamba distesa, la pelle della parte bassa di entrambe le natiche. Perché non lasciate andare questa parte? Perché le ascelle non scendono? Non c’è la pratica, questo è tutto. Se la lezione fosse per principianti, capisco. Ma se sono insegnanti intermediate non capisco. Stiamo lavorando sempre sugli stessi punti, non sono posizioni diverse. Krounchasana di nuovo. Non spingete l’addome contro la coscia! L’addome deve salire e ruotare! Se non fate questo non potete andare su con il torace.

collage2Ardha badda padda paschimottanasana, afferrare il piede dietro con la mano e crescete con il torace. Ruotare! Come in parivritta janu sirsasana. Il punto è sempre l’apertura della gamba sotto, aprire la pelle della gamba verso il pavimento, distendere la pelle delle natiche. Di nuovo Marichasana 1: piegare la gamba, portare il tallone vicino al bacino, estendere il braccio, passarlo intorno alla gamba, sollevare il torace ruotando l’addome. Ruotare! Mettere l’altezza necessaria sotto il bacino.

Ardha matsyandrasana 2: una gamba in padmasana, ruotare e afferrare la caviglia o la cintura. Potete sentire che l’azione parte sempre dalla pelle delle cosce e delle natiche? Ruotare!! Seconda volta: da ardha matsyandrasana 2, andare in avanti come in Ardha badda padda paschimottanasana. Rilassare la natica della gamba distesa. Ardha masyandrasana 2 di nuovo, viene più facile?

collage3Baradvajasana 2. Gamba destra in virasana, sinistra in padmasana. Ruotare. Le ginocchia devono avvicinarsi. Stesso lato: Piegare la gamba destra in marichasana, estendere la sinistra: Marichasana 1, testa giù. Il tronco deve essere incollato alla gamba piegata. La gamba piegata deve spingere contro il tronco e il braccio. Capisco i limiti fisici, ma esistono le classi mediche per questo! Tutto dall’altro lato.

Marichasana 3; marichasana 4

collage4Pasasana a destra, il tronco incollato alla gamba. Malasana: testa giù. Ora usate la cintura se avete bisogno e agganciate le dita dietro alla vita; poi mani giù e direttamente in Bakasana!! Fatelo!! Non pensate!! Dovete abbandonarvi alla pratica, non ai pensieri! Diversamente sentite solo lo sforzo, e non lo sforzo-senza-sforzo…Asana e Pranayama servono a questo, si puà raggiungere kaivalya con la pratica intensa, ma la pratica di asana e pranayama sono per la capacità di abbandonarsi. Capito? Siete giovani, in buona salute lo dovete fare, se no, perché praticare yoga? Per il corpo?? Altro lato, Pasasana, Malasana, Bakasana. Attenzione alle azioni: Marichasana non è come ardha malasana? Per ruotare il braccio dovete allungare prima il bicipite poi il tricipite, tenendo le scapole in dentro. Dovete rendere il corpo grossolano modellabile come l’argilla, per portare il respiro ovunque. Gli asana sono preparatori al pranayama, non è vero? Con il pranayama avete accesso a diverse parti del corpo, ma occorre che il corpo sia pronto. La mancanza di salute, la vecchiaia, le malattie sono un problema, ma voi non avete questo problema. Ci sono i supporti, al limite ci sono le classi mediche. Bisogna portare l’ego alla condizione di sforzo-senza-sforzo. Ogni asana deve insegnare questo. Dovete aiutare voi stessi, aiutare gli altri. Andate ad aiutare alle classi mediche! Dovete mostrare compassione, non egoismo.

Malasana, costole in dentro! Costole che scavano nella schiena. Nessuno spazio tra cosce e torace. Bakasana, la parte alta delle braccia deve continuare a premere contro il torace. Come si aiuta ad eseguire queste posizioni? Come si insegna l’azione? Non bisogna mai perdere il contatto tra la coscia, l’ascella e la parte alta delle braccia e nello stesso tempo spingere le scapole in dentro. Il certificato è solo il punto di partenza, poi bisogna imparare ad aiutare gli altri, ad insegnare.

Questa è la base per proseguire, le azioni delle posizioni in avanti e torsioni per imparare eka pada sirsasana, yoga nidrasana ecc.

Uttanasana, AMS, Urdhva Mukha Svanasana, AMS, Uttanasana, urdhva hastasana, paschima namaskarasana (occhi chiusi).

(Questa lezione è stata tenuta da Geetaji al RIMYI  sabato 9 giugno 2018; gli appunti sono ricavati dalla registrazione disponibile presso l’Istituto)

Meditazione: iniziare il prima possibile e continuare….

Vacanze o meno, a volte la tensione della vita è tale da non riuscire a fermare la testa. Sembra che in ogni istante si debba risolvere un qualche problema, che in ogni istante ci siano cose da ricordare. Meditazione è semplicemente concedersi il lusso di non pensare a nulla.

Perché in primavera o estate? Gli impegni sono minori, il clima è più rilassato, anche se le lunghe ore di luce ricordano che ci sarebbe molto da fare. Infatti l’estate passa velocemente e magari si nota di non aver poi fatto nulla di speciale. Per questo l’estate è perfetta per la meditazione ed è il momento ideale per iniziare se ancora non si è stabilita questa abitudine. Non c’è pratica più “speciale” della meditazione.

Dhyana, secondo la filosofia yoga,  è l’attività volta a espandere in modo uniforme l’intelligenza; il primo passo (dopo dharana, concentrazione) è il fermo fluire dell’attenzione verso la stessa area, o punto.

YogaSutra, III.2 tatra pratyayaika-tānatā dhyānam

Ekatānatā è la parola chiave di dhyana, secondo BKS Iyengar. Il flusso di attenzione deve essere fermo e ininterrotto, ma al tempo stesso uniforme. Non c’è pigrizia, non c’è noia. Non è semplice concentrazione, ma “attenzione all’anima, dall’anima, per l’anima”. L’anima, atman, è diversa da quello che intendiamo nelle religioni occidentali. Atman è pura consapevolezza, al di fuori delle modificazioni della realtà materiale. Anche l’intelligenza e l’attenzione fanno parte della realtà materiale, ma sono quanto di più vicino abbiamo alla pura consapevolezza. In dharana e dhyana occorre rimanere concentrati sull’interno di sé, e interrompere gli altri flussi di pensieri disturbanti, o almeno, all’inizio, saperli riconoscere e prendere distanza.

 

YogaSutra, IV, 6 tatra dhyānajam anasayam

La mente di chi pratica yoga deve essere portata alla calma originaria e al silenzio. Questo pone fine ai condizionamenti mentali e libera dal coinvolgimento degli oggetti. Numerosissimi studi scientifici hanno dimostrato l’efficacia della meditazione per ridurre il cd. stress, migliorare la qualità del sonno, ma soprattutto migliorare la qualità della vita! Perché chi si abitua a meditare, dopo breve tempo, “prende la distanze” da ciò che succede e diventa meno incline al nervosismo: in altri termini, si avvicina all’obbiettivo dello yoga.

cadf0f7d2cd7e183d4d85a9ba5866607--patanjali-yoga-mindfulnessQuesti effetti, addirittura, sono misurabili in breve tempo, come ha dimostrato, ad esempio, uno studio recente, dove sono stati confrontati i risultati tra persone che avevano meditato durante un workshop di una settimana rispetto a persone che non avevano svolto questa attività. I cambiamenti sono, in così poco tempo, molto significativi, perché con la meditazione si attuano modificazioni  profonde nella struttura mentale.

Un altro studio ha avuto come protagonisti ragazzi della scuola superiore e i loro insegnanti, nell’ambito di una attività promossa dalla Fondazione David Lynch, pubblicata sul supplemento di Repubblica. Un gruppo di 80 persone volontarie ha meditato per tre mesi, due volte al giorno, per 15-20 minuti; i risultati sono stati confrontati, con esiti stupefacenti, con quelli di persone che che non avevano svolto alcuna attività. Insomma, pare che Patanjali avesse assolutamente ragione: praticare samyama (dharana, dhyana, samadhi) consente di liberarsi dalle contingenze della vita, acquistare serenità e capacità di giudizio; in altri termini, superare l’ignoranza che viene dalla veduta particolare e soggettiva delle cose.

Geeta Iyengar ricorda che lo strumento della meditazione è il corpo, che deve essere precedentemente fortificato con la pratica regolare di asana e pranayama.  La meditazione non si insegna, si pratica: su questo anche Guruji era tassativo. Non si pratica in gruppo e quindi non si può insegnare nelle classi, si deve praticare individualmente. Il consiglio è iniziare con 10 minuti, al mattino presto, prima del pranayama; successivamente si potrà aumentare il tempo. Personalmente ritengo sia molto utile anche una meditazione a fine giornata, della stessa durata della mattina. In “Yoga per la donna”, Geetaji insegna in modo molto preciso quale deve essere la posizione e l’atteggiamento mentale nel corso della meditazione. Sono pagine di saggezza. Chi non desidera per ora iniziare la meditazione, dovrebbe comunque leggerle e lasciare sedimentare l’impressione di questo insegnamento, da cui traspare una conoscenza di immensa profondità.

 

 

Bibliografia consultata:

BKS Iyengar, Gli antichi insegnamenti dello Yoga, I sutra del grande maestro Patanjali, Ed. Italiana Futura, 1977.

BKS Iyengar, Light On Astanga Yoga, 2° Ed., Mumbai, 2012

Geeta Iyengar, Yoga per la donna. Roma, 1992.

 

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