L’ARDORE (Tapah)

In un percorso simbolico alla ricerca delle qualità della pratica, tapaḥ si riferisce all’elemento fuoco e al chakra del cuore. La forza di tapaḥ purifica il corpo, rende la mente stabile e lucida, elimina il dubbio, induce all’azione. Tapaḥ è una parola talmente intraducibile che può essere interpretata con diversi significati, addirittura opposti secondo la nostra abitudine e sensibilità, autodisciplina/desiderio ardente della pratica. Tapaḥ è uno dei cinque niyamāḥ, doveri verso se stessi, insieme a sauca (purezza), santosa (l’accontentarsi), svādhyāya (studio del sé) e Ȋśvara praṇidhānāni, sottomettersi da Dio. Qui di seguito sono riportati i sutra che si riferiscono a tapah, in cui , secondo la traduzione di Iyengar, il significato va da “desiderio ardente” a “zelo religioso” a “autodisciplina”.

E’ più facile “sentire” con il corpo questa qualità della pratica che comprendere intellettualmente la parola; per questo ho pensato ad una sequenza ispirata a questa qualità. 

  1.  10 minuti di dhyana, meditazione. Seduti in virasana, il bacino appoggiato comodamente su un supporto (tavolette o bolster), oppure in padmasana, siddhasana, swastikasana, occorre permettere al proprio sé di riposarsi nell’assenza dei pensieri. Dhyana non è rinunciare a qualcosa, ma essere talmente ricchi da potersi permettere il lusso di non pensare, concedersi una lunga pausa.
  2. 20 minuti di pranayama. Si può fare riferimento al testo di BKS Iyengar “Teoria e pratica del pranayama” e al fondo, nei programmi di studio, osservare le indicazioni per il corso intermedio, dove Guruji consiglia di praticare lo stesso tipo di pranayama per 20-25 minuti, cambiando ogni giorno.
  3. Savasana per poi entrare gradualmente nella pratica degli asana con uttanasana (testa appoggiata), adho mukha svanasana (testa appoggiata), prasarita padottanasana (testa appoggiata).
  4. Supta padangustasana, 1, 2 e 3, almeno due volte per parte per carcare il controllo e la flessibilità.IMG_3577
  5. Una pratica di vinyasa, lenta e controllata, in cui le asana vanno eseguite con estrema cura dell’allineamento e della stabilità, per almeno 20 minuti, secondo il livello di tapaḥ e il tempo a disposizione. Ad esempio: urdhva hastasana, uttanasana, adho mukha svanasana, utthita trikonasana destra, adho mukha svanasana, chaturanga dandasana, urdhva mukha svanasana, adho mukha svanasana, utthita trikonasana sinistra, adho mukha svanasana, uttanasana, urdhva hastasana, tadasana. Per la qualità di questa pratica, ho trovato di grande utilità le indicazioni di Christian Pisano, La contemplazione dell’eroe, p. 396 ss. “Incantazione della corrente”: “Bisogna badare che queste pratiche di fluidità non portino verso l’agitazione, stando attenti a non lanciarsi nelle posizioni usando movimenti disordinati e caotici. …Il movimento e il radicamento procedono di pari passo”IMG_3575
  6. Ripetere con utthita parsvakonasana, vira 1, vira 2, ardha chandrasana, parsvottanasana, dandasana, paschimottansana, janu sirsasana, ustrasana, baradvajasana (la pratica risulterà di circa 25-30 minuti in questo modo).
  7. Con più tempo e tapaḥ a disposizione, inserire parivrtta trikonasana, parivrtta parsvakonasana, vira 3, parivrtta ardha chandrasana, utthita hasta padangustasana, urdhva prasarita ekapadasana (la pratica risulterà di 40-50 minuti). Con ancora più tempo e tapaḥ a disposizione, inserire triang mukha eka pada paschimottanasana, eka pada badda padma paschimottanasana, pursvottanasana, urdhva dhanurasana (la pratica risulterà di 60-65 minuti)
  8. Sirsasana al muro o alle corde
  9. Sarvangasana con la sedia
  10. Viparita karani
  11. Savasana

Questa pratica regala grande energia e consente di superare le afflizioni (klesa) e gli ostacoli alla corretta pratica dello yoga (Yoga Sutra, I, 31)

2.1 tapaḥ svādhyāya Ȋśvara praṇidhānāni kriyāyogaḥ

Il desiderio ardente della pratica, lo studio di se stessi e delle sacre scritture, l’arrendersi a Dio sono le azioni dello yoga

2, 32

Śauca santoşa tapa svādhyāya Ȋśvara praṇidhānāni niyamāḥ

La pulizia, l’accontentarsi, lo zelo religioso, lo studio del sé e l’arrendersi al sé supremo sono i niyamāḥ

2, 43

Kāya indriya siddhi aśuddhi kşayāt tapasa

L’autodisciplina (tapas) brucia tutte le impurità e accende la scintilla della divinità

Pratica yoga come viaggio all’interno di sè

Una delle chiavi per comprendere l’insegnamento dell’Iyengar Yoga è l’importanza della pelle quale organo di senso evoluto, un mezzo grazie al quale, tramite la pratica di asana e pranayama, portare la consapevolezza negli strati più profondi di sè.  E’ attraverso la pelle che si sentono e si approfondiscono le azioni proprie di ogni asana e  avviene la prima trasformazione operata dallo yoga. La pelle è lo strato più esterno del corpo ed è l’organo di senso più esteso: quello che passa attraverso la pelle come organo di senso coinvolge l’intero essere umano.

Secondo la filosofia indiana, l’essenza spirituale dell’essere umano è rivestita da cinque strati, i kosha: tra l’anima, la parte divina dell’essere umano, e gli altri “strati” c’è differenzione, ma non separazione, come spiegano le Upanisad e come ha approfondito in particolare il filosofo Ramanuja, vissuto nell’XI-XII secolo.

Project10_Layout 1Per lo yoga il corpo fisico è annamaya kosha, lo strato più esterno; poi si trovano il corpo energetico (pranamaya kosha), lo strato mentale (manomaya kosha), quello intellettuale (vijnanamaya kosha) e lo strato di “beatitudine” spirituale (anandamaya kosha).  Questi strati sono in completa interdipendenza l’uno dall’altro, soprattutto i tre più esterni; la situazione è un po’ più complessa nelle relazioni tra strato intellettuale e quello di beatitudine perché occorre un’azione “volontaria” dell’intelligenza, che fa ancora parte del mondo di praktri, per rivolgersi al mondo di purusa.  Preferisco usare il termine “corpo” per annamaya kosha perché è per noi più comprensibile e usare il termine “strato” per gli altri, ma in sanscrito sono tutti kosha, corpi, strati, livelli ad indicare la complessità dell’essere umano. Una suddivisione parallela viene fatta tra il corpo grossolano anatomico (sthula sariraannamaya kosha), un semplice involucro, che viene distrutto dalla morte; il corpo sottile (suksma sarira) che comprende gli altri strati  intermedi ed infine  il corpo causale (karana sarira) che comprende soltanto lo strato prossimo all’atman, lo strato di beatitudine spirituale, la condizione essenziale per accedere alla divinità.

La pelle forma l’involucro del corpo anatomico, riveste i muscoli, le ossa, gli organi vitali ed è l’interfaccia tra l’essere umano e il suo mondo esterno da un lato ed interno dall’altro. E’ vero che il nostro corpo anatomico e scheletrico è un involucro grossolano soggetto al deperimento e alla morte; ma è anche il nostro veicolo di questa vita, senza il quale non potremmo sperimentare nulla. Come diceva Geeta Iyengar, un veicolo in cattive condizioni non porta da nessuna parte. Se le cellule del nostro corpo non sono in buona salute, noi non siamo in buona salute. Con la pratica di asana e pranayama possiamo intervenire a modificare lo stato di salute del nostro corpo ed in particolare rendere l’intero corpo attivo, eliminando i liquidi in eccesso e le tossine; ma soprattutto possiamo fare sì che la pratica yoga penetri gli strati del corpo, coinvolga la sensibilità e l’intelligenza, avvicinando l’essere umano alla sua essenza divina.  E’ l’esperienza ricca di profondi insegnamenti che BKS descrive nel suo testo “Light on Life”, pubblicato nel 2005 e tradotto in italiano per le Edizioni Mediterranee.

I cinque differenti livelli o strati (koshas) dell’essere umano devono trovarsi in costante armonia  tra di loro e in armonia con il sè più profondo. Quando questi strati non sono in rapporto equilibrato, riflettono –come uno specchio- le immagini disarmoniche del mondo esterno, pieno di contraddizioni e desideri inappagabili anziché la chiarezza dell’anima, il punto più interno dell’essere.  La vera salute, fisica e mentale, comprende non soltanto il funzionamento efficace del corpo fisico, ma la vitalità, la forza e la sensibilità degli gli strati più profondi altrimenti si farà esperienza di situazioni confuse e spiacevoli.

E’ essenziale che chi segue il percorso dello yoga comprenda la necessità di integrazione e di equilibrio tra i kosha. Per esempio manomaya e vijnanamaya kosha (lo strato mentale e intellettuale) devono osservare e valutare come si comportano il corpo fisico ed energetico (annamaya koshae pranayama kosha) ed eventualmente fare gli opportuni aggiustamenti. Supponiamo di essere in sirsasana: lo strato mentale sente l’allineamento del corpo, sente il respiro. Il lavoro della mente è quello di mantenere lo respiro regolare e riaggiustare il corpo quando si avvertono sbilanciamenti.

img_4031-e1507907940804Come esseri umano abbiamo a che fare con il mondo materiale e viviamo condizionati dai limiti del nostro corpo fisico. Secondo la filosofia yoga non è il corpo fisico a contenere  l’anima, ma è l’anima ad essere rivestita da un corpo fisico, il nostro mezzo in questa vita terrestre. Comprendere che il corpo è un mezzo e non un fine permette di accettarne i limiti e di trascenderli con la pratica di  asana e pranayama in modo tale che il corpo anatomico si riconosca quale strumento di consapevolezza.

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