“Rendo onore a Patanjali, il più nobile dei saggi, che ci ha donato lo yoga per la serenità della mente, la grammatica per la purezza della lingua e la medicina per la salute perfetta del corpo. Mi inchino a Patanjali, la cui parte superiore del corpo ha forma umana, le cui braccia tengono una spada, un disco e una conchiglia, ed è incoronato dal cobra con mille teste. O incarnazione di Adisesa, il mio saluto va a te”
“Yogena cittasya padena vacam Malam sarirasyaca vaidyakena Yopakarottam prvaram muninam Patanjalim pranjaliranato’smi
Abahu purusakaram Sankha cakrasi dharinam Sahasra sirasam svetam Pranamami Patanjalim
Hari Hey Om”
Cantare qualcosa che non si comprende fa uno strano effetto. A volte stimola la curiosità; ma può anche suscitare un po’ di irritazione. Quando poi si impara l’invocazione, la si ripete con piacere e con devozione. Tuttavia, il sanscrito non è la nostra lingua e pochi sanno davvero che cosa stanno cantando.
Patanjali è una figura leggendaria, il compilatore degli Yoga Sutra, un testo breve e denso di 196 aforismi, forse risalente al II-IV secolo d.C. (la scrittura; ma il testo è probabilmente più antico). Questo testo ha avuto molti commenti nell’antichità, poi è stato un po’ dimenticato durante il periodo coloniale; negli ultimi anni è ritornato molto popolare perché tanti occidentali studiano yoga, così si sono moltiplicati gli studi e le traduzioni. La comunità di studenti di yoga di BKS Iyengar ha assunto l’abitudine di cantare questo mantra prima della lezione. Il mantra risale forse all’XI secolo, quando uno studioso degli Yoga Sutra, Bhoja, cercò qualche informazione “storica” su Patanjali, riconnettendo alla stessa figura un grande trattato di grammatica della lingua sanscrita.
In sanscrito, Pata significa cadere o caduto, e anjali offerta. Secondo la leggenda, Patanjali è reincarnazione di Adisesa, il Signore dei serpenti e giaciglio di Visnu e quindi nel mantra prende gli attributi di Visnu: la ruota, la spada, la conchiglia. La descrizione di Patanjali ha lo scopo di suscitare la devozione, descrivendo l’aspetto della divinità, rievocandone l’immagine. Purtroppo, se non si capiscono le parole, questo non avviene. Per la spiegazione dell’invocazione parola per parola, vi invito a leggere questo interessantissimo studio, completo della traduzione (in inglese) di Geetaji Iyengar.
Invece per la pronuncia, vale soltanto l’esercizio. Questa è l’invocazione cantata da Geetaji:
Buona pratica!
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