Patanjali dedica al “cammino della conoscenza”, secondo la bella definizione di BKS Iyengar, nove sutra; ne aveva dedicati invece ben sedici a descrivere yama e niyama. Questo può essere spiegato con il fatto che yama e niyama costituiscono la vera base della pratica yoga, senza la quale nessun passo ulteriore può avvenire; vale quindi la pena di insistere su quello che doveva essere, allora come oggi, un equivoco frequente, il darne per scontata la pratica e l’osservanza. Infatti, opportunamente BKS Iyengar aveva definito yama e niyama “il cammino dell’azione”.
Per quanto riguarda i famosi asana, il mezzo con cui tutti o quasi gli studenti occidentali si avvicinano allo yoga, molti studiosi hanno osservato, anche con una punta di disdegno, che parrebbero marginali nello yoga di Patanjali, dal momento che sono sbrigati in soli tre sutra e che non viene descritta nessuna posizione. Tuttavia, già il più antico commentario degli YogaSutra, attribuito al saggio Vyasa, descriveva una serie di posizioni e molte di più vengono descritte nei testi successivi. Sembra ragionevole pensare quindi che, se Patanjali descrive così brevemente gli asana, esistessero altri testi e maestri specializzati in questo “anga” dello yoga per cui non si sia ritenuto necessario, in un trattato così sintetico, ripetere cose che molti già sapevano e facevano. In effetti, per gli studiosi contemporanei di Patanjali, gli asana potevano essere intesi come una specificità nel quadro di una disciplina molto ricca e complessa .
“Asana” significa propriamente sedile, sedersi. A questo punto interviene l’insegnamento di BKS Iyengar: che cosa fa la mente quando siamo seduti in un asana, ad esempio swastikasana? Siamo in grado di rimanere perfettamente seduti a lungo, in modo stabile e confortevole, senza avvertire né noia, né fastidio fisico? Siamo in grado di rilassare nello sforzo e di sentire l’assorbimento nell’infinito, al punto tale da superare la dualità? Evidentemente rimanere nell’ asana richiede uno studio lungo e sofisticato, una pratica continuativa di anni, per sviluppare una sensibilità e un controllo del corpo speciale. Queste doti, secondo BKS Iyengar, si acquisiscono poco per volta nella pratica degli asana, portando l’attenzione e la consapevolezza in tutte le cellule del corpo. Il corpo esegue determinate azioni e la mente osserva le reazioni, in un processo continuo, in cui la pelle, l’organo della sensibilità, ha un ruolo molto importante.
Quando si è acquisita stabilità negli asana, si è pronti per il pranayama: controllato l’aspetto muscolare e scheletrico del corpo, grazie alla sensibilità della pelle e dello “strato” più esterno del corpo, si può controllare il respiro, ovvero il movimento che avviene all’interno del corpo. Nuovamente, secondo gli insegnamenti di Iyengar, è la ricerca dello “spazio” interno quello che ci interessa a questo punto avanzato della pratica. Ma soprattutto la mente può rimanere stabile nel controllo di questi processi; e in questo modo, concentrandosi sul corpo, sullo strato esterno e poi sullo strato interno, la mente diventa focalizzata e non più “dispersa” nell’attenzione sugli oggetti dei sensi.
Si tratta quindi, dice correttamente Iyengar, di un cammino per la conoscenza, andando sempre di più nel profondo di sé.
La sequenza da praticare:
swastikasana/ badda konasana/ upavishta konasana. L’estensione della colonna verso l’alto dipende dalla rotazione delle cosce verso l’esterno, in modo da liberare gli ischi.
utthita trikonasana/ virabadrasana 2/utthita parsvakonasana. Anche negli asana in piedi l’estensione della colonna dipende dalla rotazione delle cosce. Osservare come la testa del femore in dentro e la natica in avanti consentono di migliorare l’estensione in trikonasana/parsvakonasana. Provate a “sbagliare”, portando l’ischio indietro: la colonna crolla, la testa si muove in avanti. Allora portate la natica in avanti e mantenetela in avanti: osservate l’estensione e l’allineamento.
swastikasana/ badda konasana/ upavishta konasana
utthita parsvakonasana/ardha chandrasana. La preoccupazione del principiante è quella di mantenere l’equilibrio. Invece occorre nuovamente estendere la colonna in linea con la gamba dietro. Per fare questo, occorre portare la natica della gamba sotto in avanti, in linea con il ginocchio. Per migliorare l’equilibrio, alzate la coscia della gamba sollevata, ma abbassate dal ginocchio al piede. Queste due azioni contrapposte stabilizzano la gamba dietro, e consentono di ruotare la cresta iliaca della gamba dietro verso l’alto. Per imparare quest’ultima azione è utile eseguire ardha chandrasana con il piede dietro al muro: spingere forte la base dell’alluce contro il muro! Osservate il lavoro di Abhijata al cavallo, sotto lo sguardo vigile di Guruji. La cintura serve a sentire la rotazione in avanti della natica della gamba sotto. Il piede è appoggiato al cavallo, ma la base dell’alluce spinge mentre Guruji trattiene il tallone. Di conseguenza, la colonna di può estendere e il torace espandere. Queste sono le due azioni da imparare con gli asana che servono nel pranayama.
swastikasana/ badda konasana/ upavishta konasana/badda konasana
Vira 1/vira 3. Valgono le stesse osservazioni di ardha chandrasana, ma in vira 1 si può osservare l’aiuto delle braccia nell’estensione verticale della colonna. Ruotare la natica della gamba dietro in avanti . Anche in questo caso è utile praticare al muro, con le mani su due mattoni, per imparare la rotazione del bacino. Il lavoro della gamba dietro è l’opposto di quello di ardha chandrasana: la coscia scende (perché la natica deve scendere) ma il tratto dal ginocchio al piede sale. Spingere la base dell’alluce al muro per osservare l’estensione e la rotazione della gamba dietro.
parvatasana in swastikasana/ baradvajasana in swastikasana
adho mukha svanasana: con le mani sui mattoni si aiutano le spalle; con i piedi sui mattoni l’azione delle gambe e del bacino
Adho mukha vrchasana: per salire e per scendere, l’azione è la stessa di vira 3 (per gli studenti intermedi e avanzati). Chi non sa salire, si deve esercitare ad acquisire confidenza e mettere peso sulle mani, stirando le braccia e alzando le spalle.
Sirsasana, eka pada sirsasana
supra virasana
paryankasana
baradvajasana
Marichasana 3
setubanda sarvangasana
ujjyai pranayama posizione sdraiata espansione laterale (come in ardha chandrasana) con le coperte in verticale piegate in 3 sotto il torace
ujjyai pranayama, estensione verticale dal torace all’addome (come in vira 1/3) con le coperte orizzontali sotto il torace e l’ascella
savasana
Se si rileggono in questa ottica i sutra di Patanjali, si possono osservare tutti i passaggi sviluppati dall’insegnamento di Guruji, che attribuiva un particolare significato al sutra II, 48 in quanto il superamento della dualità poteva anche essere visto come la ricerca del perfetto allineamento. In un primo tempo, il pranayama è controllo del respiro che entra e che esce, poi diventa una pratica raffinata, con molte possibili varianti; esiste un tipo di pranayama, “il quarto” con cui si supera la distinzione tra esterno ed interno del corpo; il velo che nasconde la luce diventa più sottile e la mente è in grado di abbandonare gli oggetti dei sensi.
II.46 sthira-sukhaṁ āsanam
La posizione dovrebbe essere stabile e confortevole
II.47 prayatna-śaithilyānanta-samāpattibhyām
La posizione deve essere realizzata con il rilassamento nello sforzo e l’assorbimento nell’infinito
II.48 tato dvandvānabhighātaḥ
Così non si è afflitti dalla dualità degli opposti
II.49 tasmin sati śvāsa-praśvāsayor gati-vicchedaḥ prāṇāyāmaḥ
Quando l’asana è conseguita, segue il pranayama, il controllo del respiro che entra e che esce
II.50 bāhyābhyantara-stambha-vṛttiḥ deśa-kāla-saṅkhyābhiḥ paridṛṣṭo dīrgha-sūkṣmaḥ
Il pranayama consiste in movimenti del respiro interni, esterni e trattenuti; prolungati e sottili secondo il luogo, il tempo e il numero
II.51 bāhyābhyantara-viṣayākṣepī caturthaḥ
Il quarto tipo di pranayama supera i limiti dell’esterno e dell’interno
II.52 tataḥ kṣīyate prakāśāvaraṇam
Allora si attenua ciò che nasconde lo stato luminoso
II.53 dhāraṇāsu ca yogyatā manasaḥ
Anche, la mente diventa idonea alla concentrazione
II.54 svaviṣayāsamprayoge cittasya svarūpānukāra ivendriyāṇāṁ pratyāhāraḥ
Pratyahara avviene quando i sensi non entrano in contatto con gli oggetti; è quindi la natura della mente senza gli oggetti dei sensi.
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